Credo di avervelo evidenziato più di una volta, il fatto che questo nostro appuntamento con l’eredità degli antenati si sia trasformato in una scadenza più o meno fissa sulle pagine di “Ereticamente” e che attualmente abbia persino passato il giro di boa del settantesimo numero, è una fonte di sorpresa prima di tutto per me, poiché le notizie riguardanti le nostre origini non possono (o non dovrebbero) avere la tempistica degli avvenimenti della cronaca, della, politica, dello sport, dei rotocalchi. A volte ho come l’impressione che una qualche divinità cerchi disperatamente di avvertirci del significato e del valore della nostra stirpe prima che essa si dissolva nel caos mondialista, nell’universale meticciato, e ci sproni a correre ai ripari.
Non solo, ma a quanto pare si fa fatica a stare dietro all’incalzare degli eventi. L’ultimo aggiornamento che sono riuscito a darvi, per esempio, riguardo al lavoro dei gruppi di facebook sulla tematica delle origini, risaliva a poco dopo gennaio (il 1 febbraio, esattamente, si trattava del post riguardante il ritrovamento dei resti dell’ominide sudafricano battezzato Littlefoot, “Piedino”). Certamente, complice del fatto che nel frattempo si è accumulato un discreto lasso di tempo, è stata la situazione politica con le recenti elezioni, a proposito delle quali non era possibile non lasciare un commento, un’analisi della situazione, poi anche la scadenza del 25 aprile e, in tutta franchezza, come si fa a non dire nulla quando si approssima questa celebrazione ridicola con la quale ci impongono di festeggiare la sconfitta nella seconda guerra mondiale come se fosse stata una vittoria attirandoci certamente il dileggio del mondo intero?
Fra una cosa e l’altra, ci siamo ridotti ad adesso, e non è che cose da dire non ve ne siano.
Io penso che mi perdonerete la parzialità se comincio con l’aggiornarvi sulle attività del nostro gruppo triestino. Come vi ho già raccontato in precedenza, grazie al nostro Gianfranco Drioli, l’autore di libri come Ahnenerbe (dedicato a quella vera, quella nazionalsocialista) e Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta, che è recentemente diventato presidente dell’ALTA (Associazione Lagunari e Truppe Anfibie) di Trieste, abbiamo avuto a disposizione i locali della Casa del Combattente, e li stiamo utilizzando per una serie di conferenze nelle quali il sottoscritto è coinvolto in prima persona, il più delle volte introdotte dall’ottimo amico (nonché collaboratore di “Ereticamente”) Michele Ruzzai.
Un ciclo nel ciclo di questa serie di conferenze, è composto di quattro di esse che riguardano la tematica delle origini, e non poteva essere altrimenti: le origini della nostra specie (contestando la favola “ortodossa” e “politicamente corretta” della genesi africana), dei popoli indoeuropei, della civiltà europea, e infine – tematica sempre ingiustamente trascurata – dei popoli italici.
Le prime due, Ma veniamo veramente dall’Africa? , e Caucasici e indoeuropei si sono tenute rispettivamente il 26 gennaio e il 23 febbraio, e hanno registrato una buona accoglienza da parte del pubblico presente. Io ve ne darò appena possibile i testi su “Ereticamente”. Il 30 marzo (la cadenza di questi appuntamenti, l’avrete capito, è mensile), interrompiamo e rimandiamo ad aprile e maggio la tematica delle origini, perché per motivi diplomatici mi è stato chiesto di ripresentare Le due facce del risorgimento, di cui trovate già il testo su “Ereticamente”.
Torniamo a esaminare l’attività dei gruppi che su facebook si occupano delle tematiche delle origini, cominciando sempre da MANvantara del nostro Michele Ruzzai, la cui consistenza recentemente è giunta a sfiorare i 1400 membri, una cifra certamente non confrontabile a quella dei lettori di “Ereticamente”, ma che per un gruppo facebook non è assolutamente poco. Diciamo subito che, anche per l’aumento del numero dei contributori, il gruppo esprime sempre più tematiche e sensibilità diverse, si va dall’antropologia a questioni esoteriche, è un gruppo dalla fisionomia complessa e interessante. Io seguirò i post che riguardano i temi che ci interessano, ma tenete presente che c’è molto altro.
Comincio con il precisare che non ha probabilmente senso operare una distinzione fra il lavoro svolto dai gruppi e quanto si trova siti e le pubblicazioni generaliste, perché regolarmente quest’ultimo materiale è sempre regolarmente riportato e commentato dai gruppi FB, e semmai lo spazio che rimane, il senso di una serie di articoli come la mia, è quello di un’ulteriore lavoro di sintesi e approfondimento, laddove la nostra tempistica non ci consente di fatto anteprime.
Io adesso non riporterò i vari post uno a uno anche perché su questo argomento sono abbastanza ripetitivi, ma si può dire che nella prima metà di febbraio la discussione si è incentrata sulla ricostruzione dell’uomo d Cheddar. Secondo alcuni ricercatori (cosa estremamente dubbia perché dalle ossa fossili non è possibile ricostruire la pigmentazione della pelle), questo antico uomo mesolitico di 10.000 anni fa i cui resti sono stati scoperti nelle Isole Britanniche, avrebbe avuto gli occhi azzurri e la pelle scura. Questo è bastato perché se ne presentasse al pubblico una ricostruzione dai tratti decisamente negroidi, con quella che è, come i ricercatori hanno onestamente riconosciuto, “Non una ricostruzione scientifica ma un’operazione di propaganda”.
Non ce ne dobbiamo stupire: sappiamo di vivere in democrazia, che l’intera Europa e il cosiddetto mondo occidentale vivono sotto il giogo della democrazia, e la mistificazione e l’inganno sono l’anima stessa della democrazia. È in atto non da ora il tentativo di persuaderci – contro ogni evidenza storica, archeologica e antropologica – che il meticciato sia una cosa normale e che un elemento “nero” in Europa sia sempre esistito.
In un post del 4 febbraio su MANvantara il nostro eccellente Amministratore ha segnalato che in un recente musical di Broadway Giovanna D’Arco è diventata Jeanne Dark, interpretata ovviamente da un’attrice di colore. Sulla stessa lunghezza d’onda di mistificazione, ci segnala Luca Cancelliere il 7 febbraio sempre su MANvantara, in una serie “storica” della BBC, è affidata a un’attrice di colore la parte della regina Margaret d’Inghilterra. Batti e ribatti il chiodo entra, tutto ciò serve ad alterare la percezione del pubblico ingenuo e male informato. La semplice verità è che fino alle recenti ondate migratorie non è esistito in Europa alcun elemento “nero”, che il meticciato è sempre e soltanto causa di decadenza, che le migrazioni di melanodermi verso l’Europa sono state programmate al preciso scopo di distruggere le native popolazioni caucasiche (piano Kalergi).
Un fatto che è ricordato sempre su MANvantara in un post del 5 febbraio da Matteo Mazzonis riprendendo un articolo da it.blastingnews.com , riporta un fatto a cui mi pare abbia accennato molto di sfuggita anche “l’informazione” generalista: il delitto di Macerata, la “macellazione” della sventurata Pamela Mastropietro da parte di quattro nigeriani corrisponde pienamente alle caratteristiche dell’omicidio rituale previsto dalle “tradizioni religiose” tribali della Nigeria.
Si comprende bene quanto sia folle e delirante l’idea di fare di costoro dei “nuovi italiani” e dei “nuovi europei”, sono piuttosto loro che africanizzano la terra dove s’insediano. E che dire del disgustoso razzismo di sinistra della magistratura “rossa”, razzismo contro gli Italiani, che non ha imputato i quattro assassini di omicidio ma soltanto di vilipendio di cadavere, in compenso accusando di strage Luca Traini che non ha ucciso nessuno?
L’11 febbraio l’Amministratore ha pubblicato un post che è una recensione ripresa dal sito della Widner Library del libro (vi do il titolo in italiano) Storia ed evoluzione della flora artica del botanico svedese Eric Hultén. A quanto sembra dallo studio di questo ricercatore, durante l’età glaciale, quando l’Europa era coperta da una fitta coltre di ghiacci, l’Alaska, la Siberia orientale e la terra di collegamento che allora esisteva fra esse, la Beringia, a quanto dimostra la situazione della flora, erano a quel tempo libere dai ghiacci e con un clima mite. A quanto pare, il clima medio del nostro pianeta non era molto diverso da quello di oggi, ma la distribuzione delle aree glaciali era diversa.
Si tratta di una questione molto importante, perché la teoria delle origini artiche dell’umanità in contrapposizione alla teoria africana (che oggi costituisce “l’ortodossia scientifica” democratica, il che è già un buon motivo per ritenerla falsa), presuppone che in epoche le regioni artiche avessero un clima molto diverso da quello attuale. Ora, tutto fa pensare che le cose stiano effettivamente così. Va in questo senso anche una ricerca condotta negli anni ’50 dal geofisico Maurice Ewing, secondo la quale durante l’età glaciale l’Artico era libero da ghiacci.
Di grande interesse è poi un post condiviso su MANvantara da Mike Mayers in data 13 febbraio. Gli ebrei sono “una razza”, hanno un’impronta genetica che li distingue da tutti gli altri gruppi umani. Non lo diciamo noi, lo dicono loro! E’ quanto si evince dalla recensione del libro A Genetic History of the Jewish People del genetista Harry Ostrer pubblicata sul sito ebraico haaretz (www.haaretz.com). Secondo haaretz, tale scoperta potrebbe rinfocolare l’antisemitismo, ma è un rischio da correre perché si tratta di una questione centrale per l’identità ebraica.
Il minimo da dire, è che c’è di che essere sbalorditi: dunque, secondo i loro più accreditati esponenti che hanno modellato le idee della democrazia, le razze umane non esistono e il meticciato fa un gran bene all’umanità, però il “popolo eletto” ha una precisa fisionomia razziale e rifiuta per se stesso i benefici di quel meticciato che tanto caldamente raccomanda agli altri, racchiudendosi nella più rigida endogamia. Non occorre avere il naso a nappa per sentire puzza di bruciato.
Come è noto, il dogma democratico dell’inesistenza delle razze umane risale alla “teoria” del genetista Richard Lewontin che sostenne che nella specie umana non si può parlare di razze perché qualsiasi gene del pool genetico umano si può rintracciare praticamente in qualsiasi popolazione. Si tratta di un’evidente fallacia, come molti altri ricercatori hanno dimostrato, perché non tiene conto né della frequenza relativa con cui i geni compaiono nelle diverse popolazioni, né delle correlazioni tra i diversi geni per formare costellazioni geniche. In pratica è come, considerando gli alberi uno per volta, riuscire a non vedere la foresta. Non a caso, a questo post ne è seguita una serie di altri che riferiscono le spiegazioni di biologi e genetisti che svelano la fallacia dell’assunto di Lewontin, che non hanno però impedito che esso diventasse un caposaldo fondamentale dell’armamentario delle mistficazioni democratiche. Ora, caso strano davvero singolare, anche Richard Lewontin appartiene al “popolo eletto”.
Sempre rifacendosi al dibattito sollevato dalla presunta ricostruzione dell’uomo di Cheddar, in data 8 febbraio, Michele Ruzzai ha riportato una citazione apparsa sul quotidiano di Trieste “Il Piccolo” nel 1995 (oltre vent’anni fa, ma allora forse era più facile parlare di queste tematiche senza scontrarsi col muro dell’ortodossia “scientifica”) dell’antropologo Charles Goodhart allora presidente della Linnean Society di Londra secondo cui la nostra specie avrebbe avuto origine nelle regioni boreali e la pelle chiara, mentre man mano che si spostava verso sud, avrebbero avuto origine le popolazioni scure per adattarsi alla maggiore irradiazione solare, cioè l’esatto contrario di quanto predica oggi l’Out of Africa. Il motivo di ciò è che mentre l’aumento della melanina è indispensabile per proteggersi dalla radiazione solare delle regioni tropicali, la perdita di pigmento spostandosi verso nord, non è necessaria. Logico, ma la logica può poco contro l’imposizione forzata di un’ortodossia ideologica.
Il 17 febbraio il nostro Matt Martini ha pubblicato sempre su MANvantara un post che riferisce del fatto che gli scienziati dell’università di Bristol, grazie alla tecnologia 3 D e a 500 ore di lavoro, partendo dalla mummia, hanno ricostruito il volto della regina egizia Nefertiti, moglie del faraone Akenaton e matrigna (forse madre) di Tutankhamon. Huffington Post, che ha riportato la notizia il 12 febbraio, ha criticato la ricostruzione perché la regina appare “troppo bianca”. Cioè i ricercatori di Bristol non si sono piegati alla moda imperante della negrizzazione a tutti i costi.
Noi sappiamo che gli antichi Egizi erano caucasici: gli egiziani odierni presentano una qualche traccia di ibridazione con elementi subsahariani, ma nelle mummie di età faraonica, ci ha dimostrato l’analisi del DNA, non compare nulla di simile, non solo ma le élite avevano caratteristiche più marcatamente europee del resto della popolazione, ma l’evidenza storica e scientifica può ben poco di fronte al “politicamente corretto”. Una notizia che si appaia bene con questa: da “La cruna dell’ago” del 18 febbraio apprendiamo che la UE ha escluso la città ungherese di Székesfehtiésvàr dalla competizione per aggiudicarsi il titolo di capitale europea della cultura 2023, perché “troppo bianca”. Provate a immaginare che qualcuno decidesse di escludere da una competizione di qualsiasi genere una città africana per l’eccessiva presenza di neri: immaginate le urla indignate e le accuse di razzismo. Questo gesto della sedicente Unione Europea che è l’Europa tanto quanto un tumore è l’uomo che ne è affetto, ci permette di comprendere bene cosa è in realtà il cosiddetto antirazzismo: razzismo e odio anti-bianco.
MANvantara riporta due post, da msn.com e da “La Repubblica” (quest’ultimo condiviso da Axis Mundi), entrambi del 23 febbraio, che ci parlano di una ricerca condotta sulle pitture rupestri spagnole delle grotte di Pasiega, Maltravieso e Ardales, che raffigurano animali, impronte di mani e segni colorati in nero e ocra. La datazione dei pigmenti (suppongo col metodo del carbonio 14) le fa risalire a 64.000 anni fa, ma all’epoca l’uomo sapiens sapiens, l’uomo di Cro Magnon non era ancora presente in Europa, quindi esse possono essere state opera soltanto degli uomini di Neanderthal, finora ritenuti non ancora capaci di raffigurazioni artistiche.
Secondo il geoarcheologo Diego Angelucci la scoperta dimostra che “l’uomo è diventato “umano” prima di quanto immaginavamo”.
Io penso che in realtà non vi sia troppo da sorprendersene. In tempi relativamente recenti abbiamo avuto prove convincenti del fatto che questo nostro antenato (nostro, noi e gli asiatici ne condividiamo l’impronta genetica, ma non così gli africani) è finora stato un grande sottovalutato: ricordiamo la scoperta del doppio cerchio di stalagmiti, la più antica struttura architettonica e verosimilmente il primo tempio conosciuto al mondo, ritrovato nella grotta di Bruniquel nella Francia meridionale, oppure il ritrovamento di El Sidron in Spagna, dove nella placca dentaria dei resti di un uomo affetto da un ascesso dentario e e da un parassita intestinale sono state trovate le tracce del consumo di penicillum da cui si è ricavata la penicillina, e di corteccia di salice, che contiene acido salicidico, il principio base dell’aspirina.
I rudimenti della farmacopea moderna erano già dunque noti a questi antichi uomini.
Scusate tanto, ma tutto ciò non autorizza il sospetto che proprio dalla loro eredità ci derivi quel guizzo di intelligenza e di creatività in più che condividiamo con gli asiatici, ma che manca assolutamente ai neri africani?
Sempre sull’argomento Neanderthal, MANvantara presenta il link in data 22 febbraio al libro Mio caro Nanderthal, trecentomila anni di storia dei nostri fratelli di Silvana Condemi e François Savater.
Il 20 febbraio Michele Ruzzai ha postato un articolo ripreso da “Il secolo XIX” del luglio 2017. Una ricerca del genetista David Reich conferma l’origine siberiana degli Indoeuropei. E’ forse il colpo decisivo alla teoria che li voleva discendenti da agricoltori di provenienza mediorientale che ho più volte criticato, e conferma che le nostre radici vanno cercate a nord. “Le scienze” on line del 22 febbraio riporta la notizia della ricerca di David Reich, ma MANvantara stavolta l’ha battuta di due giorni.
L’idea dell’origine non solo delle genti indoeuropee e caucasiche, ma dell’intera specie umana nel lontano nord, nella regione polare, si trova del resto nella mitologia di tutti i popoli, con una costanza e una persistenza che gli antropologi Out of Africani si guardano bene dal provarci nemmeno a tentare di spiegare. Ce lo ricorda il libro di William F. Warren Paradise Found recensito da Michele Ruzzai il 25 febbraio.
EurekAlert del 20 febbraio ci da una notizia che per me è fonte di grande soddisfazione: una ricerca dell’Università dell’Arizona ha dimostrato che l’eruzione del vulcano Toba in Indonesia di 70.000 anni fa non ha provocato nessun “inverno nucleare”. E’ un altro pezzo dell’Out of Africa che se ne va, perché secondo questa “teoria” l’inverno prodotto dall’eruzione del Toba avrebbe portato all’estinzione tutti gli esseri umani allora esistenti, tranne un pugno di superstiti africani da cui ci si vuole dare a intendere che tutti noi discenderemmo.
Tra la fine di febbraio e i primi di marzo, diversi post riportano l’attenzione sulle impronte cretesi di 5,7 milioni di anni fa. Al riguardo vi ho già spiegato la mia opinione, che non siano umane ma ominidi, il che però non significa che siano poco importanti, mettono definitivamente in crisi l’Out of Africa, perché l’idea che l’uomo sarebbe nato nel Continente Nero si basa sull’assunto, oggi rivelatosi falso, che solo lì sarebbero vissuti i nostri parenti ominidi, così come mettono ancor più in crisi questa “teoria” gli antichissimi strumenti litici rinvenuti in India, che ci fanno intravedere una remota umanità lontana dal continente africano risalente a centinaia di migliaia di anni or sono.
Certamente, data la vastità del materiale presente sui gruppi FB e la complessità delle tematiche trattate, poteva uscire da questa panoramica un articolo diverso da questo, diciamo che mi sono tracciato un percorso che non sostituisce la lettura dell’ampio materiale a cui vi rinvio.
Per il momento, interrompiamo qui per non rendere questo testo chilometrico. In ogni caso, è impossibile non notare che l’interesse per la tematica delle origini è nei nostri ambienti più vivo che mai, è il segno di una consapevolezza della nostra identità che si oppone e continuerà a opporsi con tutte le sue forze alla trasformazione della nostra gente in una massa anonima di sradicati.
NOTA: A sinistra la ricostruzione del volto della regina egizia Nefertiti realizzata a partire dallo studio della mummia, presenta una discreta somiglianza con il celebre busto conservato a Berlino. Questa ricostruzione è stata contestata dai soliti razzisti anti-bianchi di sinistra perché sarebbe “troppo bianca”. Al centro, il vero volto dell’uomo di Neanderthal, a sinistra la copertina del libro Mio caro Nanderthal, trecentomila anni di storia dei nostri fratelli di Silvana Condemi e François Savater.
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