Sosteneva Aleister Crowley di esser già stato sulla Terra in precedenti vite di oscuri e depravati personaggi, incarnazioni di spurgo, con imperfezioni e sofferenze che furono contrappasso di debiti karmici. Ma prima di manifestarsi come poeta, mago e profeta del nuovo eone, Crowley era stato il sacerdote tebano Ankh-af-na-Khonsu, il saggio taoista Ko Hsuan, il papa Borgia che fallì nel tentativo di rettificare il cattolicesimo, di “incoronare il Rinascimento”, poi Cagliostro nato in un postribolo a Tunisi e infine Eliphas Lévi che invocò lo spirito di Apollonio di Tiana.
Più che lecito dubitare di queste affermazioni di Crowley, lui stesso ci invita a farlo sempre e per giunta nell’istruzione volta ad acquistare la memoria magica delle vite precedenti, il Liber Thisharb, ricorda che la pratica stessa “porta allo scetticismo”. Più che una verità oggettiva, un punto di vista assoluto (di chi? di Dio?) esiste forse l’atomico punto di vista, assoluto in sé che si relativizza affrontando “l’eroismo dell’incarnazione”, come recita un brano della Messa Gnostica. Punto di vista che dimorando oltre lo spazio e il tempo può diventare ciò che vuole anche in quello che cronologicamente è già passato. In virtù forse di un clinamen pilotato nel mare dell’eterno ritorno, un trasformare e redimere ciò che è stato, col nietzschiano “non così fu ma così volli”.
Vite immaginarie come esperimenti magici e personalità molteplici Crowley le volle anche confinate nella sua vita terrena. Pseudonimi letterari, titoli nobiliari inventati, nomi iniziatici che corrispondevano ad elevazione della coscienza, momenti dell’arrampicata sull’Albero della Vita. Invitava infatti i suoi discepoli a sperimentare diverse maschere, ad indossare ad esempio quella di un vegetariano e reazionario in politica e poi con agilità da un attimo all’altro quella di un carnivoro progressista.
Non superficiali perché solo letterari pseudonimi bisogna allora cercare, ma “eteronimi”, come li chiamava Fernando Pessoa. Nomi che magicamente diano vita a vite altre, a possibilità inespresse, a vedute potenziali del punto di vista atomico. “Re assoluto nella mia simpatia”, scriveva Álvaro de Campos, eteronimo del poeta portoghese coniato per l’ingegnere futurista e nichilista. Era invito all’espansione della coscienza, quella “ode sensazionalista” in versi liberi intitolata “Il passaggio delle ore”, che si proponeva di “realizzare in sé tutta l’umanità”, amando il tutto, col tutto identificandosi. Fame di vita e d’assoluto che si trova anche negli scritti delle altre incarnazioni letterarie di Pessoa: il classicista Alberto Caeiro, il pagano Ricardo Reis, l’inquieto Bernardo Soares, l’esoterista Baldaya e il filosofo paranoico Antonio Mora.Tanto gli stava stretta quell’esistenza incarnata da intellettuale occhialuto, scrittore e traduttore conosciuto solo nei circoli culturali di Lisbona. Ecco allora il suo immaginarsi marinaio, assassino, vergine che si dà ai bruti, pietra, vento, animale. La ricerca di Dio o del Nulla che infine si congiungono.
C’è un momento nella storia passata in cui quei vortici di vita, quei posseduti da fame d’assoluto, Crowley e Pessoa, s’incontrano. È l’agosto del 1930 e il Britannico sbarca nell’estremo occidente europeo accompagnato dalla sua ultima conquista femminile, la giovanissima artista tedesca Hanni Jaeger. I due scrittori occultisti hanno già avuto contatti epistolari e il fatto che Crowley già saluti Pessoa nel dicembre ‘29 con “Care frater” lascia supporre un rapporto già stabilito di fratellanza iniziatica. La Grande Bestia, al contrario del Portoghese, a cinquantacinque anni è personaggio noto, ormai famigerato in ambienti artistici ed esoterici, nei servizi segreti, per la stampa. Il suo avanzamento spirituale, il suo essere a capo dell’Ordo Templi Orientis e dell’Argenteum Astrum, non lo rende più ricco e fortunato agli occhi del mondo. Sperperata la sua eredità stampando pregiate edizione delle sue opere e in altre attività degne di un uomo di mondo, Crowley sta entrando nella fase finale della sua vita, funestata da malanni e problemi finanziari. Acquirente di quelle opere è Pessoa, che a fatica si è potuto permettere la spedizione dalla terre di Albione dell’autobiografia del mago più famoso del mondo. Ha trovato forse un’inesattezza nel quadro astrologico di Crowley, ha avvertito la casa editrice, la Madrake Press, e così è nata se non l’amicizia, la complicità.
La Bocca dell’Inferno, curato in edizione italiana dal professor Marco Pasi per le Edizioni di Federico Tozzi, ricostruisce quell’incontro raccogliendo tutto il materiale disponibile. C’è l’intero epistolario che coinvolge oltre a Crowley e Pessoa, la Jaeger, Karl Germer (futuro capo mondiale dell’O.T.O) e Israel Regardie, ci sono articoli di giornale d’epoca, un romanzo occultistico-poliziesco non concluso da Pessoa e infine poesie significative. Tutto incentrato sul mistero non tanto della comparsa di Crowley in Portogallo, ma sulla sua scomparsa, il suo inscenato suicidio appunto alla Bocca dell’Inferno, dopo aver scritto un disperato biglietto d’addio alla bella Hanni che lo aveva lasciato ed era tornata a Berlino. Pessoa fu complice di quella messinscena e Crowley ricomparve infatti poco dopo proprio in Germania e non certo per diventare consigliere occulto di Hitler, come favoleggiò René Guénon in una nota lettera a Julius Evola (nel caso avrebbe lasciato Lisbona con meno clamore…).
Perché allora Crowley finse di uccidersi per amore e sparì nel nulla per un po’? Forse lo scopo fu raccogliere clamore che aiutasse le vendite dei libri e il lancio di progetti editoriali che i due avevano in testa? Forse questo ed altro. Dalla seconda lettera Crowley dice di aver considerato l’arrivo dei volumetti poetici di Pessoa come un Messaggio, con M maiuscola. Nel gennaio del 1930 ancora scrive di “punti che mi sembrano in sospeso riguardo al Messaggio”. Pare che in pentola i due avesse qualcosa di grosso, più grosso di una nuova casa editrice. Piena chiarezza non la fa certo il romanzo abbozzato dal Portoghese nei mesi successivi, che doveva rilanciare il fattaccio in veste poliziesca, e rimane probabilmente una delle sue migliori. Forse troviamo solo nelle poesie in calce al volume maggiori verità. A parte l’attrazione più che mistica verso Hanni, che morì pochi anni dopo suicida, Pessoa condensa il senso di quelle fameliche vite in un poche parole: “e come io fui, essendo niente, io sia!.”. Suggello ancor più prezioso del libro e dell’intera vicenda è l’Inno a Pan che compare nell’originale inglese di Crowley e nella traduzione portoghese di Pessoa. Quei versi, quell’invocare “la morte sul corno dell’Unicorno”, quel voler essere “manichino, vergine, Menade, uomo, nella forza di Pan”, chiarirebbero forse il mistero, risulta il vero Messaggio.
Luca Negri
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