12 Ottobre 2024
Economia

L’incubo debito e spread – Enrico Marino

Si definisce “avanzo primario” e rappresenta un importante indicatore dello stato di salute dei conti pubblici in quanto misura la differenza tra le entrate e le uscite dello Stato al netto del costo del debito pubblico.

L’avanzo primario viene calcolato sottraendo alla spesa pubblica le entrate tributarie ed extra-tributarie e la parte di spesa pubblica finanziata con emissione di base monetaria, cioè con i titoli di Stato.

In sostanza, si ha un avanzo primario allorchè grazie a politiche di contenimento della spesa pubblica quest’ultima (al netto degli interessi sul debito) è addirittura inferiore alle entrate.

E’ quanto accade in l’Italia dove da 27 anni si registra un notevole avanzo primario con cui, peraltro, si sono finanziati gli interessi passivi sul nostro debito pubblico, per effetto dei quali la situazione di avanzo primario da noi si trasforma in daficit.

Infatti, tutti i sacrifici degli italiani vengono azzerati dalla spesa per interessi che sono costretti a pagare per finanziare l’enorme debito accumulatosi negli anni.

Quando si parla di debito peraltro non si fa riferimento al valore assoluto dell’indebitamento italiano, che ha raggiunto ormai circa 2.300 miliardi di euro ed è difficilmente abbattibile. Si fa riferimento piuttosto alla necessità di far calare il rapporto tra il debito e il Pil, cioè la ricchezza nazionale. Il debito pubblico italiano nel 1981 si trovava ancora al 60% del Pil. perché dal 1975 la Banca d’Italia si era impegnata a garantire il successo delle aste dei titoli di Stato, stampando moneta per comprare le obbligazioni rimaste invendute. In questo modo il costo dell’aumento del debito spariva dai conti pubblici mantenendo in sostanziale equilibrio il rapporto debito/Pil.

Il principio che la Banca d’Italia fosse garante d’ultima istanza del debito nazionale era valido e sarebbe risultato ancora più valido se la cronica avversione dei Governi dell’epoca alla disciplina di bilancio e la loro dissennatezza non avessero condannato l’Italia.

Infatti, in questo contesto nel luglio 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi avviarono il “divorzio” di via Nazionale dal Tesoro, liberando l’Istituto di emissione dall’obbligo di acquistare i titoli di Stato invenduti e rendendolo indipendente nelle sue scelte di politica monetaria.

La decisione, venne assunta nell’ambito di precisi accordi di programma europei per permettere alla lira di restare all’interno del Sistema monetario europeo (SME), la banda di fluttuazioni tra le valute del vecchio Continente introdotta nel 1979 e destinata a diventare il nucleo della futura Unione monetaria.

Così, il nostro Paese arriva al 1982 in condizioni sudamericane: l’inflazione viaggia intorno al 17% divorando il potere d’acquisto di stipendi, risparmi e pensioni, i tassi d’interesse all’inizio dell’anno superano il 25%, lo spread tra i decennali italiani e quelli della Repubblica federale tedesca (BUND esanleihen) tocca l’inimmaginabile record di 1175 punti base. Una vetta mai più raggiunta nemmeno durante la crisi del debito sovrano del 2011 che costò il posto a Berlusconi e spianò la strada a Monti (574 punti base).

Quando con i trattati europei tutti i poteri e le decisioni di politica monetaria vengono trasferiti a Francoforte, lo Stato privato della sovranità monetaria, non potendo più creare moneta dal nulla (facoltà riservata solo alla BCE), per reperire la moneta ha solo tre possibilità:

  1. chiederla in prestito ai mercati dei capitali privati (es. banche private) attraverso il collocamento sul mercato primario dei Titoli di Stato (che poi costituiscono il debito pubblico);
  2. sottrarla a cittadini e imprese attraverso l’aumento delle tasse e i tagli alle voci di spesa pubblica più sensibili (sanità, pensioni, sicurezza, istruzione, giustizia etc);
  3. favorire l’ingresso di capitali esteri attraverso gli investimenti stranieri e le esportazioni.

Per quanto riguarda la seconda opzione, occorre osservare che nel caso dello Stato la minore spesa non è sempre un bene perché la spesa contribuisce anch’essa al Pil. Se lo Stato adotta politiche di austerità e, ad esempio, interrompe gli investimenti o i progetti infrastrutturali, il Pil scende perché vengono meno commesse, lavori, sviluppo e quindi prodotto interno lordo. E infatti, le politiche di rigore, austerità e contenimento della spesa e i parametri economici imposti da Bruxelles, in questi anni, hanno puntato esattamente solo alla creazione di un consistente avanzo primario, a cui ha però corrisposto un enorme massacro sociale.

La Grecia, grazie alle ricette economiche imposte dagli “amici” dell’Ue e del Fmi, ha fatto questo genere di economia e di avanzo primario nella misura del 4% del Pil, operando dei tagli draconiani alla spesa pubblica e accanendosi verso la ricchezza collettiva e le tutele sociali, massacrando la sanità, le pensioni e l’assistenza sociale, riducendo il popolo alla fame.

E infatti, se Atene brucia la protezione civile non ha neppure i mezzi per spegnere gli incendi, mentre alcuni beni pubblici greci sono finiti nei patrimoni delle banche tedesche e fra la popolazione, privata di un sistema sanitario minimo, si registra un boom di Hiv e tubercolosi.

La terza opzione è stata quella adottata con le ricette dell’austerità di Monti e della Fornero. Intervistato dalla CNN, Mario Monti si è espresso così:

Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale. Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa“.

Come si distrugge la domanda interna? Alzando le tasse e svalutando i salari. Così la gente non ha più soldi e compra di meno. Ma non basta: per impedire allo Stato di alzare la spesa a deficit, cioè di investire sui cittadini, mediante politiche sociali (esempio: reddito di cittadinanza) o creando lavoro, si inventa il “pareggio di bilancio” e lo si mette addirittura nella Costituzione, così da rendere impossibile qualunque ripensamento. Se si costringe la somma delle entrate e delle uscite di uno Stato ad annullarsi a vicenda e si punta tutto sulle esportazioni si deve per forza massacrare i portafogli. E’ quello che ha fatto Monti quando ha preso il potere per tagliare le pensioni e distruggere la domanda interna, come gli avevano chiesto le lobby finanziarie, delle quali egli ha perseguito a lungo il vantaggio materiale come presidente europeo della Commissione Trilaterale e membro direttivo del Club Bilderberg.

Abbiamo avuto imprenditori che si sono suicidati, milioni di poveri, italiani che hanno perduto il lavoro e la casa, giovani costretti a cercare fortuna all’estero, ma questa azione politica è stata addirittura impunemente e sfacciatamente rivendicata. Sempre Monti in precedenza aveva detto:

Nei momenti di crisi più acuta ci sono i progressi più sensibili. Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di gravi crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti di sovranità nazionali a un livello comunitario. E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. […] Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti, ma quando una crisi sparisce rimane un sedimento, perché si sono messi in opera istituzioni, leggi eccetera per cui non è pienamente reversibile”.

Più chiaro di così il piano di coloro che vogliono il NWO e più Europa non potrebbe essere illustrato. E’ il piano dei nuovi Kalergi, coordinato a livello politico sovranazionale dall’Onu e a livello economico dal Fmi. E’ il piano delle élite finanziarie transnazionali e dei burocrati europei che ne fanno parte.

E’ il piano che col pretesto della stabilità, del rapporto deficit/Pil, del pareggio di bilancio e della economia globalizzata, impone il taglio dei costi di produzione e, siccome le materie prime si pagano sempre, lo realizza pagando di meno gli stipendi, comprimendo i diritti dei lavoratori (ad es.: con la modifica dell’articolo 18) e, per costringerli ad accettare uno standard di vita meno dignitoso, li getta nella crisi più nera, svendendo tutto il patrimonio di economia nazionale e permettendo ai nuovi padroni di delocalizzare all’estero. E’ il piano che toglie le case con Equitalia, costringe le fabbriche a chiudere e blocca il turn-over nella P.A. e, così, riducendo l’offerta di lavoro accresce e indebolisce la domanda, cioè crea milioni di persone senza reddito disposte a qualunque cosa pur di avere un tozzo di pane. E’ il piano che inventa il lavoro a termine, precario, senza tutele e sottopagato.

Lo strumento migliore per conseguire questi obiettivi, peraltro, era privare la politica di ogni potere decisionale, la democrazia di ogni capacità di rappresentanza, lo Stato di ogni sovranità monetaria.

Sottratta a ogni controllo l’economia finanziarizzata ha preso il sopravvento su ogni dominio.

Abolita la Legge bancaria del 1936 per responsabilità di Mario Draghi, il padre del Testo unico bancario del 1993 e, di fatto, rimessa in piedi la pericolosa commistione fra banche commerciali e banche d’affari, il sistema s’è sempre più privatizzato. La banca è diventata una Spa e s’è imposto il concetto della migliore efficienza. In realtà, è cambiata completamente la mission del sistema creditizio che non s’è più indirizzato verso la qualità del servizio ma la massimizzazione dei profitti. Le banche sono diventate sempre più private, sempre più straniere e hanno smesso di raccogliere il risparmio privato per indirizzarlo sulle imprese che investono o nelle famiglie, per convogliarlo invece nella maggior parte sui mercati finanziari.

Con la internazionalizzazione del debito pubblico, la finanza ha messo un cappio al collo agli Stati impedendo loro di impostare liberamente le politiche economico-sociali, obbligandoli a procurarsi le risorse delle quali necessitano sul mercato, presso investitori e speculatori che ne determinano le aste e le condizioni, a servirsi di operatori specialistici come Goldman Sachs, Gp Morgan o Morgan Stanley e a sottoporsi, infine, al giudizio di apposite Agenzie di rating incaricate di valutarne le performance economiche e l’affidabilità sotto il profilo del debito pubblico. Il rischio spread che può scaturire al termine di questo prestabilito percorso finanziario è solo il frutto prima di una dissennata volontà politica e poi di una scelta tecnico amministrativa operata a monte.

Per questo, secondo molti esperti, quello del debito pubblico è un grande inganno, come dimostrerebbe il fatto che Paesi come il Giappone e gli stessi Stati Uniti hanno i debiti pubblici più rilevanti del mondo ma possono tranquillamente non curarsene.

Per questo, il debito è solo il terminale di un disegno criminoso deciso sulla testa dei popoli, di una strategia complessiva che fonda tutte le sue possibilità di riuscita sull’esistenza di una élite di potere che domina incontrastata, attraverso il controllo della meta-finanza e attraverso la costruzione di un’unica, enorme, sovrastruttura tecnocratica dove il controllo democratico è inesistente, dove i think-tank sostituiscono i parlamenti, alla quale i socialismi europei hanno venduto l’anima, per l’ossessione ideologica di impedire l’ascesa di nuovi fascismi e sperando di riuscire finalmente ad assicurarsi quella vittoria politica che cercano da un secolo: creare una “Internazionale” finalmente vincente e definitiva. Un progetto che ha come termine ultimo la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

E’ questa scelta politica, questo progetto, queste dinamiche economiche che vanno capovolte.

Poiché la maggior parte del debito deriva dagli interessi da cui sono gravati i nostri titoli e poiché la collocazione dei titoli è controllata da questo sistema finanziario e viene gestita con queste modalità, per cui gli investitori ci prestano i soldi alle loro condizioni determinando per noi il rischio spread, è esattamente questo sistema che occorre modificare e di questa gabbia dobbiamo liberarci.

Prima i Btp erano una eccezione, sono nati per andare incontro alle esigenze degli speculatori.

Bisogna tornare indietro, a titoli di durata breve, per corrispondere interessi più bassi e per garantire al cittadino che non fa speculazioni e investe i suoi risparmi che questi sono al sicuro e che in qualsiasi momento, quando servono, deve poterli riprendere

Visto che la normativa europea vieta alla Banca centrale di comprare titoli in asta e di prestare soldi agli Stati e a tutti gli enti pubblici tranne che alle banche pubbliche attualmente, con questo sistema, nelle aste dei titoli di Stato la Cassa Depositi e Prestiti potrebbe comprare in Italia l’invenduto. Se si nota che il prezzo sale troppo può interviene la Cassa e comprare una parte dei titoli e poi rivenderla nei giorni successivi sul mercato, come fanno in Germania e come fanno anche in Francia. Non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno per questi interventi, nessuna norma nazionale o internazionale li vieta. In tal modo si può calmierare l’interesse da corrispondere sui titoli.

Inoltre, dobbiamo ricordare che solo una parte del debito italiano è in mano a stranieri.

I maghi della finanza ci hanno messo nella condizione di farci prestare i soldi dai mercati consentendo sostanzialmente a loro di decidere le condizioni e oggi è evidente che le condizioni si sono adattate al loro interesse, cioè quello di guadagnare il più possibile. Possiamo fare il contrario. Sapendo che c’è una massa enorme di liquidità (4.200 miliardi di risparmi) si possono invitare gli italiani offrendo loro l’1% o il 2% per un certo tempo, invogliandoli a investire. Con quanto arriva si potranno riacquistare i Btp sul mercato e, poco alla volta, nazionalizzare il nostro debito pubblico, facendo crollare lo spread. Con i miliardi investiti dagli italiani possiamo salutare la Commissione europea e i vari Junker e Moscovicì e gli speculatori internazionali, la Deutsche Bank, i fondi europei e americani, i vari Goldman Sachs e compagni.

Gli restituiamo i loro soldi, ma gli diciamo basta, la pacchia è finita.

Enrico Marino

 

Fonte immagine copertina: Web

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