7 Ottobre 2024
Sapienza

Coscienza ed Ispirazione: le Muse o della Grazia illuminante – Giovanni Ranella

Coscienza ed Ispirazione

…quando le carrozze viaggeranno senza cavalli
Quando le donne porteranno la cresta come i galli,
quando le macchie saranno giardini,
sarà un vivere d’assassini
(Beato Brandano 1490-1554)

Odhr significa ispirazione, la cui radice, od, (da cui Odino) sottende al prodigioso, congiunto a ciò che è furente. L’unico significato dell’esistenza, risiede nella nostra possibilità di prendere effettiva coscienza di ciò che siamo e di cosa potremo diventare. S

iamo un’apparenza fugace, una sorta di momentaneo convertitore energetico, attivato da un nucleo emozionale distorto, (l’ego) uniformato alla straordinaria finzione che è la cosiddetta personalità ordinaria, la quale, appunto, rimanda al significato di maschera. Il preminente lavoro su di sé, essenzialmente, consisterebbe nella reintegrazione del desiderio, disciplinato alla propria origine semantica composta dalla preposizione ‘de’, che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine ‘sidus’ = stella. Desiderare, pertanto, non riguarderebbe affatto un’ambizione terrena, ma, propriamente, avvertire in sé la mancanza delle stelle, come traslato di un patire la perdita del luogo celestiale da cui promana l’inconoscibile che ci anima, la patria ancestrale dell’originaria condizione di purezza preesistente agli inesplicabili motivi della caduta.

Per questo l’aspirazione autentica, fin dalle età maggiormente remote, ricerca intensamente il recupero della memoria primordiale connessa alla dimensione atemporale del Grande Sogno, tragicamente opacizzatosi, mescolatosi, sopraffatto fino quasi al limite dell’estinzione, nella seguente degenerazione dei tempi. La rammemorazione, coincide al ricordo di sé, che è il ricordo stesso dell’animo, come occasione unica di cui disponiamo per nobilitare la nostra identità, (essa è un’individuazione estremamente sfuggente) attivata da un principio intuitivo-magnetico il cui nesso è instaurato dall’idea = intuizione, visione (impercettibile sostegno verticale) che è immagine dell’archetipo riflesso nel desiderio elettivo, (anelito ideale rivolto allo svincolamento definitivo da ogni forma di gravame terreno) e che coinvolge il medesimo eroico furore riavvicinante l’uomo all’essenza divina. Tornano pressanti le domande dell’antica dottrina ermetica:

Perché è stato necessario all’uomo stabilirsi nella materia?

Come si può essere salvati?

Da cosa essere salvati?

Perché si deve essere salvati?

Ogni forma di erudizione, se non diviene corrente vitale atta a potenziare in questa dimensione il senso mistico della nostra presenza è destinata a rimanere solo uno sterile esercizio concettuale, del tutto incapace di infondere alcunché alla pura determinazione dell’essere. La determinazione è il prodigio dell’essere e vale la stessa conoscenza, esperita non mediante il concetto ma incarnata come stile di vita, come sperimentazione attiva della propria volontà orientata a rettificare l’inganno esistenziale in cui siamo racchiusi. Socraticamente, si tratta di educare il proprio intimo demone, avendo chiara la differenza tra ciò che è sottoposto al nostro dominio (il regime emozionale coniugato alle brame) e ciò che invece, come circostanza maggiore, giace al di là di esso. Visione (che non è stato allucinatorio) e intenzionalità profonde, non possono accendersi nell’interiorità se la psiche rimane estranea all’ispirazione, qualità sovrasensibile intesa come il primo nutrimento dell’anima.

Significativa è la circostanza di Orfeo, il valorizzatore per eccellenza della melodia e l’impulso lirico, che afferma la supremazia dell’ispirazione sul corso del tempo e del Fato, (Egli spande nel mondo le note dell’armonia, attraverso le quali poté redimere il supplizio patito da Issione, fermando il giro della ruota emblematica su cui era condannato) accorgendosi che la soavità scaturita dal canto diviene un motivo replicabile – prevedibile – finendo così col perdere la propria valenza misterica ed oracolare, abbandonerà infine lo strumento. Poesia che equivale a fare, è il principio attuante nella coscienza la catarsi iniziatica, dove l’inizio, initium, è compreso soltanto da un progressivo distacco, propriamente elettivo, – che non è fuga – dalle volgari contingenze terrene, e che è da valutare come il risveglio effettivo del principio poetico dell’essere, (integralità del fare) il cui preminente valore, (completamente estraneo ad ogni facile sentimentalismo) nell’età post-moderna, appunto, è divenuto un perfetto non-senso per l’attenzione generalizzata e preordinata dell’uomo dei tempi attuali, (uomo nuovo – consumatore-cavia) in prevalenza del tutto incapace a significare coraggiosamente la dilatazione della propria coscienza e, più che altro, profondamente inadeguato a presagire eroicamente l’infinito cui appartiene, rinchiuso come si trova nella miserrima dimensione del preconfezionato.

L’uomo è ostaggio del proprio ego, equivoca la bassa ambizione con l’ideale, la pura realizzazione con l’arrivismo, lusingato com’è da molteplici costrutti artificiali saturanti la nociva realtà dei consumi che lo sommerge, travolgendolo rovinosamente. La società di massa, è caratterizzata da una smisurata smania distruttiva, totalmente pertinente a quella forma di nichilismo dinamico, vero e proprio sigillo dei tempi, che contraddistingue la fede cieca nel cosiddetto progresso: apoteosi di ciò che si dimostra come maggiormente contaminante e che specifica l’indistinta precipitazione di ogni valore (evoluzione regressiva) livellato al senso del profitto più abietto.

 

Le muse o della Grazia illuminante

…dalla santissima onda
rifatto si come piante novelle,
rinovellate di novella fronda,
puro e disposto a salire alle stelle
(Purg. XXXIII, 142-145)

Il viaggio-sogno mistico di Dante, seppur con differente finzione poetica, è allegoria dei medesimi significati sapienziali arcaici riferiti ai misteriosi percorsi dell’animo inoltrato nell’oltretomba; in quei luoghi ultramondani già esplorati dai primi orfici, nei quali il Poeta, trovandosi in stato d’incoscienza, è condotto da Lucia – Luce – al balzo del Purgatorio, (Purg. IX, 19,24) dove sono rievocati i preminenti motivi estatico veggenti, variamente narrati nei resoconti di innumerevoli viaggi immaginali menzionati da ogni Tradizione sacra. La certezza dominante, verte sulla consapevolezza che già durante il corso della vita terrena è possibile (fondamentale) acquisire coscienza dell’esistenza di una preminente apertura dimensionale, conseguibile dall’adepto solo mediante l’ausilio di una specifica preparazione mistica estremamente rigorosa.

La primigenia scaturigine orfica, confluisce nell’Eunoè dantesco, dove l’allegoria umanizzata dalla figura di Matelda rievoca, seppur in altra sembianza – sub specie cristiana – la medesima essenza della Persefone mistagogica (la Kore) cui si addice il grave compito di scortare le anime alle emblematiche acque che ravvivano la virtù tramortita. Qual è il preminente insegnamento trasmessoci? L’uomo realizza autenticamente se stesso solo mediante una provata disciplina emozionale, destinata a divenire disciplina stessa dell’estasi utile a svelare la dimensione cangiante del Vero; dove l’anima perviene alla vastità emblematica della sua prodigiosa quanto assurda prigionia, intuendo quale sia il luogo ineffabile della propria origine incorrotta. Nel confinamento obbligato in cui risiede il suo soggiorno terreno, unicamente la poesia (integralmente vissuta) può efficacemente soccorrerla, rettificandone il fondo smarrimento, indicandole tramite una preziosa ambiguità la disagevole e coinvolgente via che introduce alla sua definitiva Liberazione.

Possiamo renderci conto del perché la società attuale sia irraggiata da continui suggerimenti subliminali, (pop-ipnosi) desolatamente vuoti di ogni barlume poetico e sia tanto sovraccaricata di facili richiami seduttivi. Come annota un sagace studioso di cose sacre, la parola piacere (intesa nella sua accezione terrena) nella lingua anglosassone è please, la quale, assai significativamente, può essere riordinata nella parola asleep = addormentato.

La Musa è il simbolo della Grazia illuminante, che l’uomo rievoca in sé come superiore qualità di veggenza, espressione di legame ancestrale ad una sovrastante reminiscenza che nel valore del ricordo, (volontà del ricordare = accordo del cuore) eleva i propri significati a perfetto assentimento della dimensione divina. Musa è verbo significante il suscitare venti, così come il far scaturire una sorgente, o far divampare una fiamma, o il lasciar andare i cavalli, indicando quindi un impulso al movimento, una liberazione di energie latenti, il cui significato trova affinità coi verbi orientali dell’antica cultura vedica in particolar modo riferiti alla pura ispirazione. Dal verbo latino mon-eo, deriverebbe il nome stesso della madre delle Muse Mnemosine, e si può anche confrontare il teonimo romano Mon – Moneta – epiteto di Giunone, colei che avvertì i Romani di un terremoto imminente, (Cicerone: De natura deorum, III.47) potendo ravvisare nell’informazione antiquaria il nesso ancestrale che salda tra loro memoria e veggenza. Per questo i poemi sacri, patrocinati dalle Muse, riferiscono attraverso la trasposizione poetica il fondamento iniziatico della pura Conoscenza, (valore intuitivo contraddistinto dall’empatia profonda) che sola può realizzare la dimensione umana, altrimenti destinata a rimanere inesorabilmente circoscritta dal primordiale inganno. Le conseguenze dell’inganno ancestrale, ideato dal demiurgo omicida, sono state spesso equiparate alla totale dimenticanza dell’anima abbandonata nelle tenebre di una irrimediabile condizione letargica. Ritrovare la correlazione tra l’ispirazione e l’oscurità in cui è immerso il tempo presente, è il compito, la fatica iniziatica, apparentemente disperata, dell’animo incarnato nella presente dimensione.

Giovanni Ranella

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