17 Luglio 2024
Punte di Freccia

I precursori le radici gli orfani… – Mario Michele Merlino

A volte mi vedo volgere lo sguardo verso la filosofia, bella ed inutile, che ho servito da irriverente iconoclasta per circa quarant’anni dietro la cattedra, a vanità personale e noia dei miei alunni.

Lo faccio, di rado, per non sentirmi del tutto sprecato. Così, abbisognando di un incipit (termine osceno) su quanto mi riprometto scrivere, dò la stura al professorino che si tacita in me, alla citazione. Gioite, non me ne rallegro, e viceversa lagnatevi, non me ne dolgo, cari lettori… Fra i grandi della storia della filosofia spicca quel René Descartes, Cartesio in italiano tramite la sua latinizzazione, nato nel 1596 in Francia e morto in Svezia nel 1650. Un omuncolo, partito soldato nella Guerra dei Trent’Anni ma stancatosi presto in quanto dormiglione per natura. Gli studi furono, dunque, un ripiego e, racconta egli stesso, come, pur studiando in un collegio fra i più prestigiosi, si rese conto come nulla di certo avesse appreso. Annamo bene…

Avuta una figlia da una servetta, non volle riconoscerla ed anzi cacciò l’una e l’altra perchè il pianto della bambina disturbava le sue alte e nobili meditazioni. Finito a dar lezioni di filosofia alla regina Cristina che lo costringeva ad alzarsi alle cinque del mattino, nel clima invernale di Stoccolma, per discutere dei grandi temi sulla vita e il mondo. Gracile, si beccò la polmonite (qualcuno sospetta avvelenato da arsenico) e vi rimase stecchito. (Mi sono disperso in frammenti di banalità esistenziali, non a caso. Chi mi segue sa come mi conti ormai parlare più dello stile che delle idee, consapevole che sovente gli intellettuali ne siano carenti. Indecenti e servili, li definisco. E qui mi taccio per non rinnovare annosa e sterile polemica con gente del mio tempo, di quelli che sono oramai dei grafomani ad uso taglia e incolla o confondono con l’arroganza del veto e del reiterato no il loro essere nullità con un qualsiasi primato culturale). Trovandosi in Olanda, sempre intento a ben meditare, Cartesio scrive i Principia Philosophiae (1644), in latino, e tre anni dopo affida al Picot la traduzione in francese. A costui invia una lettera ove si legge: ‘Ainsi toute la philosophie est comme un arbre, dont les racines sont la Métaphysique, le tron est la Physique et les tranches qui sortent de ce tronc sont toutes les autres sciences’ (Credo non si necessiti traduzione). Riporto il brano da Martin Heidegger Che cos’è Metafisica?, testo di una prolusione tenuta in data 24 luglio 1929 nell’università di Friburgo – edizione italiana 1982, con ulteriori postfazione del ’43 e una introduzione del ’49.

All’affermazione di Cartesio il filosofo tedesco accompagna una serie di domande intorno proprio alla metafisica quale radici dell’albero delle scienze. Infatti, chiede, qual è la linfa vitale e da quale terreno trae sostanza ed energia. ‘A quale suolo si afferrano le radici dell’albero della filosofia? Da quale fondo le radici e con esse l’intero albero possono trarre i succhi e le linfe che li nutrono? Quale elemento, nascosto nelle profondità del suolo, compenetra le radici che reggono e nutrono tale albero?’. Non essendo il mio intento fare disquisizione d’ordine speculativo, qui mi fermo. Per Heidegger, semplificando, la metafisica poggia sul fraintendimento, avendo confuso l’ente quale manifestazione dell’essere con l’essere medesimo, ottenebrandone così la sua essenza…

(Troppo austero, complesso, pur se sprigiona un fascino da antico e arcano sciamanesimo). Quando l’autore de Il Signore degli Anelli, l’inglese J.R.R. Tolkien (curiosità non irrilevante: egli fu fra i pochissimi intellettuali di quella ‘perfida Albione’ a schierarsi dalla parte della Falange e del Generalissimo Franco, forse in quanto cattolico, durante la guerra civile spagnola. Per noi non è poco), fu arruolato ‘in camicia nera’ (sic!) e il suo fantasy lettura militante (e il Mago Merlino, con grande scorno, detronizzato da Gandalf!), venne a moda citarlo e, in particolare, ‘le radici profonde non gelano mai’. Io – e l’ho scritto in altra occasione –, nella impervia battaglia di contrapporre uomini e donne che ci insegnarono lo stile agli ‘indecenti e servili’ (già poco sopra rilevato) ricordavo il portiere de Il Secolo d’Italia, Peppe il Matto, e della sua richiesta di avere libri di Nietzsche perchè ‘mi hanno detto, parla bene di Mussolini’. Con vezzo provinciale si vanno a cercare altrove referenti quando ne possediamo prossimi…

(Piccolo inciso, aggiunta al personaggio di Peppe. Mi raccontava di recente il giornalista ed amico Roberto Rosetti come, lavorando al Secolo, avesse notato che Giorgio Albertazzi, il grande attore di teatro, ogni volta che proponeva un suo spettacolo a Roma, inviava a Peppe dei biglietti omaggio in prima fila. Avendo avuto occasione di incontrarlo, venne a sapere come Peppe era stato nella legione Tagliamento in RSI e, prigioniero a Coltano, era divenuto una sorta di nume tutelare dello stesso Albertazzi, anch’egli lì ristretto e già giovane ufficiale della medesima Legione). Tutto questo preambolo – divenuto di fatto metà articolo – cui prodest? Perché si ha necessità di possedere solide fondamenta (come cantava Bob Dylan, soprattutto se si approssimano i venti del cambiamento), trovarsi padri nobili, essere comunque e nonostante tutto parte integrante di una genealogia.

Orfani mai. Anche se, a volte, l’ombra del dinosauro può rendersi ingombrante… Da animo libertario sono insofferente a quanto porta in sé il rischio di tramutarsi in sbarre e chiavistelli, capace di sottrarmi a certe estremizzazioni alla moda intorno alla ‘uccisione del padre’ care al doktor Freud e ai suoi sodali. E veniamo al Fascismo, ai suoi esordi e quando, definitosi Regime, si mostrò ricco di fermenti istanze richieste, sovente in contrasto fra loro, insomma espressione sincera di quella complessità che della storia è via da percorrere per evitare facili devianti semplificazioni. I disastri del marxismo stanno anche nel aver tentato di imporre una unilaterale onnivora tetragona ‘concezione (materialista) della storia’. Ridotto l’essere umano a frutto marcio di condizionamenti sociali (e, intanto, l’ebreo Freud suggeriva come nella coscienza di classe potesse coabitare il senso di colpa). Ove regna il monoteismo là s’erge il rogo feroce e inquisitorio della stupidità… con le sue aspirazioni purificatrici e salvifiche nel mondo a venire in terra o in cielo, poco conta. Per i creduli trappola – un gratta e vinci planetario. Tornando al Fascismo il dibattito sulle sue origini, i suoi possibili antecedenti, quale innesto vitale nella storia d’Italia e suo compimento (la Grande Guerra intesa quale guerra ultima d’indipendenza) oppure fenomeno unico e nuovo, effetto sì della Prima Guerra Mondiale, ma germinato tra i reticolati e le trincee quale espressione di una Rivoluzione ove entravano le forze nuove, le élites a guida delle masse rese infine popolo.

Giovanni Gentile fra le figure principi della prima tendenza. Il Duce che a volte propende verso una tesi, a volte ne sposa la seconda. La collana specifica dei Precursori (dal nobile Santorre di Santarosa, esule dal Regno del Piemonte e caduto in armi per l’indipendenza della Grecia al Futurismo, scritto da Marinetti stesso, e agli Arditi, fratelli più grandi dello squadrismo). Tante, poi, le singole pubblicazioni su figure esemplari ove il rimando al mondo delle camicie nere è esplicito. Penso alla collana I Condottieri, edita da Parava negli Anni Trenta, di cui possiedo alcuni volumi.

Una guida fra personaggi che furono strateghi e uomini di spada quale educazione al valore per le nuove generazioni. Forse, in questo intento nobile e condivisibile, qualche eccesso di sana retorica e qualche omissione, come il pirata della Malesia, quel Sandokan partorito dalla penna di Emilio Salgari…(In questi giorni è in uscita Fascisti prima di Mussolini, edito da Il Settimo Sigillo, di Rodolfo Sideri, una garanzia di serietà rigore compiutezza. Ne riparleremo).

Abbiamo una storia, ci suggerisce il richiamo a tanta nobiltà e valore di uomini illustri o meno noti. In cerca di esempi per divenire, quando l’ora lo richiede, testimoni noi stessi, esempio. Bertolt Brecht, il noto drammaturgo comunista, suggeriva che felice è un popolo non bisognoso di eroi… Sarà pur vero – lavora produci consuma e il ciclo si rinnova, come le stagioni, al suono della sveglia al mattino. E’ schiavo e ne soffre colui che sente strette le catene, altrimenti è un umile Travet una tuta blu e si accontenta di gite domenicali fuori porta e della settimana a Ferragosto sulla costa romagnola. Poi, poi ci sono anime che, simili ad uccelli marini, vivono solo se il vento e l’onda salmastra sferzano loro il volto. Senza un perché, senza un destino, senza il calore di un nido. E nascono orfani di un dio di una patria d’ogni confine…

2 Comments

  • Alessandro di Manzano 17 Aprile 2018

    Graaaande , Amico mio

  • Alessandro di Manzano 17 Aprile 2018

    Graaaande , Amico mio

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