Montréal 04/01/2019
Il vero scandalo di questo purulento scritto razzistico, pubblicato in una rivista canadese medico-scientifica intitolata « L’information médicale et paramédicale », (5 ottobre 1971) è dato dalla rimozione di cui esso è stato fatto oggetto. Subito dopo la pubblicazione, l’infame scritto sparì infatti nel nulla. A parte la reazione del momento di alcuni italiani di Montréal, nessuno da allora cita questo testo che, fatto veramente inusuale, non è reperibile in Rete. A ricordalo si direbbe che sia rimasto solo il sottoscritto. Eppure il suo autore, François Hertel, è considerato un gigante del Pantheon culturale e politico del Québec. Basti dire che Hertel fu il mentore di Pierre Elliott Trudeau, e fu l’ispiratore di numerosi altri personaggi di spicco del Canada francese.
Devo confessare che ho dovuto fare un grande sforzo per infine riproporlo. Mi ero accinto più di una volta a farlo, perché si tratta di un importante documento della disumanizzazione di cui noi italiani abbiamo fatto le spese in certi tristi momenti della storia della nostra patria adottiva. Ma ho dovuto attendere anni prima di riuscirvi, perché la rilettura delle infami parole di François Hertel comportava per me, ogni volta, accanto a un senso di incredulità e sconcerto, un’intima pena mista a ribrezzo. Inoltre, ogni volta tornavano alla mia mente altri episodi d’intolleranza da noi patiti nel passato, il cui ricordo mi rattristava.
Le incredibili parole dell’ex gesuita Hertel rivelano uno stato d’animo di ostilità, allora purtroppo assai diffuso, verso di noi “les Italiens”. Io ne sono testimone.
Il termine geograficamente riduttivo “Siciliens”, al quale Hertel fa ricorso, non è altro, secondo me, che un sinonimo di “Italiens”. Del resto, gli immigrati siciliani, a Montréal e altrove nel Québec, erano e sono indistinguibili, per la popolazione maggioritaria, dal resto degli italiani.
A scatenare la “reazione” di Hertel furono, molto probabilmente, gli aspri dibattiti sulla lingua in conseguenza della cosiddetta “crisi scolastica”, quando si ebbe la rumorosa reazione di molti italiani al cambiamento radicale che stava per avvenire in campo educativo nei confronti della lingua inglese, rimpiazzata da quella francese come lingua d’insegnamento scolastico per i figli degli immigrati. Furono probabilmente l’indecisione del governo del tempo ad andare subito fino in fondo nell’imposizione della lingua francese come lingua obbligatoria d’insegnamento a suscitare le ire di François Hertel (che si guardò bene dall’accusare invece gli ebrei, nettamente favorevoli all’inglese, ma minoranza temibilissima).
Vi sarebbe troppo da dire su questa complessa, delicata questione, su cui io d’altronde ho molto scritto; sempre prendendo posizione non per la cosiddetta “libera scelta”, che nei fatti si traduceva nella prevalenza massiccia dell’inglese nelle scuole del Québec frequentate dai figli degli immigrati, ma per i diritti della maggioranza francese di stabilire le regole in materia imponendo il francese come lingua obbligatoria d’istruzione. Ma la posizione da me tenuta allora, sulle colonne del settimanale di lingua italiana di Montréal “Il Cittadino canadese”, in contrasto con quella di molti dei cosiddetti leader della comunità italiana favorevoli invece all’inglese, non mi valse mai un commento di simpatia da parte dei nazionalisti quebecchesi, poiché io non ero considerato un individuo: Claudio Antonelli, responsabile delle sue scelte e dei suoi scritti, e non delle scelte e degli scritti degli altri, ma ero per loro un “Italien”. Incarnavo, insomma, ai loro occhi un’intera collettività.
Per lo spasmodico senso identitario collettivo che alberga nell’animo dei franco-quebecchesi io non potevo essere considerato un individuo, ma appunto un “Italien”. Infatti, anche quando si rivolgevano direttamente a un solo italiano, i quebecchesi erano soliti usare il plurale: “Vous, les Italiens…“ Quindi, pur rivolgendomi io a loro sempre e solo in francese, mi sentivo da loro rivolgere l’eterna domanda: “Ma perché voi Italiani parlate solo l’inglese?”
“Nous-autres” e “Vous-autres” : la mente dei quebecchesi ritagliava “les autres” in blocchi etnici a loro ostili.
Io mostrai questo incredibile manifesto razzistico a tre colleghi universitari ai quali mi sentivo molto vicino e che stimavo. Lo mostrai ad ognuno di loro separatamente e in momenti diversi. Rimasi raggelato vedendo la loro uniforme reazione: con espressione un po’ imbarazzata, ma con tono assolutorio e un po’ spicciativo, ognuno di loro pronunciò due o tre brevi frasette di commento, non di condanna dell’osceno scritto, bensì di sostegno e solidarietà a Hertel, l’ex gesuita “in esilio in Francia”.
Fu per me un colpo. Il sentimento tribale quebecchese ancora una volta mi mostrava il suo volto non sempre gradevole. Cosa volete, in quelle particolari circostante l’amico e collega Claudio Antonelli tornava ad essere per loro l’“Italien”. Io tornavo insomma ad assumere una veste, una valenza, un’identità collettiva che rendeva legittimo l’uso da parte loro del plurale: “Vous, les Italiens…”
Tra gli uomini più ricchi del Canada vi è oggi Lino Saputo, magnate di prodotti caseari, presente anche in altri campi dell’economia della sua patria adottiva. Saputo, nato in Sicilia da genitori siciliani, è tra le tante cose anche un generoso contributore di cause caritatevoli. L’apporto della famiglia Saputo alla società quebecchese è stato e continua ad essere molto rilevante. Spero che lino Saputo non abbia letto lo scritto di Hertel, o forse lo ha letto ed esso gli è stato di sprone… Innumerevoli altri siciliani, e i loro discendenti, hanno dimostrato, in questa terra, capacità d’intrapresa e qualità umane non indifferenti
Come mai i responsabili dell’ “Information médicale et paramédicale” permisero la pubblicazione di un simile osceno scritto, vero concentrato di odio razzistico e di assurdità (i siciliani, tra l’altro, difetterebbero di cultura…)? La semplice risposta è che il razzismo antitaliano in quegli anni era ammesso. Inoltre “omnia munda mundis”, e dalla bocca e dalla penna di un celebrato personaggio come François Hertel non potevano fuoriuscire che verità assolute.
Ma chi sono questi siciliani, colpevoli d’ogni male, campioni d’ignoranza, autentiche bestie “dal coito puzzolente” contro i quali Hertel lancia i suoi strali, in questo capolavoro retorico d’incitazione all’odio? Secondo me sono tutti gli immigrati italiani, anche se la frase evocante il “periodo d’oro” in cui “les émigrants italiens se recrutaient dans le nord du pays ou dans les centres et devenaient des citoyens paisibles de leur pays d’adoption” sembra voler fare una distinzione tra loro. Perché infatti Hertel non cita i calabresi, i molisani, molto numerosi in Québec e in Canada, e gli altri italiani del sud, napoletani e campani ad esempio, che di certo non si distaccavano molto dai siciliani nelle loro preferenze linguistiche? Nulla in questo indecente scritto ha la pretesa di essere fattuale. Infatti, non si accusano i siciliani di cose precise, ma li si condanna in blocco tutti perché “non vogliono parlare francese”.
In questo lurido scritto, i siciliani sono una pura astrazione. Sono una categoria antropologica del male. Essi non hanno nulla né di reale né di umano.
L’analisi di Hertel evoca senz’altro l’epoca in cui i siciliani, negli USA, erano visti come una “razza” a parte. Venivano infatti distinti dagli altri italiani. Ma neppure quest’ultimi, nel loro insieme, erano considerati dei bianchi a pieno titolo, venendo inseriti in una categoria intermedia tra i bianchi e i neri, ma più vicini ai neri che ai bianchi.
È difficile ed anzi impossibile trovare una spiegazione al fatto che questo lurido scritto sia stato ignorato per mezzo secolo. Eppure I diritti dell’uomo sono divenuti una religione, e ogni atteggiamento discriminatorio del passato, quando “discriminare” dopo tutto non aveva il significato dilatato e direi esagerato che tale verbo ha assunto oggi, è stato oggetto di innumerevoli analisi critiche e di aspre condanne. Io l’ho talvolta menzionato nei miei articoli giornalistici, ma senza approfondire l’argomento. La mia reticenza è da attribuire unicamente al grande disagio che questo scritto provocava in me ogni volta che i miei occhi lo sfioravano. Dopotutto, non si rimesta lo sterco con piacere.
Ed è uno sterco in fondo misto a sangue. Non vorrei apparire retorico, ma la Sicilia essendo parte d’Italia, fa parte, almeno nel mio cuore, della sfera sacra della nostra patria d’origine. Inoltre penso a certi straordinari siciliani che ho avuto la fortuna di conoscere e che meritano da me affetto, stima, lealtà e riconoscenza. Ne menzionerò qui solo tre, ma basterà: Franco Palmeri (mio zio acquisito), Baldassarre Sparacino (Alitalia), Francesco Paolo Fulci (Ambasciatore).
Dalla rivista “L’information médicale et paramédicale” (5 ottobre 1971)
Questi orrendi siciliani
Vi fu un tempo in cui gli emigranti italiani si reclutavano nel nord del paese o nel centro e divenivano cittadini tranquilli del paese adottivo. Tutto è cambiato da quando i siciliani si sono messi ad emigrare. Questa gente, che parla un dialetto talvolta completamente incomprensibile per un milanese o un romano, è profondamente incolta di padre in figlio, di origine molto dubbia, di onestà discutibile. Emigrano per sfuggire alla miseria dovuta a una sovrappopolazione che è però cara ai merdosi. Più il coito è puzzolente, più è fecondo!
Eccoci alle prese con questi nuovi venuti, sudici, rumorosi, senza la minima educazione. Essendo sfuggiti alla condizione di bisognosi, hanno fretta di diventare miliardari. Senza dubbio non ignorano che la Mafia americana sono loro. Senza voler pervenire a tanta opulenza, vogliono cessare di far parte del semplice popolino. Quando si stabiliscono nell’Ontario, la cosa va da sé, dimenticano il siciliano e si arrampicano. Qui, poveri martiri si vuol far loro imparare due lingue. Poiché non ne parlano neppure una, ciò li mette in serio imbarazzo. Da qui il loro cattivo umore.
Invece di azzuffarsi con loro, che li si convinca benevolmente ad andare a farsi impiccare altrove! Sarà vantaggioso per tutti.
Ecco le riflessioni, poco amabili, che mi permetto di pubblicare, da che questi nuovi arrivati senza interesse hanno fatto indietreggiare il governo del Québec stesso.
Mentre gli emigranti di origine ungherese, greca, polacca, o fiamminga, etc. non chiedono nulla di meglio che d’imparare il francese quando si stabiliscono nel Québec, questi strampalati individui si oppongono, con il loro cicaleggio siciliano di bassa lega, a una cultura di cui non hanno mai avuto la minima nozione nel loro stesso paese.
Confesso di stentare molto a capire questo peso sulla coscienza che i nostri dirigenti hanno provato nei confronti di chi opponeva loro questo rifiuto elementare.
I cittadini quebecchesi d’origine britannica, con i quali avemmo un tempo numerosi conflitti, hanno deciso di darsi al francese. Non lo fanno sempre con un entusiasmo delirante, ma fanno un simpatico sforzo.
Adesso che il Québec si è dato un ufficio d’immigrazione autonomo, speriamo che la ricerca in Italia non superi i limiti continentali e che si trascuri di sollecitare gli insulari del sud, decisamente irrecuperabili.
François Hertel dell’“Accademia canadese-françese”
Testo originale, in francese
« L’information médicale et paramédicale » (5 ottobre 1971)
Ces affreux Siciliens.
Il fut un temps où les émigrants italiens se recrutaient dans le nord du pays ou dans le centre et devenaient des citoyens paisibles de leur pays d’adoption. Tout est changé depuis que les Siciliens se sont mis à émigrer. Ces gens, qui parlent un patois complétement incompréhensible pour un Milanais ou un Romain, sont profondément incultes de père en fils, d’origine assez douteuse, d’une honnêteté souvent discutable. Ils émigrent pour fuir la misère due à un surpopulation chère aux crottés. Plus le coït est puant plus il est fécond!
Nous voici aux prises avec ces nouveaux venus, crasseux, bruyants, sans la moindre éducation. Ayant fui la condition de nécessiteux, ils ont hâte de devenir milliardaires. Il ne sont pas sans savoir que la Maffia américaines c’est eux. Sans vouloir atteindre a tant d’opulence, ils veulent cesser d’être des gagne-petit. Lorsqu’ils s’établissent dans l’Ontario, ça va tout seul. Il s’oublient leur sicilien et il s’accrochent. Ici, pauvres martyrs!, on veut leur faire apprendre deux langues. Comme il n’en parlent même pas une, ça les gêne aux entournures, D’où leur mauvaise humeur.
Au lieu de se bagarrer avec eux, qu’on les persuade donc en douce d’aller se faire pendre ailleurs! Tout le monde y trouvera son compte.
Voilà le réflexions, peu aimables, que je me permets de publier, depuis que ces nouveaux venus sans intérêt on fait reculer le gouvernement du Québec lui-même.
Alors que les immigrants d’origine hongroise, grecque, polonaise, voire flamande, etc… ne demandent pas mieux que d’apprendre le français quand ils s’établissent dans le Québec, ces hurluberlus s’opposent, avec leurs pialleries siciliennes de mauvaise aloi, à une culture dont ils n’ont jamais eu la moindre notion dans leur propre pays.
J’avoue que je suis loin de comprendre cette sorte de mauvaise conscience qui s’est emparé de nos édiles vis-à-vis de ce refus élémentaire.
Le citoyens québécois d’origine britannique, avec lesquels nous eûmes jadis maints conflits, ont décidé de se mettre au français. Ils ne le font pas toujours avec un enthousiasme délirant, mais ils font un effort sympathique.
Maintenant que le Québec s’est donné un office d’immigration autonome, espérons que la prospection en Italie ne dépassera plus les limites continentales et que l’on négligera de solliciter les insulaire du sud, décidément irrécupérables.
François Hertel de l’Académie canadienne-française
Tratto da “L’Encyclopédie Canadienne”
Hertel, François
François Hertel, pseudonimo di Rodolphe Dubé (Rivière-Ouelle, Qc, 31 maggio 1905—Montréal, 4 ott. 1985). A 20 anni entra nei Gesuiti ed è ordinato sacerdote nel 1938. Professore di letteratura, di filosofia e di storia, insegna nelle scuole Jean-de-Brébeuf, Ste-Marie e André-Grasset, come anche nel Collegio dei gesuiti di Sudbury. Nel 1946, lascia l’ordine e diviene prete secolare a Montréal, ma domanda la laicizzazione l’anno seguente. Nel frattempo, scrive articoli per diversi periodici, inclusa la rivista America Francese fino al 1947. Nel 1949, parte per la Francia dove dà conferenze, fonda una rivista d’arte (Rythmes et Couleurs, che diverrà più tardi Fer de lance) e dirige la casa editrice “Éditions de la Diaspora française”. Dopo 37 anni di esilio volontario ritorna a Montréal. Gli scritti di questo autore poligrafo comprendono quasi 40 titoli. (…)”
Fonte copertina: Dagospia