11 Ottobre 2024
Ahnenerbe

Una Ahnenerbe casalinga, ottantunesima parte – Fabio Calabrese

La questione delle origini, l’abbiamo visto diverse volte, si situa su di una molteplicità di livelli, e più si risale indietro nel tempo, più essa si amplia. Prescindendo da questioni estremamente lontane da noi, quali le origini della vita o dell’intero universo, i livelli che abbiamo finora considerato sono quattro: le origini dei popoli italici, quelle della civiltà europea (che, come abbiamo visto anche qui varie volte, abbiamo motivi di considerare la civiltà primigenia), quelle dei popoli indoeuropei, quelle della  nostra specie, homo sapiens, e ora non occorrerà tornare a enumerare tutti i motivi che abbiamo di ritenere che essa si sia generata in Eurasia piuttosto che in Africa come pretende l’ortodossia “scientifica” democratica.

Tuttavia, a ben vedere, fra il penultimo e l’ultimo di questi livelli se ne potrebbe inserire anche un quinto, ossia l’origine e la storia più remota dei popoli caucasici, “bianchi”, di cui gli Indoeuropei costituiscono solo una frazione. E’ una questione, va detto subito, che quasi si confonde con quella delle origini stesse della nostra specie, infatti al riguardo le prove archeologiche, i resti fossili sono di un’evidenza solare: i più antichi fossili di homo sapiens che conosciamo, a cominciare dall’uomo di Cro Magnon che rappresenta un po’ il prototipo del sapiens paleolitico, rientrano agevolmente nella morfologia caucasica-europide, mentre le caratteristiche mongoliche e subsahariane (usiamo pure questo termine “politicamente corretto” al posto di uno probabilmente più chiaro, tanto non è la terminologia ad avere importanza) appaiono relativamente tardi e rappresentano l’adattamento a condizioni locali e/o la conseguenza del re-incrocio con popolazioni che avevano preso una strada divergente rispetto al filone principale dell’umanità.

In particolare, abbiamo già visto che la pretesa di ricondurre l’origine di tutti noi al nero subsahariano non ha nessun fondamento scientifico, è un’ubbia ideologica, una favola inventata per scopi “antirazzisti” che non trova nessun fondamento, ed è chiaramente smentita dall’archeologia e dalla genetica.

Abbiamo visto anche, ed è un punto sul quale ora è utile tornare, che la “scienza” ufficiale ci offre un’immagine riduttiva delle popolazioni caucasiche stanziate nella protostoria e in età antica sul suolo europeo e sulle sponde del Mediterraneo.

La tradizionale (ma sarebbe meglio dire convenzionale) tripartizione di esse in semiti (Assiri, Babilonesi, Fenici, Ebrei, Arabi), camiti (Numidi, antichi Egizi, Copti, probabilmente Cananei) e indoeuropei ricalca la narrazione biblica in riferimento ai figli di Noè, Sem, Cam, Jafet da cui si suppone che esse discenderebbero. Noi non dobbiamo dimenticare che la bibbia non è un testo scientifico, e anche come documento storico vale quello che vale, che è stata scritta da gente che non sapeva nulla di quel che esisteva a occidente del Nilo e a oriente dell’Eufrate.

Anche se la bibbia non può, ovviamente, essere riscritta, quanto meno occorre aggiungere un quarto gruppo “mediterraneo” che dovrebbe comprendere Iberici, Liguri (un tempo presenti non solo nell’angolo nord-occidentale dell’Italia ma in gran parte di quella che oggi è la Francia meridionale), Etruschi, Minoici, Pelasgi, per non parlare del quinto gruppo rappresentato dalle popolazioni ugrofinniche, anch’esse di ceppo caucasico e non mongolico come viene dato talvolta a intendere (è interessante notare che oggi in Europa le maggiori percentuali di biondismo si trovano in Ungheria e in Finlandia, cioè nelle aree ugrofinniche per eccellenza), o almeno, questo è quanto riporta Adriano Romualdi in quel bel saggio che costituisce l’introduzione all’edizione italiana di Religiosità Indoeuropea di Hanns F. K. Gunther.

Noi possiamo dunque vedere che la prospettiva dalla quale consideriamo la nostra storia più remota, e che discende dai magnanimi lombi della concezione biblica, non è solo mutila ma è distorta, non soltanto ignora mediterranei e ugrofinni, ma considera poco gli stessi indoeuropei e accentra la sua attenzioni su quelle parti del mondo caucasico, semitiche e camitiche, maggiormente infiltrate al punto di vista genetico da elementi subsahariani.

E le popolazioni non caucasiche? Forse i loro antenati sono giunti su questo pianeta a bordo di dischi volanti?

Ciò premesso, la storia non finisce certo qui. Un elemento di origine caucasica si trova alla base di tutte le grandi civiltà antiche, del Medio Oriente, dell’Asia orientale, dell’America precolombiana. Là dove non c’è traccia di esso, come nel caso dell’Africa nera subsahariana, dell’Australia aborigena, della Nuova Guinea, vediamo che le popolazioni native non si sono schiodate di un millimetro dal paleolitico fino all’arrivo dell’uomo bianco.

Di tutto ciò ho parlato più volte, negli articoli compresi in questa rubrica e in quelli raccolti sotto il titolo Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, ragion per cui ora basterà un riepilogo sintetico. Sul fatto che il più antico popolamento umano dell’Asia sia rappresentato da un substrato caucasico/europide poi sommerso all’espansione delle popolazioni di ceppo mongolico, è una cosa su cui si possono avanzare pochi dubbi, ne è una testimonianza eloquente l’antica cultura dei Kurgan, questi tumuli sepolcrali sparsi per le steppe dell’Asia centrale, cultura che ricercatori come Gordon Childe e Marija Gimbutas identificano con la cultura madre dei popoli e delle culture indoeuropee.

I resti umani inumati nei Kurgan ci rivelano qualcosa di molto interessante, la progressiva sostituzione di un tipo umano caucasico con uno mongolico senza che la cultura materiale si modifichi gran che. Sembra una prefigurazione del destino che toccherà a noi se non la smetteremo di tollerare per buonismo suicida un’invasione che ci si presenta falsamente come immigrazione dal Terzo Mondo.

Si è parlato molto delle mummie di Cherchen, mummie ritrovate nel deserto del Takla Makan, mummie naturali prodotte dal clima torrido e secco che avrebbe conservato questi corpi in condizioni ottimali, corpi che presentano caratteristiche europidi evidenti, “celtiche” le ha definite qualcuno. Tuttavia in questo caso è probabile che si tratti della traccia di un’immigrazione più recente anche se sempre preistorica. Queste persone appartenevano verosimilmente al popolo dei Tocari che ci ha lasciato iscrizioni in una lingua di ceppo indoeuropeo occidentale “centum” (cui appartengono le lingue latine, germaniche, celtiche e il greco, mentre il gruppo orientale “satem” comprende le lingue slave e indo-iraniche). Sempre a questa antica immigrazione europea verso il cuore dell’Asia sono probabilmente da collegare i biondi Kalash e Hunza che tuttora abitano le alte valli del Pakistan.

E’ certamente una cosa che molti troveranno sorprendente, ma noi troviamo una presenza caucasica/europide anche nelle Americhe risalente a molto prima di Colombo e dei Vichinghi, ed è ragionevole supporre che essa sia alla base delle civiltà precolombiane.

Si hanno tracce di popolamento umano nelle Americhe risalenti a 40.000 anni fa, un tempo almeno doppio o triplo rispetto a quello in cui sarebbero iniziate le ondate migratorie attraverso l’istmo o lo stretto di Bering. Chi erano questi antichi americani che avrebbero preceduto gli Amerindi?

 Nel 1999 due archeologi dello Smithsonian Institute, Dennis Stanford e Bruce Bradley, studiando l’industria litica Clovis, la più antica del continente americano, hanno scoperto che essa non presenta nessuna somiglianza con quella della Siberia da cui provengono gli antenati degli Amerindi, ed ha invece una somiglianza spiccata con un’industria litica europea, quella  solutreana. Non basta. Sebbene il sito che ha dato il nome a questa cultura, Clovis, appunto, si trovi nel Nuovo Messico, la maggior parte dei siti in cui compaiono questi manufatti si trova nell’est degli attuali Stati Uniti, concentrata soprattutto attorno alla Chesapeake Bay, la grande baia che lambisce tre stati: Virginia, Delaware e Maryland, oltre al Distretto di Columbia: una disposizione che suggerisce una provenienza dal mare ed un irradiamento da est verso ovest.

Nell’età glaciale, argomentano Stanford e Bradley, il livello degli oceani era significativamente più basso di oggi a causa della grande quantità di acqua imprigionata sotto forma di ghiaccio sulle masse continentali, inoltre un’ininterrotta “linea costiera” di ghiacci si estendeva dalla sponda europea a quella americana dell’Atlantico inglobando l’Islanda e la Groenlandia.

 Per dei cacciatori solutreani che si spostassero lungo di essa a bordo di canoe dando la caccia a foche ed altri animali marini, ipotizzano i due archeologi, raggiungere il Nuovo Mondo sarebbe stato tutt’altro che impossibile.

In tempi più recenti, questo quadro tracciato da Stanford e Bradley ha ricevuto un’imponente conferma dalla genetica. Circa un terzo del genoma degli amerindi risale al tipo paleolitico definito “eurasiatico settentrionale”, cioè lo stesso che costituisce la componente principale del patrimonio genetico degli Europei.

Non va poi dimenticato il rinvenimento a Kennewich nello stato di Washington, di uno scheletro risalente a 11.000 anni fa, l’uomo di Kennewich, appunto, dalle sorprendenti caratteristiche europidi.

Sono inoltre note da tempo popolazioni amerindie accentuatamente “bianche”, nell’America del nord i Mandan oggi estinti, in quella meridionale gli Aracani e i Kilmes, di questi ultimi parla diffusamente Gianfranco Drioli nel suo bel libro Iperborea, la ricerca senza fine della patria perduta (edizioni Ritter).

Tornando più vicino a noi, il caso più sorprendente è forse quello dell’antico Egitto. La civiltà egizia appare come una singolare anomalia, appare come una grande civiltà che spunta dal nulla sorprendentemente “matura” e che nell’arco di tre millenni non innova praticamente nulla (l’unica invenzione “nuova” che vi compare a un certo punto è il carro da guerra, che non è un’invenzione egizia, ma fu portato nella Valle del Nilo dai nomadi Hyksos), ma in compenso sembra semmai perdere capacità tecniche; le grandi piramidi di Saqqara e della piana di Giza, ad esempio, furono opera dei faraoni delle prime dinastie, una tecnica costruttiva che fu poi abbandonata, come se fossero andate perse le capacità tecniche necessarie a realizzarle.

Ebbene, altro fatto di cui si evita graziosamente di informare il grosso pubblico, si è scoperto che le mummie dei faraoni e della maggior parte dei personaggi di alto rango avevano caratteristiche antropologiche differenti da quelle della maggior parte della popolazione che abitava e abita ancora oggi la regione: caratteristiche marcatamente europee, spesso con capelli biondi o rossicci.

Allora le peculiarità della civiltà egizia non potrebbero spiegarsi con la presenza prima, poi con il progressivo affievolirsi a causa degli incroci con la popolazione nativa, di un’élite di origine europea?

Commentando la sessantesima parte della nostra rubrica, un lettore, Roberto Fattore ha scritto: “Forse le antichissime élite egiziane erano provenienti dall’Europa in seguito ai disastri seguiti alla fine dell’ultima glaciazione. Le piramidi della Bosnia appaiono oggi ricoperte di terra, quasi fossero colline naturali, ma si pensa che siano state ricoperte in quel modo dalla marea di fango e detriti dovuti al disgelo della calotta glaciale, quando enormi laghi glaciali riversarono le loro acque sui terreni circostanti. I costruttori di quelle piramidi possono essersi rifugiati in Egitto, dove, forti delle loro conoscenze, acquisirono il dominio sulle popolazioni locali ed eressero le piramidi che oggi conosciamo”.

Devo dire che l’ipotesi avanzata dal nostro lettore mi sembra sommamente plausibile. Certamente, i disastri e le inondazioni provocate dalla fine dell’età glaciale e l’improvvisa liberazione di enormi masse di acqua, devono aver spinto le popolazioni dell’Europa a cercare riparo verso  sud, ed è probabilmente in seguito a questi eventi che si formano le grandi civiltà mediterranee, infatti, ci sarebbe ancora solo una considerazione da aggiungere: per quanto lo stato estremamente precario della conservazione dei resti umani in questa regione permette di stabilire, sembra che un discorso analogo a quello dell’Egitto valga anche per la Mesopotamia, anche qui le élite sembrano aver avuto caratteristiche fisiche europee che le distinguono marcatamente dal tipo indigeno.

Tutto questo l’abbiamo sostanzialmente già visto in varie parti della nostra ricerca (non solo Una Ahnenerbe casalinga ma anche Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?), e forse non varrebbe la pena di tornarci sopra se non fosse per il fatto che probabilmente a questa storia manca ancora un capitolo. E’ verosimile che le antiche popolazioni caucasiche si siano sviluppate in due grandi ramificazioni: un ramo occidentale che avrebbe dato origine alle popolazioni indoeuropee, semitiche, camitiche, mediterranee e ugrofinniche, e un ramo orientale di antica diffusione in Asia ma poi sommerso dalla diffusione delle popolazioni di ceppo mongolico, di cui rimangono alcune aree marginali, come i Daiaki del Borneo, gli Jomon-Ainu del Giappone e i Polinesiani.

Del Giappone, del fatto che in epoca preistorica fosse abitato da una popolazione di ceppo caucasico, gli Jomon, di cui oggi gli Ainu dell’isola di Hokkaido rappresentano verosimilmente il residuo, del fatto che il giapponese odierno, mongolizzato nei tratti fisici, rimane sostanzialmente caucasico a livello animico e psicologico, del fatto che molti tratti della cultura nipponica, la fedeltà agli antenati implicita nella religione dello Shinto, la devozione alla propria terra e alla figura imperiale, il Bushido, il codice cavalleresco dei samurai ci appaiono paradossalmente più indoeuropei, più vicini a noi di quel che troviamo oggi nella “nostra” cultura pesantemente contaminata da elementi semitici: cristianesimo, marxismo, psicanalisi che hanno tutti il marchio di fabbrica dei “figli di Abramo”, abbiamo parlato più volte.

I Polinesiani, partendo dalle isole del Sud-est asiatico si sono espansi per tutto il Pacifico fino ad arrivare quasi alle coste occidentali dell’America (l’Isola di Pasqua che rappresenta la propaggine massima di questa espansione è oggi territorio politicamente cileno), una colonizzazione tanto più eccezionale se pensiamo che fu compiuta con imbarcazioni e mezzi rudimentali, e i Polinesiani sono stati perciò chiamati i vichinghi del Pacifico.

L’ortodossia “scientifica” ufficiale che sembra essersi fatta un sacrosanto dovere di minimizzare anche contro l’evidenza tutto quanto è caucasico, “bianco”, ha voluto assimilare i Polinesiani ai Malesi inventandosi il gruppo maleo-polinesiano, ma a smentirla basterebbe la testimonianza di James Cook. Il navigatore nei suoi diari di bordo ha riferito più volte che i Polinesiani erano di pelle più chiara di quella dei suoi marinai.

Al riguardo, tra l’altro, si può riconoscere un parallelo con quanto constatato da Francisco Pizarro in Perù, che dovette accorgersi che i membri dell’aristocrazia incaica, soprattutto le “coyas”, le donne che costituivano l’harem dell’inca, erano di pelle più chiara di quella degli spagnoli, ma, come abbiamo visto, quello dell’impronta genetica caucasica, “bianca” dell’America precolombiana è un altro capitolo minimizzato o ignorato della nostra storia.

Oggi vediamo sotto i nostri occhi gli esiti (disgraziatamente non gli ultimi) di una politica internazionale tesa a far scomparire l’uomo caucasico sotto la massa delle genti “colorate”, si chiama piano Kalergi. Se ciò riuscisse, distruggendo il tipo umano che è alla base della civiltà e di tutti i progressi della nostra specie, gli avvoltoi che stanno dietro di esso non otterrebbero nessuna vittoria, ma solo di segare il ramo su cui sono appollaiati.

NOTA:

Nell’illustrazione: a sinistra, teschio e ricostruzione di un uomo di Cro Magnon, al centro, statua di un guancio delle isole Canarie, I Guanci sono stati la popolazione vissuta in epoca storica considerata più simile all’uomo di Cro Magnon. Fra i popoli oggi viventi, i più simili ai Cro Magnon e ai Guanci, sarebbero i Tuareg, e a destra una donna tuareg, la cantante Hindi Zahra. E’ dunque ben visibile se “il prototipo” della nostra specie sia rappresentato da una tipologia umana subsahariana o non piuttosto caucasica.

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