Di Fabio Calabrese
Alcune delle cose che ho finora pubblicato su EreticaMentehanno provocato commenti e destato reazioni ben più di altre, e in particolare da questo punto di vista il mio recente Italiani e mandei sembra avere battuto tutti i record. C’è da dire in premessa che questo articolo ha una struttura un po’ insolita. Tempo fa mi sono trovato fra le mani due soggetti ciascuno dei quali mi è sembrato utilizzabile per un mezzo articolo: una ricerca sulla genetica degli Italiani, e a scoperta dell’esistenza attuale dei mandei, seguaci di Giovanni Battista, che da sola basta a rendere poco plausibile l’episodio evangelico del battesimo di Gesù, perché se le cose fossero andate come i vangeli ci raccontano, i mandei sarebbero dovuti sparire di colpo, diventando tutti cristiani. Ho messo insieme le due cose in questo articolo che ha ottenuto l’apprezzamento di alcuni e critiche molto dure da altri, ha quanto meno suscitato un vivace dibattito.
Una cosa della quale io mi rendo conto meglio di quel che alcuni lettori forse pensano, è la misura in cui le critiche alla religione cristiana possono risultare sgradite, perché molti – la maggior parte di noi – sono abituati a considerare le dottrine di questa religione “la verità” per definizione nonché il fondamento del proprio sistema di valori, e tuttavia non è possibile rinunciare a esprimere il proprio pensiero per quanto altri possano trovarlo disturbante o provocatorio.
In particolare coloro che si definiscono tradizionalisti cattolici o cattolici tradizionalisti (c’è un’incertezza su quale sia il nome e quale l’aggettivo, che non è soltanto semantica) si trovano in una contraddizione che a scadenza non lunghissima imporrà inevitabilmente una scelta: o con una Chiesa sempre più progressista e mondialista, o in difesa delle nostre tradizioni, della nostra cultura, della nostra etnia, del nostro genos, senza alcuna possibilità di tenersi nel mezzo. Ma questa non è colpa mia, è nella forza inevitabile delle cose.
Non voglio infierire su costoro, ma vorrei riferirvi di qualcosa che mi ha davvero sorpreso: qualcuno ha giudicato il mio articolo “insopportabilmente fazioso” non in relazione alla parte in cui si parla di religione, ma a quella dove si parla della genetica degli Italiani, riferendo a tal proposito una recente ricerca scientifica che sostiene che, appunto dal punto di vista genetico, gli Italiani ci sono, esistono.
Cosa ci sia di fazioso nel riportare i dati di una ricerca scientifica che suggerisce che le differenze genetiche fra le popolazioni delle diverse parti dell’Italia siano minori di quanto si è finora supposto, questo è tutto da capire, ma l’impressione complessiva è che il commentatore non abbia letto il mio articolo ma se lo sia fatto raccontare da un amico che andava di fretta. Io per esempio non ho affermato che secondo i ricercatori da me menzionati la presenza di geni non caucasici sia maggiore nei Tedeschi che negli Italiani, ma che per quanto riguarda noi, essa si situa sull’1-2%, cioè pressappoco la stessa percentuale che si riscontra fra i Tedeschi e pressoché ovunque in Europa a eccezione della Russia dove si riscontra una più consistente presenza di geni mongolici.
Io non ho mai affermato che fra gli Italiani esisterebbe una totale uniformità genetica, ma ho semplicemente riportato il giudizio degli autori dello studio, come chiunque può verificare, che le differenze che esistono fra nord e sud della Penisola sono state esagerate per motivi politici. D’altra parte, pensate che fra un tedesco di Kiel e un bavarese o fra un parigino e un marsigliese non esistano differenze?
Il punto è un altro, assolutamente un altro. In qualsiasi altro luogo di questo pianeta che non sia questa sfortunata Italia, un articolo che evidenzia l’unità di fondo della nazione interessata, vuoi considerando fattori genetici vuoi culturali, anche quando parliamo di nazioni razzialmente ibride come gli Stati Uniti o il Brasile, potrebbe essere magari giudicato scientificamente scorretto ma di certo non solleverebbe l’indignazione che si scorge nelle parole del commentatore che, come vi ho detto, mi definisce “insopportabilmente fazioso”.
Da dove nasce tutto questo livore antinazionale? Non è una domanda a cui sia difficile rispondere. Se guardiamo la nostra storia con attenzione, vediamo in controluce tutta la fragilità della nostra unità nazionale, le cicatrici o le piaghe ancora aperte lasciate da quindici secoli di frammentazione politica, di dominazioni straniere, di assenza dello stato nazionale, che si sono portati dietro, hanno proiettato fino al presente un codazzo di localismi e separatismi.
Come se non bastasse, c’è una destra che non è meno antinazionale della sinistra, una destra che sogna gli stati pre-unitari e si alimenta di campanilismi e municipalismi. Negli anni ’70, quando Giorgio Almirante accolse i monarchici dentro il MSI dando alla “destra nazionale”, compì un’operazione che allontanava ancor più il suo movimento dal fascismo e lo portava su posizioni nettamente “badogliane” (creando le premesse di tutto quel che sarebbe successo più tardi), ma la cosa aveva un involontario pregio, l’implicita ammissione dell’esistenza accanto alla “destra nazionale” di una destra antinazionale.
Le diatribe anche furibonde che due anni fa hanno accompagnato il centocinquantenario dell’unità nazionale sono una chiara testimonianza che essa non solo esiste, ma è più consistente di quel che avremmo creduto, e costituisce una ragione di più per ribadire che NOI NON SIAMO DI DESTRA, che siamo costretti a chiamarci con una brutta metafora “di estrema destra” soltanto perché delle leggi liberticide ci proibiscono di usare il nostro vero nome.
I motivi per cui una certa destra è schierata su posizioni nettamente antinazionali (ne faccia o non ne faccia parte il sedicente commentatore) non sono certamente un mistero: il raggiungimento dell’unità nazionale per l’Italia è stato il portatore di quel movimento “risorgimentale” liberal-democratico che ha le sue radici nelle rivoluzioni inglesi del 1640 e 1688 e in quella francese del 1789, che hanno fatto passare il potere “dai castelli alle banche” e distrutto l’ordine dell’Europa tradizionale.
Io penso che il problema qualche volta si sia posto alla riflessione della maggior parte di noi se non di tutti, la scelta fra due fedeltà irrinunciabili e apparentemente inconciliabili: quella verso la nostra nazione e quella verso valori e istituti tradizionali dell’Europa che la sovversione liberal-democratica e marxista ha minato per lasciare spazio al dominio liberal-massonico del capitalismo affarista e parassitario.
Tre anni fa all’incirca, perché lo scrissi prima dell’arrivo del fatidico 2011, poiché le polemiche erano già scoppiate in anticipo, redassi un ampio articolo (forse si può definire un saggio) che mi fu poi pubblicato sul n. 70 de “L’uomo libero”: Il grande equivoco. Il grande equivoco è quello che aduggia la nostra storia patria: quando parliamo del Risorgimento, in realtà parliamo di due fenomeni diversi che non andrebbero assolutamente confusi: da un lato l’insorgenza spontanea del nostro popolo in nome della libertà dallo straniero e dell’unità nazionale, dall’altro un movimento di uomini con tutt’altre finalità che a un certo punto si è impadronito di essa.
In un certo momento, il movimento liberal-massone che, essendo un movimento internazionale e cosmopolita, ben poco avrebbe avuto a che spartire con la nazionalità, si è impadronito del nostro moto di riscatto nazionale e se n’è servito per i suoi scopi. Chi fossero questi “patrioti” liberal-massoni in realtà non è difficile da capire: tutte le volte che l’interesse nazionale italiano contrastava con quello della loggia, era quest’ultimo a prevalere, e questo ci dà la misura esatta di quale fosse la loro vera “patria”.
Un paio di esempi tanto per chiarirci le idee. Nel 1861 i garibaldini repressero con durezza la rivolta contadina di Bronte. Garibaldi era sceso in Sicilia con un migliaio di volontari, una forza del tutto insufficiente, persino ridicola, per conquistare oltre all’isola un regno esteso a metà della penisola italiana, senza un forte ed entusiastico appoggio popolare, eppure pochi anni dopo lo scollamento fra le plebi meridionali che diedero vita alla resistenza denigrata sui libri di storia come brigantaggio, e lo stato unitario, era completo, ed era cominciato proprio a Bronte e con altri episodi simili, ma lì c’era la ducea di Nelson, c’erano interessi inglesi da proteggere.
Nel 1870 con la guerra franco-prussiana i garibaldini corsero in aiuto dei Francesi, eppure la Francia era in quel momento l’ostacolo all’annessione di Roma, al completamento dell’unità nazionale. Con la Prussia di Bismark grazie alla cui vittoria di Sadowa avevamo avuto il Veneto nel 1866, non c’era alcun contenzioso a livello nazionale, era l’odio ideologico liberal-massone dei garibaldini contro Bismark che rappresentava la rinascita del principio autoritario e aristocratico, che prevaleva sull’interesse nazionale.
Se Mussolini e il Fascismo non avessero altri meriti nella storia italiana, almeno questo dovrebbe essergli obiettivamente riconosciuto, di aver determinato concretamente la netta separazione fra la causa nazionale italiana e l’internazionalismo liberal-massonico.
Oggi gli Italiani vorrebbero essere Galli cisalpini, della Magna Grecia, Etruschi, tutto meno che italiani. Realizzata l’unità della Penisola, i liberali risorgimentali non si sono preoccupati di “fare gli Italiani”, hanno tenuto a maggioranza della popolazione ai margini dello stato unitario. Settant’anni di repubblica democratica hanno riversato sul nome dell’Italia quanto più fango possibile, e l’unico regime che ha cercato di infondere negli Italiani la fierezza di essere tali è quello durato dal 1922 alla Seconda Guerra Mondiale. Ma non è di essere italiani che ci dobbiamo vergognare, è la repubblica democratica e antifascista che dovrebbe farci schifo.
Coloro che per un malinteso senso identitario si schierano contro la nazione in nome del municipalismo e del campanilismo, non si rendono probabilmente conto di essere complici involontari del progetto di dominazione mondialista. Ne avevamo già parlato (Identità vere e false). Rileggiamo le parole di Gert Honsik, la cui validità e rispondenza ai fatti è testimoniata dalla lunga detenzione subita a opera della dittatura democratica per aver svelato al mondo “Il piano Kalergy in 21 punti”:
«Kalergi proclama l’abolizione del diritto di autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni PER MEZZO DEI MOVIMENTI ETNICI SEPARATISTI o l’immigrazione allogena di massa».
Non è forse chiaro? Le pseudo-entità separatiste costituite su base regionale non avrebbero la forza di opporre all’ondata mondialista quella resistenza che le nazioni possono ancora offrire. Coscienti o no di ciò, campanilisti e separatisti lavorano per il nemico.
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