9 Ottobre 2024
Storia delle Religioni

La sintonia fra i Veda e il Mito Greco – Emanuele Franz

Analogie e parallelismi fra cultura indoeuropea ed ellenica.

Premessa

Si vedrà qui di seguito una comparazione fra il complesso e articolato pensiero metafisico e liturgico contenuto nel RgVeda con i Miti Greci. Si noterà un ordito di comunanze che, attentamente valutato, porterà a escludere delle semplici coincidenze ma trapelerà una più alta e unitaria manifestazione. Le spiegazioni di tale affinità, possono essere, d’altra parte, molteplici. La prima, e più ovvia, è che le migrazioni di popoli hanno confluito in altri. Spiegazione sul piano materiale che si lascia agli addetti ai lavori. Noi qui optiamo per un’altra interpretazione che si richiama al concetto del de perenni philosophia, ovvero all’idea, già espressa da Leibniz, di una filosofia eterna soggiacente e comune in diverse religioni. Cioè di una Rivelazione comune e quindi di Identità comune. Tale tesi, oggi, si pone completamente in controtendenza laddove ci viene inculcata l’idea che l’identità sia un fattore transitorio ed effimero, che muta al mutare delle circostanze, del divenire temporale, degli usi e dei costumi. Che gli uomini siano plasmabili e che i popoli siano suscettibili di essere fusi, mescolati, ivi comprese le loro rappresentazioni metafisiche, è quello che appunto noi, come studiosi indipendenti, ci proponiamo di contraddire. Da filosofo indipendente, attraverso questo studio comparativo sulla storia delle religioni, oso affermare che l’identità non si consuma nei secoli, ma sopravvive ai millenni, perché essa soggiace a una dimensione sovra umana.

Il Sacrificio

L’elemento fondamentale del rituale vedico era il sacrificio: esso consisteva nell’offerta alla divinità di diverse sostanze da mangiare e da bere, che venivano gettate nel fuoco. Questo era l’Agnihotra, “oblazione sul fuoco” e costituiva il modello di qualsiasi sacrificio che tutte le cerimonie implicavano e contenevano. Agni, Dio del fuoco, è descritto con capelli fiammeggianti, la barba fulva, i denti d’oro. Fondamentali attributi del rito greco sono, analogamente, l’olocausto, ovvero bruciare le carni destinate al sacrificio sul fuoco, e le libagioni, che consistevano nel versare bevande consacrate sul fuoco. La rappresentazione dell’universo metafisico vedico ed ellenico è pertanto identica nella visone del rapporto fra divino e umano come scambio: il sacrificio, l’offerta tramite il fuoco, serve a suscitare il favore del Dio.

Il Caos originario

“In principio vi era solo tenebra nascosta dalla tenebra. Acqua indistinta era tutto l’universo. Il germe dell’esistenza era avvolto dal nulla. (…) In principio fu il desiderio che si mosse e fu il primo atto fecondante della mente” (RgVeda; X,129.3-4).  Analogamente in Esiodo, Teogonia, il mondo ha origine dal Caos (Χάος). “All’inizio, e per primo, venne ad essere Caos.” (Esiodo Teogonia 116).

Poi segue Gea, la madre terra, il Tartaro tenebroso ed Eros, il Dio primordiale, il principio generatore al quale soggiacciono tutte le cose. Si vede l’assoluta eguaglianza della concezione cosmogonica vedica con quella greca, laddove entrambi individuano un Caos tenebroso originario e l’Eros primordiale, o desiderio, che è da intendere in modo eracliteo, come tensione di contrari. Gli Dei tutti, da notare, sia nel mondo Indo Ario che in quello Greco, sono posteriori alla creazione, non antecedenti. Essi vengono dopo il Caos e sono Essi stessi generati in epoca originaria, a differenza di altre religioni monoteistiche che vedono un Dio creatore ex nihilo.

Il Demiurgo

Ambedue i popoli, altresì, hanno conosciuto la figura di un Demiurgo. Per Platone, Timeo, (28c.) è impossibile che qualunque cosa esista senza il suo ruolo ordinatore del Demiurgo che forgia gli elementi immersi nel Caos. Egli è artefice, artigiano divino, plasmatore e modellatore. Nei Veda il Demiurgo è chiamato Visvakarman (RgVeda; X,81) ed è il creatore dei mondi, l’artigiano divino. Egli ha offerto in sacrificio sé stesso a sé stesso, come fece, nella mitologia nordica, Odino, che ottenne la conoscenza immolandosi a sé stesso per nove giorni e nove notti (Edda Poetica  Hávamál, 138). Visvakarman è peraltro signore della parola, e forte è il senso attribuito dagli Arii al potere della parola creatrice.

Lo smembramento

Dal Parusa, il principio maschile originario, si genera il Viraj, il principio femminile, e da quest’ultimo di nuovo il Parusa (RgVeda; X,90-5). “Parusa è tutto questo universo, sia ciò che è stato, sia ciò che deve ancora essere.” (RgVeda; X,90-2). Il Parusa viene poi smembrato in molteplici parti, che generano il mondo. “Quando smembrarono Parusa in quante parti lo divisero? Che cosa divenne la sua bocca? Che cosa le sue braccia? (…) La sua bocca diventò il brahmano, le sue braccia divennero il guerriero” (RgVeda; X,90-11). E ancora: “Dalla sua mente nacque la luna; dagli occhi nacque il sole, dalla bocca Indra e Agni, dal respiro nacque il vento (…) dalla testa si produsse il cielo, dai piedi la terra. Così gli Dei formarono il mondo” (RgVeda; X,90-13). Anche qui il Parusa è la vittima sacrificale che immola sé stesso a sé stesso, “un sacrificio al sacrificio”, come recitano i Veda, che genera le “prime regole” ordinatrici del cosmo intero. Il mito dello smembramento dell’unità originaria ( che è anche l’Io, e l’Essere ) compare nel mondo Greco nello smembramento di Dioniso e di Orfeo, e anche nel mito Egizio. Dioniso è sbranato dai Titani, Orfeo fu fatto a pezzi dalle Baccanti, anche Osiride nel Mito Egizio viene ucciso e smembrato. Di fatto la scissione originaria di una unità psichica e ontologica assume il ruolo archetipico di Topos originario in cui una inalterata e indistinta indifferenziazione si macula, si separa, dando origine al mondo e quindi andando a determinare, per altri versi, una sorta di colpa originaria per essersi allontanati dal divino.

L’embrione d’oro

Al libro X dei RGveda, verso 121.1 di recita: “In principio si sviluppò come un embrione d’oro. Fin dalla sua nascita l’Uno fu il signore di ciò che era venuto in essere. Egli è diventato il sostenitore della terra e di questo cielo.” (…) Egli è colui che dà la vita e la forza; colui i cui ordini sono rispettati da tutti, perfino dagli Dei, colui per il quale l’immortalità è un’ombra”. Solanto alla fine dell’Inno “Egli” viene nominato come Prajapati. L’immagine dell’embrione d’oro, che nei testi indiani successivi diventerà l’uovo d’oro, concorre a delineare il Mito dell’Uovo cosmico, che sarà presente in svariate mitologie e religioni, e in particolare nel mondo greco attraverso i misteri orfici. Nella religione induista, l’uovo cosmico, detto Hiranyagarbha o “grembo d’oro”, identificato anticamente con l’anima del mondo, viene descritto nei libri della Bhagavad Gita e delle Upanishad, come un nucleo universale galleggiante nell’oceano primordiale e avvolto dall’oscurità della non-esistenza. Quando l’uovo si schiude, il Signore Brahma lo rende manifesto per mezzo dell’Aum. Dalla metà superiore del guscio, fatta d’oro, nacque così il cielo; dalla metà inferiore, fatta d’argento, nacque la terra. Nella mitologia greca si narra che dall’uovo di Leda, fecondato da Zeus tramutatosi in cigno, nacquero i Dioscuri, cioè i gemelli Castore e Polluce, che rappresentano i due poli della creazione. Nel mito orfico invece Phanes o Fanes, (in greco antico Φανης Phanês, “luce”), chiamato anche Protogonos (“il primo nato”) era la divinità primigenia. Egli emerse agli albori dell’universo dall’uovo cosmico deposto da Chronos (il Tempo) e Ananke (la Necessità), quale principio primo ed unico, era ermafrodito e da esso si generò tutto. Successivamente il Dio Pan ( Πάν, tutto ) inglobò in sé gli attributi di Phanes in quanto Dio della natura e rappresentante tutto l’esistente.

La cosa da sottolineare qui, oltre al comune Archetipo dell’uovo originario, è che sia nei Veda che nel Mito Greco gli Dei stessi devono sottostare a un ordine a loro superiore. A differenza delle religioni monoteistiche, in cui sopra Dio non c’è nulla, nei Veda e nei Miti Greci c’è un ordine sovrastante e inalterabile che non può essere infranto nemmeno dagli Dei. Se i Veda dicono che Prajapati è: “colui i cui ordini sono rispettati da tutti, perfino dagli Dei”. Nel mondo Greco gli Dei devono sottomettersi ad Ananke (Ἀνάγκη, Anánkē), la Necessità. Essa è madre delle Moire, le tre signore del Destino, contro il quale gli Dei nulla potevano. Da tenere in considerazione che le tre Moire greche sono assimilabili alle Parche della religione romana e alle tre Norne del mito Norreno.

Il parricidio originario

Nel libro IV,18 dei RgVeda è descritta la nascita di Indra. Il Dio vedico Indra nasce dal fianco della madre, considerando l’utero una “via d’uscita” pericolosa e finanche meno nobile. Concetto questo che compare peraltro nella nascita di alcuni Dei Greci, come Atena, che nasce dalla testa del Padre Zeus, e Dioniso, che nasce dalla coscia di Zeus. Anche Buddha, narra il Mito, sarebbe nato dal fianco della madre, per non rimanere contaminato dall’uscita naturale, considerata impura. La madre di Indra tiene nascosto il figlio alla nascita e poi, al verso 12 si dice: “Chi ha reso vedova tua madre? Chi ha cercato di ucciderti mentre stavi fermo e mentre ti muovevi? E quale Dio ti aiutò quando uccidesti il padre?” Dunque Indra uccide il padre, compiendo un parricidio originario. Lo schema teogonico è non simile, ma identico alla teogonia greca.

Il Dio Greco Zeus era figlio di Crono e Rea. Rea, alla nascita di Zeus, nasconde il figlio a Crono perché esso divorava tutti i suoi figli perché la profezia narrava che un suo figlio lo avrebbe spodestato, così come lui stesso aveva spodestato il padre suo Urano, il cielo. Zeus però lo vince e lo detronizza diventando il Signore dell’Universo e re dell’Olimpo. Il parricidio originario è dunque un tema metafisico fortissimo e presente nelle due importanti religioni che qui si vanno a comparare. La rilevanza di questo tema, centrale nella formazione di tutti gli Dei e di tutto l’ordine cosmico, è tale da farci dichiarare che le modalità della generazione dell’Ordine Divino è identica sia nel Mito Ario che in quello Greco.

Ma le analogie non sono affatto finite. Nell’Inno a Varuna (II,28) vi è un passo che dice: “I fiumi, come uccelli, volano rapidamente compiendo il giro attorno alla terra”. Il concetto ritorna nell’aggettivo omerico “Dupetes” –che vola in cielo- riferito ai fiumi. E ancora, Mitra e Varuna sono i garanti del rispetto dei giuramenti e dei contratti nel mondo vedico, similmente nell’etica greca quando due uomini cingevano un patto fra loro, generavano un Daimon, un Demone, che presiedeva il patto fino alla sua assoluzione e in caso di mancato rispetto del giuramento le Erinni intervenivano perseguitando il reo. La parola data era sacra.

Il rito funebre

Il rito funebre è un altro tema centrale e di assoluta importanza, poiché riguarda appunto il passaggio fra il terreno e l’ultrasensibile. E anche qui le analogie fra gli Arii e i Greci sono impressionanti. Nei RgVeda libro X,14 è scritto che Yama fu il primo uomo a morire, e perciò divenne il Dio della morte e psicopompo nell’oltretomba. Quest’ultimo è collocato in un mondo sotterraneo situato a Sud e ha come guardiani “due cani maculati dai quattro occhi, figli di Sarama”. Ancora si dice: “I due cani dai quattro occhi, o Yama, sono i tuoi guardiani, i custodi del cammino e vigilano sugli uomini”. Nel mondo Greco invece faceva di guardia agli inferi il mostruoso Cerbero, un cane a tre teste.

È assolutamente singolare che in entrambe le mitologie a guardia dei morti vi sia un cane, ma una attenta analisi sulla iconografia esoterica del mondo alchemico medioevale e rinascimentale spiega la sorpresa. Sovente infatti il cane è posto vicino all’alchimista, in preda alla fase della “nigredo”, della decomposizione e dissoluzione della materia, fase che fa da preludio alla futura rinascita nell’albedo. Il simbolo pertanto è quello del Dio Saturno che dissolve per poter ricreare e da qui il suo legame con la morte e simbolo del passaggio. Sul passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti il libro X, 135 del RgVeda ci offre ulteriori descrizioni. Il morto è: “collocato su di una nave, che lo porta da qui all’altro mondo”. E si allude al fatto che il morto aveva un dazio da pagare a Yama per il passaggio. Viene impossibile non pensare al mito Greco di Caronte, il traghettatore delle anime nell’Ade che trasportava le anime dei morti da una riva all’altra del fiume Acheronte e che, peraltro, come nei Veda, richiedeva un pagamento per il trasporto.

Gli intoccabili

Nel sistema delle caste indù i paria, o intoccabili, o fuori casta, gli “impuri”, sono coloro che esercitano professioni che hanno a che fare con la nascita (ostetriche, dottori) e la morte (macellaio, conciatore di pelli, giustiziere, crematore). Brahma, l’aspetto creatore di Dio secondo l’Induismo, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo corpo, generando così le caste. Dal monumentale lavoro di Walter Burkert, –La religione greca di epoca arcaica e classica– apprendiamo che le sacerdotesse greche nel periodo di sacerdozio oltre a conservare la loro castità, a digiunare in alcuni periodi dell’anno, dovevano anche evitare assolutamente contatti con partorienti e tutto ciò che ineriva alle nascite, e con i lutti, con tutti quelli che erano parenti di un morto o in contatto con essi. Su questo anche i normali adepti erano tenuti all’osservanza, prima di entrare nel Tempio, dovevano infatti evitare lutti e nascite e, qualora avessero avuto dei rapporti sessuali, dovevano purificarsi con un opportuno Rito prima di entrare nel Tempio degli Dei.

Si vede qui che sia nella religione Indiana che in quella Greca prima di accostarsi agli Immortali, ai Numi Eterni, occorreva affrancarsi da tutto ciò che era in contatto con la morte, la nascita e il sesso, quest’ultimo, come si intuisce, in qualità di artefice sia della nascita e conseguentemente della morte. Visibilmente si capisce che chi voleva penetrare il Mistero di una realtà Eterna e imperitura, quale quella Divina, doveva separarsi, preventivamente, da tutto ciò che è effimero e transitorio, da tutto ciò che per sua natura ha un inizio e una fine, come appunto il nascere e il perire, come a superare l’inganno della molteplicità per poter pervenire all’Unità inalterabile.

La guerra fra Dei

Nei Veda sono presenti diverse classi di Dei, in particolare i Deva e gli Asura. Entrambe abbracciano diverse divinità, così ad esempio nel RgVeda fra gli Asura si annoverano Varuna, Rudra, Indra, Agni, Soma e Savitr. Un’altra classe importante di Dei è quella degli Āditya, i discendenti della Dea Aditī. In un primo momento queste classi convivono e spesso sono le medesime ma a partire da un certo momento entrano in conflitto. In particolare in ṚgVeda; I,32,2-4 si narra di una impresa di Indra in lotta con altre potenze divine e questa guerra porta alla scissione dell’unità originaria con la conseguenza che gli Asura, più primordiali, vengono detronizzati dai Veda. Anche qui, come altrove, si notano dei parallelismi con la mitologia nordica. Gli Asura infatti hanno una forte assonanza con la classe degli Dei scandinavi degli Aesir, perennemente in lotta con la classe divina dei Vanir.

Nel mondo greco questa antichissima lotta fra Dei è magistralmente rappresentata dalla Teogonia di Esiodo nella titanomachia. Gli Dei più antichi e primitivi, figli di Gaia e Urano, i Titani, scendono in guerra con gli Olimpici, capitanati da Zeus, per avere, infine, la peggio, ed essere cacciati nel Tartaro. Sia i Veda quindi, che il Mito Greco, che il Mito Nordico ricordano una guerra originaria fra Dei, a memoria di un intrinseco conflitto fra le forze più primitive e oscure del mondo e quelle più chiare e lucenti, conflitto, sempre presente, che invero riguarda la scissione dell’io nelle sue facoltà più alte e più ctonie, il Mito del “doppio” che sarà poi tanto fertile nella cultura occidentale fino ai giorni nostri. Il tempo cosmico, peraltro, è suddiviso in quattro età sia nel pensiero indiano che in quello ellenico. Le Yuga (o età) indiane sono le età dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro come nel Mito Greco.

Conclusioni

Si è voluto tracciare, con questa breve e inesaustiva analisi, una linea che collega, inesorabilmente, due culture che per molto tempo si è considerate autonome e indipendenti. Alcune concomitanze, nessuno lo nega, possono certamente derivare da un comune sentire degli uomini, pur distanti nel tempo e nello spazio. Ma una articolata, quando variopinta concezione del mondo che si intreccia, come un ordito, nel pensiero di uomini vissuti millenni di distanza fra loro, è una prova quanto mai pervicace di una Rivelazione comune.

 

 

Bibliografia:

– Giorgio Colli; La Sapienza Greca; Adelphi 1977

– Walter Burkert; La religione greca di epoca arcaica e classica; Jaca Book 2010

– A cura di Saverio Sani; RgVeda. Le strofe della sapienza. Marsilio Editore 2000

– Esiodo; Teogonia. Mondadori 2004

– Jean Varenne; L’insegnamento segreto della divina Shakti; Edizioni Mediterranee 2010

 

Emanuele Franz

( relazione, Bergamo 02 Giugno 2018, nell’ambito di una conferenza sulla spiritualità europea)

 

6 Comments

  • Nebel 7 Giugno 2018

    Argomento affascinante, divulgato con chiarezza e fruibile anche ai digiuni, declamato con un linguaggio sintetico e tuttavia accattivante. Una luce nel grigio tedio quotidiano. Grazie.

  • Nebel 7 Giugno 2018

    Argomento affascinante, divulgato con chiarezza e fruibile anche ai digiuni, declamato con un linguaggio sintetico e tuttavia accattivante. Una luce nel grigio tedio quotidiano. Grazie.

  • Nazzareno Mollicone 9 Giugno 2018

    Ma perche’ escludere l’ipotesi che gli Dei – indiani, egizi, greci e romani – non siano stati il ricordo di esseri con poteri e conoscenze molto superiori rispetto ad una umanita’ primitiva provenienti da altri mondi? Mauro Biglino ha smontato il mito di Jahwe della Bibbia ebraica molto efficacemente. E che senso aveva, per un Dio, il sacrificio di animali le cui carni divevano essere bruciate, con preferenza del grasso?

  • Nazzareno Mollicone 9 Giugno 2018

    Ma perche’ escludere l’ipotesi che gli Dei – indiani, egizi, greci e romani – non siano stati il ricordo di esseri con poteri e conoscenze molto superiori rispetto ad una umanita’ primitiva provenienti da altri mondi? Mauro Biglino ha smontato il mito di Jahwe della Bibbia ebraica molto efficacemente. E che senso aveva, per un Dio, il sacrificio di animali le cui carni divevano essere bruciate, con preferenza del grasso?

  • Daniele Bettini 22 Luglio 2022

    Qui bellissimi articoli del Dott. Vineet Aggarwal
    che rispondono a queste ed altre domande :
    http://decodehindumythology.blogspot.com/2012/04/lokas-planets-of-advanced-aliens.html

  • Daniele Bettini 22 Luglio 2022

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