16 Luglio 2024
Tradizione

Anche gli Dei piangono: il pianto come pratica mistica – Emanuele Franz

È un luogo comune pensare che il pianto sia una prerogativa femminile. Nel nostro immaginario collettivo un uomo che piange è poco virile, e, qualora pianga, è bene che lo faccia in privato, e non in pubblico, quasi appunto che il piangere indichi una debolezza, una fragilità. Niente di più falso. Hernán Cortés dopo la “noche triste”, in cui perse tutto il suo esercito e venne decimato, pianse dalla disperazione sotto un albero. Eppure di li a poco avrebbe conquistato un Impero di 25 milioni di Aztechi. Anche Alessandro Magno, rientrato nella sua terra dopo anni di lontananza, pianse copiosamente rivedendo i luoghi a lui cari. I biografi dicono di Alessandro che pianse copiosamente anche in un’altra occasione: quando un filosofo gli disse che il nostro era solo uno di infiniti altri mondi. Allora il conduttore s

coppiò in lacrime preso da un senso di piccolezza di fronte all’infinito. Eppure Alessandro conquistò tutto il mondo conosciuto di allora, e fu l’unico a farlo in tutta la storia. Questi non erano certo uomini “deboli”, tutt’altro. Piuttosto è da ritenere che il piangere non sia affatto un segno di debolezza. Anche gli Eroi piangono e perfino gli Dei.

Il Re di Troia Priamo fa scendere a miti consigli il grande Achille piangendo copiosamente la morte del figlio Ettore. Ma anche Achille, Agamennone, Diomede, Patroclo, Odisseo, Ettore e altri Eroi omerici non si vergognano del pianto ma anzi si lasciano andare a momenti di rilascio emotivo che a noi moderni, limitati dalla nostra visione contemporanea di “eroe”, lascerebbero basiti.

Eos, Dea dell’aurora, si innamorò perdutamente del mortale Titone al punto da rapirlo e chiedere a Zeus di renderlo immortale. Dalla loro unione nacque Memnone ma questi, durante la guerra di Troia, venne ucciso da Achille. Il Mito narra che Eos pianse così tanto per il lutto che dalle sue lacrime nacque la rugiada. Le lacrime delle Eliadi, figlie del Dio Helios (il Sole), si trasformano in gocce di ambra. Esse iniziarono a piangere senza sosta quando il loro fratello morì e loro stesse si trasformarono in pioppi. Ma anche Apollo, Dio maschile per eccellenza, cosparse la terra con le sue lacrime. Nel X libro delle Metamorfosi di Ovidio si narra che il Dio ferì e uccise per errore il suo prediletto Giacinto, il suo giovane compagno. Apollo lo trasformò in un fiore e dal cordoglio pianse così tanto al punto da innaffiare il giovane, ormai divenuto un fiore di giacinto appunto, e di colorarlo. Il legame che emerge, fra il pianto e la rinascita, fra le lacrime e il fiorire di una rinnovata condizione, è diafano e terso. Sempre e comunque il pianto si fa medium fra una condizione interiore e una condizione sovra umana:

Dipendono dagli Dei il riso e il pianto” (Sofocle, Aiace 384).

Secondo la tradizione mitologica il pianto viene dagli Dei ed è un fatto che segue a una interconnessione fra l’uomo e il divino. Platone testimonia che uno dei riti delle processioni dei Coribanti, i discepoli della Dea Cibele, consisteva nell’indursi volontariamente uno stato di frenesia attraverso una danza frenetica, la musica e una crisi di pianto. Ciò avrebbe portato i fedeli della Dea ad uno stato catartico e ad una vicinanza col divino. D’altra parte per la sensibilità del greco il turbamento emotivo, anche accompagnato dal pianto, è sempre e comunque di origine sovra umana:

È necessario che i mortali sopportino le sventure poiché vengono dagli Dei. Parla con calma, anche se piangi straziato”.

Scrive Eschilo nei Persiani (290). Questo Phatos, che si manifesta nelle lacrime, derivando da una fonte ultraterrena non può che tradursi in una fonte di conoscenza perché ciò che discende dagli Dei è una conoscenza immessa nell’uomo, anche, e soprattutto, attraverso il patire. Sempre Eschilo, nell’Agamennone (176), ne dà questa testimonianza:

Di Zeus che conduce i mortali sulla strada della saggezza e decretò il principio sovrano: patendo conoscere”.

La mitologia greca ha anche ipotizzato che le perle fossero le lacrime degli Dei, concetto che prevalse per migliaia di anni. In Occidente la nascita della perla è associata a quella della Dea Afrodite (la latina Venere). Questa leggenda è stata rappresentata da Botticelli (1486) nella sua pittura Nascita di Venere, dipinto conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze, sulla quale è rappresentata Venere che emerge da una grande conchiglia. Ancora, in questo Mito, c’è un legame fra il pianto e la nascita di una rinnovata condizione.

Ma quella del pianto mistico è una pratica e una simbologia che tocca anche altre tradizioni. La mistica ebraica ci ha lasciato vive testimonianze di tecniche mistiche che prevedevano di indursi il pianto e la tristezza per raggiungere Dio. Moshe Idel, uno dei massimi studiosi di mistica ebraica, nel suo libro Qabbalah ci informa che secondo i testi della mistica ebraica il pianto autoindotto, come pratica di auto pentimento e umiliazione, consentiva al praticante il raggiungimento di uno stato di coscienza sovraterreno. Secondo queste tecniche la Shekhinah (la rivelazione) si ottiene per mezzo di una sofferenza volontaria autoindotta e culminante nel pianto. Ci si causava cioè uno stato di sofferenza, di disagio e afflizione volontari allo scopo di annichilirsi davanti a Dio e di essere in grado di ricevere la Sua Luce.

Questo piccolo viaggio in diverse tradizioni religiose dovrebbe aiutarci a superare i luoghi comuni che vorrebbero dipingere un uomo che piange come un uomo necessariamente debole. Dobbiamo invece pensare che lo sgorgare delle lacrime è uno sgorgare di Dei, un travaso di Potenze sovrasensibili che trovano un ductus melodico nel singhiozzo e un fonema nel piangere quasi che il gemere sia quel linguaggio divino ove la parola umana non giunge. Un linguaggio che è pathos senza filtro, senza camuffamento, ma rilascio e abbandono. Un pianto che non è, come ingenuamente si potrebbe credere, debolezza, ma la premessa di una maggior forza poiché l’uomo che piange è un uomo che emula gli Dei, perché anche gli Dei, piangendo, hanno irrorato il mondo. Siano dunque il riso e il pianto la penna e l’inchiostro che scrivono il risorgere della vita.

Emanuele Franz

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