Una recente pubblicazione della Fondazione Evola, Lettere a Mircea Eliade, edita da Pagine Editore (per ordini: 06/45468600, euro 13,00, pp. 114), consente di fare il punto sui rapporti intercorsi tra Julius Evola e lo storico delle religioni Eliade. Il volume raccoglie ventiquattro lettere del filosofo italiano allo studioso romeno, scritte tra il 1930 e il 1962, e comprende due lettere di Paolo Boringhieri ad Eliade. Rispetto alla precedente edizione del 2011, sono state aggiunte otto missive rintracciate da Liviu Bordaş presso l’archivio Mircea Eliade Papers della Regenstein Library di Chicago. Claudio Mutti, curatore del volume, ricorda che il materiale raccolto permette un’effettiva contestualizzazione della relazioni tra i due pensatori, soprattutto per quanto attiene agli anni Cinquanta.
Per entrare nel vivo degli stimolanti problemi che il libro presenta, sarà bene partire dalla risposta a questo quesito: perché Eliade decise di non vedersi più con Evola, a partire dai primi anni Sessanta? La risposta la si ricava da una significativa pagine del Diario del romeno, che si riferisce alla pubblicazione dell’autobiografia evoliana, Il cammino del cinabro, del 1963. In essa, Evola ricordava di aver incontrato lo studioso nel 1938 in Romania, tra gli intellettuali che facevano parte della cerchia di Codreanu. L’affermazione irritò non poco lo storico delle religioni, impegnato nella ricerca universitaria oltreoceano, perché avrebbe potuto innescare nei suoi confronti un ‘processo’ politico, riaprire un caso spinoso. Eliade non scrisse più ad Evola e non lo incontrò più.
Il loro primo incontro, lo si evince dalla lettera del 28 Maggio del 1930, avvenne nel 1927 o nel 1928, durante un soggiorno a Roma del giovane transilvano. Fin da subito, i due instaurarono un’intesa cordiale, non solamente di tipo intellettuale, ma anche caratteriale. Ciò è attestato, dalla reciproca stima che si manifestarono. Basti qui ricordare la recensione di Eliade a, Rivolta contro il mondo moderno, o il commento elogiativo all’articolo che Evola pubblicò sulla rivista Bilychnis intitolato, Il valore dell’occultismo nella cultura contemporanea. Evola, a sua volta, recensirà sull’organo dell’Ismeo nel 1955, il volume eliadiano Lo Yoga, immortalità e libertà e, più volte, in Metafisica del sesso, richiamerà, in termini positivi, le opere dello storico delle religioni. Più in particolare, diversi studiosi (si pensi a De Turris, Mutti e De Martino) hanno messo in luce che un’evidente influenza evoliana è rinvenibile nella produzione letteraria dell’accademico, meno vincolata allo ‘scientificamente corretto’, rispetto alle opere di saggistica. Esemplificativi in questo senso, sono i casi dei romanzi La luce che si spegne, Il segreto del dottor Honigberger, Diciannove rose, nei quali o emergono riferimenti a tesi evoliane, come nel primo libro citato, dove è addirittura esplicita la ripresa dell’idealismo magico, o addirittura i personaggi sono ‘costruiti’ sulla figura di Julius Evola. Nel secondo romanzo, ad esempio, il protagonista è indicato con la sigla J. E., mentre nel terzo si parla di un filosofo ed esoterista, «paralizzato in poltrona».
Per quanto si riferisce alle opere accademiche di Eliade, è possibile rilevare che gli studi alchemico-ermetici incontrano e intersecano le problematiche de, La tradizione ermetica e che, l’apporto del primo Evola, sembra evidente anche nei trattati sulla mistica indiana, così come i risultati delle indagini eliadiane furono utilizzati dal pensatore romano nel secondo libro, risalente al 1949, sul tantrismo, Lo yoga della potenza. Sappiamo, grazie alle ricerche prodotte da de Turris e Scagno, che i due si videro anche nel dopoguerra, dopo il ritorno a Roma di Evola, probabilmente nel Maggio del 1952. Inoltre, il tradizionalista collaborò fino al 1969 alla rivista «Antaios», diretta dallo stesso Eliade e da Jünger, e inserì altri libri dello studioso romeno, nella collana “Orizzonti dello spirito”, da lui diretta presso le Mediterranee, non ultimo il trattato sullo Sciamanesimo.
Dirimenti, per comprendere gli effettivi rapporti tra i due, risultano sia la lettera del 15 Dicembre 1951, sia la successiva del 31 Dicembre dello stesso anno: nella prima, Evola manifestava un certo disappunto ad Eliade, poiché questi evitava di citare autori non accademici nelle proprie opere, e non faceva riferimenti espliciti alle posizioni dei tradizionalisti. Nella seconda, il filosofo pare invece accettare la ragioni addotte dal suo interlocutore alle obiezioni sollevate, consistenti essenzialmente nell’attribuire gli omessi a una scelta tattica. Alla qual cosa, Evola non ebbe nulla da obiettare, in quanto: «contro il tentativo di introdurre qualche cavallo di Troia nella cittadella universitaria nulla ci sarebbe da dire. L’importante sarebbe il non lasciarsi prendere […] in un inganno, perché agli ambienti accademici corrisponde una qualche “corrente psichica” […] deformante e contaminante» (p. 51). Forse, il filosofo avrebbe fatto meglio a ricorrere a una buona dose di scetticismo in merito alla giustificazione avanzata da Eliade. La cosa, a suo tempo, fu fatta rilevare da Paola Pisi, che pensò non esservi: «alcun indizio per ritenere che davvero (Eliade) intendesse far penetrare le idee tradizionaliste nella ‘cittadella’ universitaria» (p. 31).
Il problema esegetico di questa «amicizia mancata» o, meglio, interrotta, sta, come rileva nella chiarificatrice prefazione Giovanni Casadio, nel fatto che certamente Eliade fu, in particolare nel periodo giovanile, influenzato dalla cultura dei pensatori della Tradizione, ma non fu mai, in senso proprio, un tradizionalista. Ci pare di poter concludere con una citazione di Eliade che spiega, da un lato, le ragioni che lo avvicinarono alla Tradizione, e dall’altro il suo non riuscire ad aderirvi in toto: «di fatto la tragedia della mia vita si può ridurre a questa formula: sono un pagano, un perfetto pagano classico che cerca di cristianizzarsi. Per me i ritmi cosmici, i simboli […] esistono di più e più immediatamente del problema della redenzione» (in Journal portuguez, p.135). Lo studioso romeno visse in sé, quindi, un evidente contrasto tra una tendenza innata ed una acquisita, di carattere culturale, che non risolse mai del tutto. Evola, al contrario, fu uomo della affermazione assoluta, che poco si curò dell’accademicamente corretto. Ben lo sapeva Eliade che nella recensione a Rivolta contro il mondo moderno, scrisse: «Evola viene ignorato dagli specialisti, perché oltrepassa i loro quadri di ricerca».
Giovanni Sessa