2. La nascita del fascismo e la massoneria
La crisi economica dell’immediato dopoguerra è determinata dalla ricaduta delle spese di guerra sull’economia nazionale, dall’abbandono delle campagne per la chiamata alle armi dei contadini che aveva portato ad una gravissima contrazione della produzione agricola e, dunque, alla crisi alimentare. L’industria, che aveva sostenuto lo sforzo bellico, paga lo scotto del mancato adeguamento degli impianti, e della mancanza di capitali per poterlo effettuare, anche perché le banche non hanno i capitali necessari per poter finanziare gli ammodernamenti dell’agricoltura e dell’industria. Inoltre, la spinta determinata dalla partecipazione popolare alla guerra, che per la prima volta è guerra di massa, nonché l’entusiasmo dei partiti marxisti cresciuto in seguito alla rivoluzione russa, si unisce alla scelta, per la prima volta dall’Unità, di un sistema elettorale proporzionale, che diminuisce il peso dei notabili, anche per la permanenza del suffragio universale maschile, con una conseguente generalizzata domanda di partecipazione alla vita politica, che fino alla guerra era stata questione ristretta alle conventicole (1). Nell’immediato dopoguerra esplodono, inoltre, quelle forze che già erano in nuce in fenomeni apparsi a cavallo tra i due secoli: futurismo, sindacalismo rivoluzionario, neoclassicismo, caratterizzati da una forte carica antisistema, carica che ora trovava il suo detonatore in una vera e propria rottura tra le élites intellettuali e la sclerotica burocrazia dell’apparato statale, ivi compreso il Parlamento (2).
Alle problematiche economiche e sociali, si uniscono le rivendicazioni patriottiche. I nazionalisti come Alfredo Rocco avevano visto lungo nel paventare il “pericolo” anglo-francese : l’alleanza con le forze dell’Intesa aveva facilitato il disegno britannico di uno stato degli slavi del Sud a discapito delle rivendicazioni italiane sull’Adriatico Orientale (3). Il trattato di Versailles dà la stura alla percezione di una vittoria “mutilata” (4), e alla classe politica venne addebitata anche l’incapacità di far valere sul tavolo della pace il valore militare (5). Di fronte a queste sfide, i “notabili” sono incapaci di intuire il cambiamento. L’ala riformista del partito socialista viene travolta dai massimalisti, in piazza prima che negli organismi di partito (6). I socialisti italiani non aderiscono alle posizioni “moderate” della conferenza di Berna; un’ondata di scioperi sconvolge la Nazione aggravando la crisi economica. Sull’altro fronte, nazionalisti e futuristi fanno leva sullo spirito di révanche dei reduci, verso cui i socialisti dimostrano di sottovalutare il peso specifico all’interno della società italiana. Mussolini, che durante la guerra era diventato il perno dei movimenti “trinceristi”, chiama a raccolta i reduci per una “rivoluzione nazionale” con il fine portare al governo una classe dirigente di combattenti (7). L’appello è raccolto, e vengono fondati i Fasci Italiani di Combattimento «… il 23 marzo 1919, in un palazzo di piazza San Sepolcro, parteciparono un centinaio di persone, quasi tutti militanti della sinistra interventista: ex socialisti, repubblicani, sindacalisti, arditi, futuristi. Dalla sinistra rivoluzionaria provenivano anche i dirigenti del nuovo movimento, in massima parte giovani e giovanissimi appartenenti alla piccola borghesia. Il primo segretario generale dei Fasci di combattimento fu Attilio Longoni, lombardo, ex sindacalista rivoluzionario» (8). Indipendentemente dalla partecipazione di molti massoni alla fondazione dei Fasci, che in sé non rileverebbe (come era accaduto in epoche precedenti, massoni erano distribuiti in tutte le formazioni), va notato che, all’inizio, non vi erano molti motivi di conflittualità tra Fascismo e Massoneria. In fondo, i “nemici” erano i medesimi: la classe politica al tramonto, i socialisti, il partito popolare (9).
Sia il GOI, sia la Gran Loggia, evitano di essere ostili al fascismo nascente, ma non risponde a verità quanto spesso si sente dire, circa i finanziamenti che “la massoneria” avrebbe erogato ai fascisti. Fino alla marcia su Roma, vi furono finanziamenti da parte di fascisti massoni, ma non si ha notizia di erogazioni dal fondo dell’Associazione, né dell’apertura di sottoscrizioni. Dopo la conquista fascista del potere, le cose cambieranno, come vedremo. Eugenio Chiesa, che dopo la Guerra diventerà Gran Maestro del GOI, sostiene che vi sono finanziamenti di singoli massoni al fascismo, ma «a titolo personale», senza coinvolgimento della Fratellanza (10). I fascisti si presentano alle elezioni del novembre 1919 senza ottenere alcun seggio, mentre la svolta massimalista dei socialisti viene premiata dagli elettori, che consegnano loro la maggioranza relativa. Il Parlamento che esce da quelle elezioni ha, però, una maggioranza fortemente frammentata. L’instabilità politica si unisce alle violenze di piazza, in quello che passerà alla storia come “biennio rosso”. Il radicale Francesco Saverio Nitti, chiamato a presiedere un governo di minoranza, non riesce a garantire stabilità. Vittorio Emanuele III chiama il vecchio Giolitti, che reitera la tattica attendistica già utilizzata a cavallo tra i due secoli. I fascisti imprimono una svolta alla loro azione politica. Si presentano come garanti di un ordine che il governo non riesce a garantire.
Una storiografia “orientata” interpreta questa svolta come determinata dai finanziamenti erogati ai fascisti da agrari ed industriali “spaventati” dalla possibile vittoria bolscevica. Tale interpretazione è a nostro avviso faziosa. Come è stato acutamente notato: «Se lo squadrismo poté operare ed estendersi ciò non fu dovuto infatti solo all’essersi fatto difensore degli interessi economici lesi dal movimento dei lavoratori e, specie nelle zone agricole, di essersi messo addirittura al soldo di tali interessi. Oltre agli interessi materiali, per due anni erano stati lesi anche molti interessi e valori morali, che invano si era sperato fossero tutelati dallo Stato» (11). L’ “ordine” di cui i fascisti si propongono come garanti non è quello caro alla classe economica dominante, è quello profondo, che interessa il tessuto morale dell’intera società, è l’esigenza di un ordinato vivere, della tutela di valori come la Patria, la famiglia, l’onore. Emilio Gentile (12) definisce lo squadrismo fascista come «massimalismo dei ceti medi», ma a sommesso avviso di chi scrive tale definizione è riduttiva. È certamente vero che il ceto medio è numericamente cresciuto, è certamente vero che la maggior parte dei fascisti proviene dal ceto medio, ma collegare la definizione a tali constatazioni appare ispirata alla logica del post hoc, ergo propter hoc. Il “sogno” fascista, la sua “volontà di potenza” non è da “ceto medio”. La visione eroica dell’azione politica è da élite nel senso paretiano del termine. E l’appoggio iniziale della massoneria al fascismo è determinato da questa convergenza “ideale” sull’esigenza di creare una “avanguardia” capace, da una parte, di rovesciare uno stantìostatus quo e, dall’altro, di porsi come argine alla sovversione bolscevica.
Verso il regime fascista
Nel 1920 i Fasci crescono in modo esponenziale, mentre si spengono i fuochi del biennio rosso. La politica temporeggiatrice di Giolitti ha dato i suoi frutti: come all’epoca dellasuccessione a Di Rudinì, il vecchio piemontese ha saputo resistere alla tentazione della repressione violenta, ed alle pressioni degli industriali, e le occupazioni delle fabbriche sono cessate per consunzione naturale (13). Neanche Giolitti, tuttavia, riesce a garantire stabilità, per cui il Parlamento viene sciolto e, nel maggio 1921, si svolgono le elezioni anticipate. I fascisti si presentano nei blocchi nazionali, alleati con Giolitti, ed eleggono 35 deputati. La Camera è frammentata ancora una volta, con tre gruppi sostanzialmente omogenei: socialisti, popolari e blocchi nazionali. Nel frattempo, si è svolto a Livorno il XVII Congresso socialista, che ha visto uscire dal partito la fazione comunista, con la nascita del P.C.d’I., che alle elezioni consegue un esiguo numero di seggi. L’incarico di formare il governo viene affidato al riformista Ivanoe Bonomi, mentre continuano le violenze di piazza. A Bonomi succede Facta, ma è chiara a tutti la crisi della democrazia parlamentare. Due elezioni succedutesi a distanza di due anni, ben 4 governi nello stesso periodo, ugualmente incapaci di garantire un minimo di ritorno alla normalità, incapaci di contenere le violenze tra le fazioni politiche (14).
Il fascismo, che nell’originario programma sansepolcrista aveva prefigurato una continuità della democrazia parlamentare, dà spazio alle sue componenti più rivoluzionarie. Dirà nel 1935 Togliatti: «… è un grave errore il credere che il fascismo sia partito dal 1920, oppure dalla marcia su Roma, con un piano prestabilito, fissato in precedenza, di regime di dittatura, quale questo regime si è poi organizzato» (15). Alla fine del 1921, il movimento “antipartito” diventa partito. Viene fondato il PNF (Partito Nazionale Fascista) ed alla segreteria viene chiamato Michele Bianchi, proveniente dalle fila del sindacalismo rivoluzionario, caratterizzato da una forte carica antiparlamentare. Voci insistenti vogliono Michele Bianchi massone dell’obbedienza di piazza del Gesù (16). Ove lo sia, non deve stupire che un avversario dell’istituzione parlamentare aderisca ad una fratellanza che nella sua azione politica “esterna” ha sempre parlato di democrazia (lo stesso appoggio all’Intesa nella Prima guerra mondiale fu giustificato dalla necessità di allearsi con le “nazioni democratiche”). Come abbiamo già detto, l’obbedienza di piazza del Gesù si caratterizza per la sua collocazione definita “reazionaria” dal GOI (17), ma l’istituzione parlamentare appare vetusta anche ai fratelli del GOI, a cui appartiene uno dei leader dell’interventismo nel 1914-15, il calabrese Vincenzo Morello (18), che sulla Tribuna del 29 maggio 1921, scrive che non è possibile concepire lo Stato se non come una dittatura: «… dittatura intellettuale, morale sia pure: ma dittatura. Soltanto l’imbecillità liberale italiana ha potuto concepire lo Stato, al di fuori della dittatura, cioè senza autorità in un Paese in cui tutte le forme particolari della vita politica e religiosa si affermano sempre con espressioni di dittatura».
Proprio in tale ottica, la massoneria non ostacola l’ascesa del fascismo, neanche in questa fase. Ed evita di “rompere” con il Movimento Fascista, nonostante nel suo primo discorso parlamentare (21 giugno 1921), Benito Mussolini dica: «Il fascismo non predica e non pratica l’anticlericalismo. Il fascismo, anche questo si può dire, non è legato alla massoneria, la quale in realtà non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del partito popolare. Per me la massoneria è un enorme paravento dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini … Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. Se, come diceva Mommsen, 25 o 30 anni fa, non si resta a Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l’unica idea universale che oggi esista a Roma, è quella che s’irradia dal Vaticano», così non solo sminuendo la Massoneria, ma operando una vera e propria “apertura di credito” nei confronti dell’ormai secolare nemica della Libera Muratoria: la Chiesa cattolica romana. Probabilmente, è diffusa tra i massoni fascisti il convincimento del “fratello” Dino Grandi: «Mussolini può dire ciò che vuole contro la democrazia: in fondo non si può che sboccare a uno stato democratico» (19). In buona sostanza, la massoneria adotta nei confronti del Fascismo la strategia da sempre usata: utilizzare i “fratelli” per condizionare “dall’interno” la direzione politica.
Può essere utile, per avvalorare tale ipotesi, quanto deciso dal Consiglio del GOI il 24 febbraio 1921: «La massoneria non deve dividere alcuna responsabilità col fascismo ed i fratelli che vi abbiano qualche contatto debbono riservatamente adoperarsi affinché esso perda ogni spirito e colore antidemocratico e diventi una tendenza spirituale di patriottismo e di rinnovamento democratico della vita italiana» (20). Nell’ottobre 1922, perdurante lo stato di incertezza, dopo aver rimarcato la vittoria “militare” sulle forze di sinistra, con il fallimento dello “sciopero legalitario” di agosto, i fascisti rompono gli indugi. Mentre trattano con le forze liberali e popolari per la formazione di un governo di coalizione comprendente i fascisti, organizzano la “Marcia su Roma”, una dimostrazione di forza che gli storici sono concordi a ritenere un bluff sul piano militare. Nonostante ciò, il tentativo combinato riesce: Vittorio Emanuele III conferisce a Mussolini l’incarico di formare il governo, rifiutando di decretare lo stato d’assedio come chiede Facta. Perché? La storiografia “orientata” oscilla tra due posizioni:
1. la classe politica liberale (e la massoneria) si illusero di “cavalcare” il fenomeno fascista sottovalutandone la capacità di durata (21);
2. le forze reazionarie, spaventate dalla possibilità di una rivoluzione bolscevica in Italia, si affidarono al militarismo fascista per soffocare le forze operaie (22).
Ma, come è stato autorevolmente detto: «Nella storiografia italiana è prevalsa a lungo dopo il 1945, e non è stata ancora del tutto superata, la tendenza a interpretare in termini generali il fascismo, sulla base di prospettive ideologiche e politiche, piuttosto che a conoscere la sua realtà, basando l’interpretazione su ricerche concrete e approfondite. Fino agli anni Sessanta, gli studi sul fascismo si limitarono principalmente al periodo delle origini e furono svolti nell’ambito delle interpretazioni tradizionali, sia nella versione liberale che in quella radicale e marxista» (23). In verità, come nota De Felice (24), la situazione nel 1922 non è chiara, e la forza militare dei fascisti appariva forse maggiore di quanto non fosse. Non solo, ma larghi settori dell’Esercito simpatizzano con il movimento mussoliniano, per cui non è chiaro a cosa porterebbe la proclamazione dello stato d’assedio, ondesi preferisce una soluzione tesa ad “istituzionalizzare” il movimento fascista, conferendo a Mussolini l’incarico di formare un governo di coalizione. Ci sia, comunque, consentito di osservare, in aggiunta all’acuta analisi di De Felice, che le posizioni su evidenziate, oltre ad essere “orientate”, secondo la citata annotazione di Emilio Gentile, peccano riguardo alla “visione d’insieme”: la crisi dello stato ottocentesco è un fenomeno europeo, onde l’analisi dell’ascesa del fascismo in Italia non può essere condotta con semplice riferimento alla vicende italiane, senza considerare la dimensione “globale” della situazione da cui nasce il fascismo italiano, che ha la peculiarità di essere stato il primo movimento di tale natura a giungere al governo (25). Prima di prendere in esame la posizione della massoneria sull’avvento dei fascisti al governo, riteniamo che una certa storiografia enfatizzi in modo preconcetto il ruolo della massoneria nella “marcia su Roma”. È una tendenza storiografica che mira ad accreditare l’avvento del Fascismo come un “complotto massonico”, a partire dall’inizio degli anni 80 (26) Di recente, tale tesi è stata rilanciata, in vari interventi (27), in cui, enfatizzando alcuni dati, dando per accertati altri, si dipingono i fascisti come strumenti della massoneria, fino ad affermare, in modo quanto meno discutibile: «… la nascita e la fortuna dei fasci nel 1919 furono l’esito profano di una scisma massonico» (28). Chi si accoda a tale tesi, però, dimostra a nostro avviso una scarsa conoscenza del mondo massonico, confondendo “il massone” con “la massoneria”, laddove, invece: «Esiste un vissuto massonico personale, un vissuto massonico come nucleo di loggia, un vissuto massonico come dirigenza dell’ordine, un vissuto massonico come appartenenza a un determinato rito che può anche essere conflittuale con il rapporto che si deve necessariamente avere anche con l’ordine. Il tutto va poi moltiplicato per il numero delle comunioni e dei riti, ognuno dei quali vive di vita propria, spesso in competizione con gli altri. Queste realtà nazionali vanno poi calate nelle diverse e spesso conflittuali realtà internazionali» (29).
Così, vengono ricostruiti minuziosamente i finanziatori del fascismo, tra cui molti massoni, ma – come detto – non vi è traccia di finanziamenti provenienti dal fondo comune, e tale dato o viene fideisticamente attribuito alla “lacunosità delle fonti” (30) o viene definito privo di importanza (31), quando è – invece – rilevante, alla luce della differenza tra l’azione individuale del massone e quello della Massoneria come Istituzione. Sul piano del coinvolgimento personale, si afferma – ad esempio – che nella riunione del 16 ottobre 1922 a Milano, di preparazione alla marcia su Roma, vi fossero solo massoni, ma nel fare gli esempi, si esalta il ruolo del generale Gustavo Fara, pur rimarcando che Fara era stato iniziato nel 1912, per uscire dal GOI appena l’anno dopo (32). Si ripete, ossessivamente, che i “quadrumviri” della Marcia su Roma erano tutti massoni (33), ma – come si è visto – non esistono prove certe dell’appartenenza alla massoneria nemmeno per Michele Bianchi. Italo Balbo, unico dei quadrumviri citato come massone da De Felice (34), con una lettera autografa del 4 agosto 1924 a Mussolini, respingerà con sdegno l’appartenenza alla massoneria, men che mai al GOI; altrettanto farà per Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon il nipote Paolo con una lettera al Tempo del 26 luglio 1993, mai pubblicata dal quotidiano romano, e ribadita il 9 dicembre 2010 al sito Internet Archiviostorico.info (35). Su quest’ultimo quadrumviro, aristocratico della nobiltà sabauda, vale forse la pena di ricordare che, rivestendo durante il regime la carica di responsabile della Società Nazionale per la Storia del Risorgimento, sarà fautore di un’interpretazione storica del risorgimento negatrice qualunque apporto della massoneria alla formazione dell’Italia Unita (36). Ma, si ripete, quel che conta è che si tratta di affermazione di cui si omette di citare la fonte primaria (37).
Il fatto è che mancano documenti sia di fonte massonica, sia di fonte fascista, da cui evincere un coinvolgimento della Massoneria quale “Istituzione” nella preparazione della marcia su Roma. E, nella particolare pignoleria che contraddistingue i massoni nella tenuta archivistica, non è dato da poco (38). Quello che è certo, è che Mussolini incontra Palermi prima del 28 ottobre (39), ma la sopravvalutazione del ruolo di Palermi proviene o da fautori della tesi del “complotto massonico”, o da massoni del GOI (40) quasi in polemica interna alla Massoneria, per addossare ai “fratelli scissionisti” la responsabilità della nascita del regime fascista. In realtà, come riconosce Cesare Rossi (41), quasi testualmente riportato da Vannoni (42), Palermi bluffa sulle sue capacità di influire sugli alti vertici militari per una captatio benevolentiae nei confronti del Fascismo che gli appariva ormai avviato alla conquista del potere. L’ipotesi più probabile, è che l’attivismo di Palermi trovi una sua ragione nelle lotte interne alla Massoneria italiana, con le reciproche ricerche di riconoscimento internazionale tra le due obbedienze, onde «Così facendo il Palermi credeva di risolvere a proprio favore il contrasto con Palazzo Giustiniani» (43).
Quanto a Mussolini, riteniamo plausibile l’ipotesi che egli, superando la sua posizione antimassonica, nella temperie della marcia su Roma abbia comunque “usato” la massoneria per i suoi scopi (44). Dopo la marcia su Roma, Torrigiani invia a Mussolini un messaggio datato 3 novembre 1922 (45) con cui si congratula per l’incarico e gli augura di “superare la prova nel modo più glorioso per la Patria”. Torrigiani si assume tutta la responsabilità del messaggio, del contenuto del quale è costretto a giustificarsi nella Giunta del GOI del 9 novembre 1922, dichiarando: «Era indispensabile ed urgente svalutare presso il nuovo Governo l’azione ostile dei nazionalisti e dei ferani [gli scissionisti di piazza del Gesù – N.d.A.]. Noi dobbiamo fare di tutto per allontanare ferani e nazionalisti dal Governo fascista» (46). E confida a Michele Terzaghi: «Noi abbiamo la nostra linea ben definita. Staremo a vedere come si comporterà Mussolini. Se egli rimane nell’ambito delle libertà democratiche e parlamentari, lo appoggeremo; in caso diverso lo combatteremo» (47). Torrigiani, dunque, da una parte, ha in mente di condizionare il governo fascista, dall’altro, di limitare le conseguenze dell’attivismo di Palermi all’interno del mondo massonico. Quest’ultimo, fa di più: omaggia Mussolini di grembiule, sciarpa e catechismo della Gran Loggia (48). Mussolini, al momento, evita qualunque reazione. Nella riunione del Governo dell’Ordine del 18 novembre 1922, Torrigiani comincia ad avere qualche perplessità. Pur lieto di alcuni incarichi conferiti dal governo ai “fratelli”, afferma: «Siamo naturalmente preoccupati della situazione che non si presenta ancora chiara e precisa. Noi dovremmo sempre difendere non i partiti parlamentari ma il principio fondamentale democratico; che se dovesse sorgere, ciò che non si crede, un governo dispotico, dovremmo organizzare la resistenza, specie a base delle organizzazioni operaie: bisogna che la massoneria intenda a conciliare lo spirito nazionale con lo spirito sociale» (49). Dopo la marcia su Roma, i finanziamenti dei massoni al PNF diventano massicci. E si ha prova della consapevolezza da parte di Torrigiani dell’esistenza di questi finanziamenti.
Scrive Fulvio Conti che non c’è dubbio: «… né sul finanziamento massonico al movimento fascista, né sul fatto che l’erogazione dei soldi, ancorché fuori dai canali ufficiali, avvenisse con l’approvazione consapevole della suprema guida del Grande Oriente d’Italia, il gran maestro Domizio Torrigiani. Siamo però – vale la pena ripeterlo – all’indomani della marcia, in una fase in cui la principale Obbedienza massonica italiana era ormai mai da qualche tempo sottoposta agli attacchi da un lato della Gran Loggia di Piazza del Gesù, che cercava di screditarla agli occhi di Mussolini per la linea democratica e antifascista di parecchi dei suoi aderenti, e dall’altro dell’ala filonazionalista e più intransigente del Pnf, che era intenzionata a rompere re ogni legame con la massoneria e ad eliminare le conventicole interne al partito che ad essa facevano capo. Si spiega così la posizione difficile in cui vennero a trovarsi proprio quei giustinianei che erano più vicini al fascismo, o che comunque, come Torrigiani, guardavano ad esso con favore, cercando semmai di utilizzare la leva del sostegno finanziario per condizionarlo e per orientarne le scelte» (50). Riteniamo di dissentire dall’idea del coinvolgimento dell’Ordine in quanto Istituzione nei finanziamenti, e di aderire sul resto. I documenti esaminati da Conti sono essenzialmente due lettere inviate il 5 e 9 novembre 1922 a Torrigiani da Federico Cerasola, Maestro Venerabile della Loggia Regionale Insubria di Milano, tra i fondatori dei Fasci di Combattimento. Cerasola scrive che sta finanziando i fascisti raccogliendo ingenti fondi tra i Fratelli e ne esplicita gli scopi: «Nessuna dedizione al trionfatore, ma adesione allo spirito che animò il movimento. Quando questo dovesse deviare, saremo avversari decisi. Ciò fu detto e fu scritto. Che cosa vogliono dippiù?» (51).
Le lettere sono scritte non solo dopo la marcia su Roma, quando il Fascismo appare trionfante («nessuna dedizione al trionfatore», scrive il Venerabile), ma prima della riunione del Governo dell’Ordine del 18 novembre 1922 di cui si è detto. È, dunque, il momento in cui Torregiani tenta, per sua stessa ammissione, di arginare le influenze che sul Fascismo potrebbero esercitare i nazionalisti ed i “Ferani”, mediante una politica di appeasement con i Fascisti. E, come abbiamo visto, la posizione di Torregiani non è la posizione dell’Ordine in quanto Istituzione, tanto è vero che la sua prolusione appare una vera e propria autodifesa nei confronti dei Dignitari del GOI (52). Vero è, invece, che la massoneria tenta di influenzare il fascismo “dall’interno”, come abbiamo visto da numerosi elementi sopra esaminati. Come sarà chiaro in seguito, non ci riuscirà. Ed è lo stesso Cerasola, in una lettera a Torregiani del 2 gennaio 1923 (53), a rendersene conto. Mussolini sospetta che la Massoneria voglia “impadronirsi” del Fascismo, quindi è bene stare fermi e non muoversi, perché ogni tentativo di “dialogo” con il PNF potrebbe avvalorare il “sospetto” di volerlo “infiltrare”.
Il 1923 è un anno decisivo per i rapporti tra fascismo e massoneria. Palermi, quasi a riecheggiare quanto ha intuito Cerasola, attacca pesantemente il GOI, accusato di tentare di “infiltrare” il PNF e di “tramare” contemporaneamente contro il governo, cercando di mettere fascisti e nazionalisti gli uni contro gli altri (54). I nazionalisti, dalla loro parte, riprendono la vecchia polemica antimassonica di cui si è detto supra e L’Idea Nazionale tuona: «La massoneria rappresenta l’antitesi della riscossa nazionale. Essa è democratica, filosocialista, materialista, internazionale: rappresenta, insomma, quanto è stato dalla nuova Italia superbamente travolto» (55). Il processo di avvicinamento tra fascismo e nazionalismo trova il suo compimento il 25 febbraio 1925, e la convenzione tra i due partiti è preceduta da un “preambolo” in cui si sancisce la incompatibilità tra fascismo e Massoneria. Questa dichiarazione è il culmine di una campagna antimassonica iniziata – come detto – dai nazionalisti e proseguita dai fascisti all’inizio di febbraio, con una serie di articoli sia sul Popolo d’Italia, sia su altri giornali, fascisti o filofascisti, finché, nella seduta del 13 febbraio 1923, il Gran Consiglio del PNF (56) approva quasi all’unanimità un ordine del giorno così concepito: «… considerato che gli ultimi avvenimenti politici e certi atteggiamenti e voti della Massoneria danno fondato motivo di ritenere che la Massoneria persegue programmi e adotta metodi che sono in contrasto con quelli che ispirano tutta l’attività del Fascismo, il Gran Consiglio invita tutti i fascisti che sono massoni a scegliere tra l’appartenere al Partito Nazionale Fascista o alla Massoneria, poiché non vi è per i fascisti che una sola disciplina, la disciplina del Fascismo; che una sola gerarchia, la gerarchia del Fascismo; che una sola obbedienza, l’obbedienza assoluta, devota e quotidiana, al Capo e ai capi del Fascismo» (57). Torrigiani prende atto della decisione, dicendo ai fratelli: « …i Fratelli fascisti sono lasciati interamente liberi … di rompere ogni rapporto con la Massoneria per rimanere nel Fascio; sa per certo che quelli che si allontaneranno continueranno a dimostrare con l’esempio che nelle Logge appresero a praticare come dovere supremo la devozione incondizionata alla patria» (58). Palermi non reagisce, interpretando la risoluzione del Gran Consiglio come riferita ai soli aderenti al GOI, ritenendo comunque i principi fascisti conformi all’azione massonica come da lui intesa. La posizione di Palermi provoca grandi risentimenti all’interno dell’obbedienza, ma egli rimane al vertice, molte logge confluiscono nel GOI, mentre altri rimangono tra i “ferani”, ma all’opposizione di Palermi (59).
Note:
1 – cfr. la puntuale analisi di De Felice, “Fascismo”, Le Lettere, Firenze 2011, pos. Kindle 271 (d’ora innanzi, De Felice 2011)
2 – cfr. Emilio Gentile, “Il Fascismo in tre capitoli”, Laterza, Bari-Roma 2003 (d’ora innanzi, Gentile 2003), cap. I, § 1
3 – Articolo “Noi e la Germania” apparso ne “Il Dovere Nazionale” il 29 novembre 1914. L’articolo è ora raccolto in “Scritti e discorsi politici di Alfredo Rocco”, prefazione di B. Mussolini, Milano,Giuffrè 1938, vol. I, pp. 207-2012; cfr. Raffaele Molinelli, “I nazionalisti italiani e l’intervento”, Urbino, Argalia, 1973, pp. 25 ss.
4 – D’Annunzio, in via quasi preventiva, aveva usato questa espressione nel pezzo di apertura del Corriere della Sera del 24 ottobre 1918
5 – ibidem
6 – Nel XVI Congresso di Bologna (5-8 ottobre 1919), i massimalisti conquisteranno tutti i posti disponibili in Direzione Nazionale, verrà riformato lo Statuto con l’indicazione della dittatura del proletariato come fine della lotta politica e si indicherà la violenza proletaria quale metodo di lotta – cfr. Cento e venti anni di storia socialista, 1892-2012, a cura di Gennaro Acquaviva, Luigi Covatta, Angelo Molaioli, Polistampa, Firenze 2012, p. 184
7 – cfr. Gentile 2003, De Felice 2011, opere citate
8 – Gentile 2003, pos. Kindle 260
9 – Fabio Venzi, “Massoneria e fascismo: Dall’intesa cordiale alla distruzione delle Logge” – Castelvecchi, Roma 2017, pos. Kindle 311; cfr. Cuzzi, op. cit., pos. Kindle 7044; Natale Massimo Di Luca, “La Massoneria. Storia, miti, riti”, Atanòr, Roma, 2000, p. 165
10 – Eugenio Chiesa, “La mano nel sacco. Osservazioni per La Voce Repubblicana”, Libreria politica moderna, Roma 1925, p. 6.
11 – De Felice 2011 pos. Kindle 426
12 – Gentile 2003, pos. Kindle 311
13 – Anche per effetto di aumenti salariali senza precedenti: fatto 100 l’indice del 1913, nel 1921 i salari erano aumentati a 127: cfr. De Felice, op. cit., pos. Kindle 358
14 – Una parte della storiografia rimprovera a Bonomi e Facta una certa accondiscendenza nei confronti delle squadre fasciste, ma in realtà il governo aveva perso il controllo della piazza: a Sarzana, si erano fronteggiati squadre fasciste ed Arditi del Popolo ed i Carabinieri avevano ucciso 14 fascisti, ma già nel gennaio 1921 a Firenze gli Arditi avevano ucciso il fascista Giovanni Berta
15 – Ciclo di lezioni tenuto a Mosca e noto come Corso sugli avversari, ora pubblicato in “Palmiro Togliatti – La politica nel pensiero e nell’azione: Scritti e discorsi 1917-1964” a cura di Michele Ciliberto e Giuseppe Vacca, Bompiani, Milano 2014 – il passo citato è a p. 373
16 – Antonino Zarcone, “Domenico Maiocco. Lo sconosciuto messaggero del colpo di Stato”, Prefazione ed introduzione di Aldo A. Mola e Luigi Pruneti, Annales, Milano 2015, p. 60, lo definisce “massone”, ma senza alcun riferimento; nega che Bianchi sia massone Alarico Modigliani Rossi, Maestro Venerabile della Loggia “Concordia” in una lettera a Torrigiani, Firenze, 19 dicembre 1922, in ISRT, Archivio Torrigiani, serie I, fasc. 15, ins. 10, che – comunque – lo definisce «uomo purissimo». In realtà, chi scrive nutre forti dubbi sull’affiliazione massonica di Bianchi, attesa la sua posizione in occasione della Guerra di Libia, contraria all’intervento, in contrasto con la posizione di ambo le obbedienze (v. supra)
17 – Anche nel dibattito sull’interventismo, Raoul Palermi fu sospettato di simpatie austro-tedesche
18 – Su Vincenzo Morello (non de plumeRastignac), cfr. Lina Anzalone, “Storia di Rastignac – Un calabrese protagonista e testimone del suo tempo”, Rubettino, Soveria Mannelli 2005
19 – Mola 2018, p. 625
20 – ASGOI, Processi verbali della Giunta dell’Ordine, 24 febbraio 1921, citato da Anna Maria Isastia, “Massoneria e fascismo: la grande repressione”, in AA.VV.. “La Massoneria: La storia, gli uomini, le idee”, cit. pos. Kindle 3528
21 – Tra gli altri, Isastia, “Massoneria e fascismo: la repressione degli anni Venti”, Libreria Chiari, Firenze 2003, p. 26.
22 – Tra gli altri, Alberto De Bernardi – Luigi Ganapini“Storia dell’Italia Unita”, p. 192
23 – Gentile, “Fascismo, Storia e interpretazione” – Laterza, Bari-Roma 2005, p. 40
24 – “Mussolini il fascista – la conquista del potere” – Einaudi, Torino 1965, pp. 345 ss.
25 – Ernst Nolte “I tre volti del Fascismo” – SugarCo, Milano 1966;“Bolscevismo e nazionalsocialismo. La guerra civile europea 1917-1945”, BUR, Milano 2008; George Lachmann Mosse, “La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1812-1933)”, Il Mulino, Bologna 1975; “Il fascismo. Verso una teoria generale”, Laterza, Roma-Bari, 1996; TarnoKunnas, “Il fascino del fascismo. L’adesione degli intellettuali europei”, Settimo Sigillo-Europa Lib. Ed., Roma 2017
26 – soprattutto Gianni Vannoni, op. cit., in cui – però – (p. 63), riportando quasi testualmente Cesare Rossi, sostiene che Mussolini ignorava l’appartenenza alla massoneria di molti fascisti
27 – Soprattutto da Gerardo Padulo – “Contributo alla storia della Massoneria da Giolitti a Mussolini”, in “Annali dell’istituto italiano per gli studi storici”, VIII, 1983-1984, pp. 219-347; “Palazzo Giustiniani e/o Piazza San Sepolcro”, in “Mezzosecolo”, 1985-86, pp. 123-45
28 – Antonella Beccaria, “I segreti della massoneria in Italia”, Newton Compton, Roma 2013,p. 31
29 – Isastia “Massoneria e fascismo: la grande repressione”, in AA.VV.. “La Massoneria: La storia, gli uomini, le idee”, cit., pos. Kindle 3283
30 – cfr. supra, nota 62.
31 – Carlo Francovich, “Studi su storia e politica della massoneria”, in Storia Contemporanea, 1978, vol. 30, fasc. 130, p. 88 – Francovich, però, sostiene chiaramente: «Con questo non si vuole far credere che l’avvento del fascismo fosse frutto di un complotto massonico»
32 – cfr. Pruneti, “La Massoneria italiana nella Grande Guerra”, in AA.VV., 1914-1915. “Il liberalismo italiano alla prova. L’anno delle scelte, a cura di Aldo A. Mola”, Torino-Cuneo, Consiglio Regionale del Piemonte-Centro Giolitti, 2015.
33 – A partire da Angelo Tasca, “Nascita e avvento del fascismo”, edito in Francia nel 1938 – La Nuova Italia, Firenze 2002 – p. 433 – di recente, cfr. Angelo Livi, “Massoneria e Fascismo”, Bastogi, Foggia 2016, p. 72
34 – De Felice, “Mussolini il fascista – la conquista del potere” – cit., p. 349 – evidentemente De Felice ritiene attendibile la testimonianza “di prima mano” di Cesare Rossi, op. e loc. ult. cit. Nella lettera di Modigliani Rossi a Torrigiani, citata supra, Balbo viene definito « … massone sì ardente e puro, che sono sicuro rimetterebbe a posto i vari papaveri del fascismo locale». Come si può notare, i massoni sperano in un “condizionamento interno” del Fascismo da parte dei “Fratelli” fascisti
35 – Reperibile all’indirizzo http://www.archiviostorico.info/articoli/4535-cesare-maria-de-vecchi-e-la-massoneria
36 – sul ruolo di Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon nel dibattito storiografico sul Risorgimento, cfr. Di Rienzo – “Storia d’Italia e identità nazionale” – Le Lettere, Firenze 2006
37 – un caso particolare, tra i teorici del “complotto massonico”, è quello di Peter Tompkins, che in un libro pubblicato in Italia con il titolo “Dalle carte segrete del Duce”, sostiene di aver avuto accesso a delle carte secretate nei National Archives di Washington, a cui non possono accedere altri studiosi – riteniamo superfluo sottolineare l’inattendibilità scientifica di questa pubblicazione, onde evitiamo persino di prenderla in considerazione
38 – Le ricostruzioni dei rapporti dei massoni con il movimento fascista sono state possibile grazie a documenti di fonte massonica
39 – Cesare Rossi, op. e loc. ult. cit.; Gianni Vannoni, op. cit., p. 76
40 – Terzaghi, op. cit., pp. 59 ss.; Cesare Rossi, op. e loc. ult. cit.
41 – op. cit., pp. 143 ss.
42 – op. e loc. ult. cit.
43 – De Felice “Mussolini il Fascista – La conquista del Potere”, cit., p. 352. Identico concetto l’A. aveva espresso nella voce “Massoneria” in Novissimo Digesto Italiano, UTET, Torino 1964, p. 320
44 – ibidem – cfr. Isastia, op. ult. cit. pos. Kindle 3516
45 – La lettera fu pubblicata dal Popolo d’Italia del 4 novembre 1922 e poi su Rivista Massonica settembre-ottobre 1922
46 – Isastia: “Torrigiani Gran Maestro”, in AA.VV., “La massoneria italiana da Giolitti a Mussolini”, cit., pos. Kindle 795
47 – Terzaghi, op. e loc. ult. cit.
48 – Mola 2018 p. 548
49 – Isastia, op. ult. cit., pos. Kindle 800-802
50 – Conti, “Massoneria e fascismo: dalla marcia su Roma alla legge sulle associazioni segrete” in AA.VV., La massoneria italiana da Giolitti a Mussolini: Il gran maestro Domizio Torrigiani, cit., pos. Kindle 870 ss.
51 – Lettera del 5 novembre 1922, in ISRT, Archivio Torrigiani, serie I, fasc. 10, ins. 9.
52 – Sui dissensi alla politica di appaesementverso il Fascismo da parte di Torrigiani, cfr. Conti, op. ult. cit., pos. Kindle 890 ss.
53 -In ISRT, Archivio Torrigiani, serie I, fasc. 10, ins. 9.
54 – Gli interventi di Palermi sono riprodotti nella rassegna Polemica massonica, pubblicata in «Rivista massonica», gennaio 1923, pp. 2-15
55 – Parla il Grande Architetto, in “L’Idea Nazionale”, 2 gennaio 1923
56 – Molti storici insistono sul fatto che il Gran Consiglio fosse, all’epoca, una “conventicola privata”. Francamente, non si capisce tale affermazione. Prima che il regime istituzionalizzasse il PNF, lo stesso era un’associazione privata al pari degli altri partiti, libera, quindi, di decidere i propri interna corporis
57 – Venzi, “Massoneria e fascismo”, cit., pos. Kindle 586
58 – ibidem pos. Kindle 591
59 – Pruneti, “La Tradizione massonica scozzese in Italia” – Edimai, Roma 1994, p. 123.
(continua…)
Luigi Morrone per la Redazione di EreticaMente