La notizia è passata quasi inosservata, come del resto molti episodi simili sono stati taciuti negli ultimi due anni. Qualche giorno fa, durante l’apice della controra ferragostana, la polizia del sedicente stato del Kosovo ha arrestato 40 persone. Niente di nuovo, essendo il Kosovo uno stato retto sostanzialmente dal crimine organizzato, ma a ben vedere non si tratta di banali narcotrafficanti; trattasi invece di terroristi dello Stato Islamico, meglio conosciuti come Isis, e affiliati all’organizzazione Jabhāt al-Nusra, attiva nella lotta contro Bashar al Assad in Siria, che avevano da tempo consolidato una rete terroristica nello stato fantoccio di Pristina, ma non solo. Tra gli arrestati, oltre ai Kosovari si annoverano anche numerosi Bosgnacchi e Macedoni di etnia albanese.
La notizia, ignorata da quasi tutti i media occidentali è circolata quasi soltanto su testate balcaniche. Come al solito, l’Occidente arriva tardi, tutto sta nel capire quanto questo ritardo sia un genuino frutto dell’insipienza dei suoi governanti o quanto piuttosto sia eterodiretta. Le infiltrazioni dell’islamismo radicale nei Balcani non è infatti cosa nuova. Già nell’ultima guerra di Bosnia venne segnalata la presenza di gruppi terroristici sunniti impegnati, a fianco dei Bosgnacchi musulmani, nella lotta contro i Serbo-Bosniaci appoggiati da Belgrado e da quanto rimaneva dell’Esercito Popolare Jugoslavo. Gli sponsor di quei gruppi qaedisti sono noti: Turchia, mai sazia di velleità neo-ottomane, ed Arabia Saudita, che sono anche i medesimi attori, in chiave destabilizzante, del Caucaso ex sovietico, dall’Armenia all’Ossezia. In Bosnia Erzegovina la presenza del jihadismo non solo è consolidata, ma sta considerevolmente aumentando di pari passo con lo sbandamento identitario post-bellico di quei luoghi.
Ma prima di tutto: che cosa è la Bosnia Erzegovina? La domanda è difficile, e ha risposte multiple. Gli sciagurati confini Bosniaci furono infatti una creazione di Josip Broz Tito che andarono a ricalcare i precedenti confini austriaci, non nacquero nel 1995, come invece credono molti a Occidente. La follia occidentale è stata piuttosto quella di supportare la creazione di uno stato indipendente che invece mantiene al suo interno la caratteristica principale di essere un detonatore perfetto. Da segnalare inoltre è il fatto che i bosniaci musulmani, i cosiddetti Bosgnacchi, sono solamente il 43% della popolazione bosniaca, mentre il 36% della popolazione è Serba, ed il 15% Croata. Tali etnie sono diffuse in maniera frammentata nel territorio bosniaco: mentre i Bosgnacchi prevalgono a nord-ovest e nella Bosnia centrale (sostanzialmente due enclavi separate), i Serbi sono prevalenti a Nord e ad Est, mentre la zona contigua alla Dalmazia è a netta maggioranza croata, sebbene enclavi croate esistano anche in Bosnia centrale ed al confine settentrionale con la Slavonia. Risulta chiaro, già alla lettura di questi dati, come lo stato bosniaco sia una mera finzione creata artificiosamente per dare “qualcosa” anche ai musulmani, che tanto si erano impegnati nella guerra contro quello che per gli occidentali era il male assoluto, ovvero il governo social-nazionale della Serbia. Nei Bosgnacchi è infatti radicata l’idea che la Bosnia sia, nonostante le proporzioni etniche di cui sopra, lo stato dei Musulmani balcanici, e la presenza cristiana, soprattutto Serba, è vista come un fastidioso ingombro. Al contrario di quanto molti pensino, i Bosgnacchi non sono una minoranza turca incistata tra gli Slavi del Sud, sono invece un popolo slavo a tutti gli effetti, ma convertito all’Islam per connivenza con l’occupante ottomano più che per reale slancio di fede. Stessa cosa vale per l’Albania, e ci torneremo più avanti.
L’Islam bosniaco, come quello Albanese, è sempre stato più di facciata che reale, tanto che fino a non molto tempo fa erano socialmente accettati i matrimoni interconfessionali. Con la caduta della Jugoslavia e la guerra contro la Serbia si è aperto un vuoto identitario. Se i Bosniaci sono slavi, cosa li differenzia dai Serbi? La risposta è stata naturalmente: la religione musulmana. Ma se l’Islam in Bosnia è stato fin’ora visto tanto tiepidamente allora tutta l’impalcatura ideologica dell’indipendentismo bosgnacco finisce per scricchiolare.
Da questi presupposti partì il padre dell’indipendenza bosniaca, Alija Izetbegovič, affermando già dagli anni ’70 che l’Islam balcanico dovesse tornare ad un’essenza più radicale. Conosciuto in Occidente come una specie di pacifista, Izetbegovič dichiarava che “non ci sarà mai pace nè coesistenza tra fede islamica e istituzioni non islamiche” e altresì dichiarava come fosse necessario distruggere i poteri non islamici e creare un nuovo stato islamico nei Balcani. Da ricordare inoltre, che a causa del suo impegno nell’Islam radicale Izetbegovič fu incarcerato già sotto il governo di Tito. L’epidemia covava da anni. Izetbegovič fu nuovamente arrestato nel 1983, e un gran daffare si diede Amnesty International nel difendere i suoi diritti, anche perchè, guardacaso, Izetbegovič nei suoi scritti rimarca spesso come il suo “Stato Islamico” avrebbe dovuto essere collaborativo con l’Occidente.
Davvero niente di nuovo sotto il sole! Non a caso, per conseguire l’indipendenza della Bosnia e creare il suo Stato Islamico, Izetbegovič si alleò con la Croazia filo-occidentale di Tuđman e Gotovina, che nel frattempo stavano massacrando i Serbi in Kraijna e nella Dalmazia interna. Nonostante ciò, il padre della Bosnia indipendente rimarcò comunque il suo odio per gli alleati croati, sostenendo che “scegliere tra Croati e Serbi è come scegliere tra leucemia e tumore al cervello”. Nonostante ciò la Croazia continuò a fornire armi ai Bosgnacchi fino alla fine della guerra contro la Serbia e lo insignì inoltre della medaglia di Cavaliere di Gran Croce della Regina Jelena. Con la nascita dello stato fantoccio della Bosnia-Erzegovina nacque così una specie di “Svizzera” balcanica tri-cantonale, con la Federazione Croato-Musulmana da una parte e quella Serba dall’altra. Un complicatissimo sistema elettorale dovrebbe, in teoria, garantire la rappresentanza a tutte le etnie bosniache, ma il sistema si rivela ancor oggi inefficace e farraginoso, senza contare la Federazione Serba chiede ancora l’unione con la Serbia vera e propria, unione che sostanzialmente è impedita solamente dalla Nato, che vuole preservare la creatura del moderato di cui sopra, il presidente Izetbegovič.
Il conflitto, dunque, sta ancora covando e in Bosnia nessuno è soddisfatto dello status quo. I Serbi continuano a volere la riunificazione con la Serbia, mentre i Bosgnacchi continuano a sentirsi cittadini di uno stato non loro, detestando sia Serbi che Croati. Quanto ai Croati, essi si sentono tali, e non parte di una simile finzione creata da USA e UE. Inoltre il governo “confederale” di Sarajevo è in seria difficoltà per la protratta crisi economica. A inizio anno tutta la Bosnia è stata teatro di ferocissimi scontri contro la polizia del governo centrale, con incendi e devastazioni di palazzi governativi e duecento feriti nella sola Sarajevo. La polveriera balcanica è tutt’altro che spenta, e in questo clima incandescente di frustrazione il terrorismo jihadista fa proseliti. Una delle massime autorità dell’Isis, Bilal Bosnič, è un Bosgnacco e continua a reclutare personale in Bosnia da spedire in Siria ed Iraq, dove egli stesso è stato a combattere, e per anni ha potuto predicare indisturbato in nord Italia.
Ora applichiamo quanto è successo in Bosnia al resto dei Balcani: in Albania, dopo l’ateismo forzato imposto da Enver Hoxha e in Kosovo, dopo la farsesca indipendenza, è in atto una generale riscoperta delle presunte radici islamiche. Ovviamente però, tale riscoperta non si inquadra in un’ottica tradizionale, come invece auspico nel mio precedente articolo “Islam e Italianità”, si indirizza invece verso l’Islam più sponsorizzato, e sappiamo bene quale Islam ha più disponibilità di denaro. Da qui si torna alla solita Turchia, al solito Qatar, Arabia Saudita, Bahrein ecc. Tali sommovimenti identitari nei Balcani già erano stati segnalati alle istituzioni europee da parte di partiti cosiddetti populisti, e le risposte furono sempre compatimento e menefreghismo, nonchè un certo sussiegoso razzismo verso i popoli balcanici, come a dire “sono balcanici, è normale che si comportino così“. Ora però l’Europa si scopre allarmata dall’Isis, mentre sorvola sul Qatar, che l’Isis invece lo ha riconosciuto e lo finanzia. Il problema, come sempre, sono i finanziamenti di Putin ai separatisti ucraini, mentre il Qatar è libero di finanziare l’Isis senza sanzioni e di esibire i suoi sponsor anche sulle divise del Barcellona Football Club, nonchè di comprarsi pezzi interi di Italia. Come tutti i megalomani che rispettino, anche l’Isis ha la passione per le cartine geografiche disegnate con Paint. Un giornale macedone ne ha riportata una, diffusa dall’Isis stesso dove vengono mostrate le rivendicazioni territoriali del cosiddetto Stato Islamico, tra queste si annoverano, oltre alla classica Ummah, l’intera penisola Balcanica, comprese Croazia, Slovenia ed Austria, la Spagna, l’ex Asia Centrale Russa, nonchè tutta l’India. Curiosamente, nonostante il suo passato sotto il dominio arabo, la Sicilia non viene rivendicata.
E’ solo propaganda? Temo purtroppo che più che propaganda si tratti di un vero e proprio progetto, e più che di Impero da ricostruire si tratti di aree da destabilizzare. I finanziatori qatarioti dell’Isis si sono dimostrati, di concerto con gli USA, ottimi destabilizzatori in tutto il medio-oriente. L’Isis punta dunque sui Balcani e sull’Asia Centrale, e possiamo vedervi, oltre al solito tentativo del Leviatano schmittiano di insidiare il Behemoth eurasiatico, anche quello di ricondurre l’Europa ad una certa coesione. Naturalmente si tratta di coesione attorno alla bandiera della Nato. In Macedonia, il 30% della popolazione è Albanese e continua a montare il malcontento contro il governo centrale nazional-conservatore e ortodosso di Skopije. Violente manifestazioni degli Albanesi si sono avute nella regione di Tetovo, nonchè nella stessa Skopije. Bandiere dell’Isis sventolavano per le strade della capitale macedone. Certamente dalle bandiere alla guerriglia il passo è ancora lungo, ma gli arresti di cittadini macedoni a Pristina ed i continui omicidi a sfondo religioso contro gli ortodossi che in Macedonia si ripetono da anni, sono indice di una recrudescenza di un odio mai sopito che viene sfruttato ad arte dall’Estero. Non a caso dopo questi fatti si è riaperto, in Macedonia, un dibattito che va avanti da anni, dal tema “Entrare subito nella Nato”. Non è un caso che, tale dibattito, infuri anche nella suddetta Bosnia Erzegovina.
E’ notizia di Maggio che proprio la Bosnia ha varato una serie di leggi volta a condannare chi decide di combattere all’estero, anche questa senz’altro una coincidenza. La strategia rimane la stessa: creare le minacce terroristiche sobillando le cosiddette “minoranze”, lasciarle agire per un po’ in tutta la loro barbarie e poi, una volta creato il panico, compattare le spaventate e nevrasteniche opinioni pubbliche europee attorno alle bandiere della Nato che riporta l’ordine. Per questo per i Balcani chi scrive teme il peggio. Le bandiere dell’Isis a Skopije, Bilal Bosnič e i video di propaganda per reclutamenti per la Siria girati da Bosniaci sono solo i primi sintomi.
Prepariamoci ad un’ondata di violenza nei Balcani nei prossimi anni, se questa violenza sarà a bassa intensità, sul modello dell’Ucraina, o ad alta intensità, sotto forma di nuova guerra balcanica lo sapremo solo vivendo e dipende da chi tira i fili della faccenda, ammesso che non gli siano, come in Iraq, già sfuggiti. Inoltre, le violenze e la loro intensità dipenderanno anche dalla capacità delle polizie albanesi, kosovare e bosniache di intercettare i carichi di armi in entrata, auguri. La latenza di un Islam tradizionale in quelle zone è senz’altro un altro dei motivi che hanno generato tale situazione. Se in Caucaso esistono consolidate realtà tradizionali, principalmente Sufi, nei Balcani non esiste granchè, a causa anche dell’ateismo di stato che regnava precedentemente, specie in Albania. Consideriamo dunque la linea di faglia che unisce Kosovo, Macedonia e giunge fino in Bulgaria dove, “invisibilmente” agli occhi degli Eurasisti nostrani, la Turchia persegue una ventennale politica di destabilizzazione. Una recrudescenza delle violenze anti-cristiane nei Balcani porterebbe ad un molteplici risultati: l’entrata nella Nato di Macedonia e Bosnia, facendo leva sulla paura dei politici di quelle nazioni di perdere lo scranno, l’indebolimento ulteriore della Serbia attraverso le violenze contro i serbo-bosniaci, il generale indebolimento conseguente della Chiesa Ortodossa Serba, rea di essere troppo filo-russa, a fronte dei più malleabili musulmani, e infine la funzione terrorizzante sull’Occidente, in particolare sull’Italia. “Hannibal ad portas!” e dunque, tutti a compattarci dietro la Nato, che poi sarebbero gli USA.
Tale tendenza si comincia già a vedere, un articolo sul Corriere di una settimana fa, parlando della tragedia degli Yazidi del Monte Sinjar arriva a tracciare un paragone, fino a qualche settimana fa impensabile e solo per leghisti, con le incursioni dei saraceni in Italia Meridionale, mentre l’Ansa titola “Il Califfato alle porte!” con l’immagine di una mezzaluna in un cielo tenebroso violaceo. Chi ha buona memoria si ricorderà simili accenni anche dopo l’undici settembre. Curioso no? Naturalmente, in caso di violenze musulmane contro Macedoni o Serbi, questi ultimi reagirebbero e sarebbe poi facilissimo inventarsi presunti “eccidi” per giustificare un intervento militare contro i loro spalleggiatori (Serbia) ed un intervento economico contro i loro finanziatori (Russia). Per non parlare poi di cosa accadrebbe se qualche colpo di cannone cadesse “accidentalmente” in Albania, che è paese NATO, scatenando, come nel 1914 la “catena di alleanze”.
L’identitario italiano deve dunque trarre le conclusioni che gli competono astenendosi dal puro e semplice lepantismo, riflettendo sul fatto che se in quelle zone dilaga un certo tipo di Islam è colpa dell’assenza di un altro Islam, non certo delle invasioni turche del medioevo o simili altre suggestioni che si ha modo di leggere in vari siti “di settore”. L’atteggiamento deve essere confessionalmente neutrale, ma non etnicamente e continentalmente. L’identitario italiano persegua prima di tutto il bene dell’Italia e dell’Europa. Da un centinaio di anni le potenze atlantiche fanno detonare i Balcani a piacimento quando desiderano sconvolgere l’Europa ed una nuova detonazione è in arrivo. L’Italia dovrebbe dunque perseguire, al posto di occuparsi delle docce gelate di Renzi, una politica di investimenti massiva in Albania, con lo scopo di paralizzarne l’economia ogni qualvolta questa ammicchi ad un certo jihadismo, ed allo stesso tempo implementare i rapporti con nazioni quali Montenegro e Macedonia, che sono, come l’Albania, nostri interlocutori naturali per motivi geografici e storici. Quello che stava prendendo forma con il trattato di Amicizia Italo-Libico può ancora prendere forma nei Balcani, ma di certo non con questo governo circense. Gli identitari italiani devono farsi portavoce di una volontà di dialogo verso i Balcani meridionali e, anche se qualcuno si infastidirà, verso la Croazia. Una simile rete di amicizie, oltre a dare maggior peso all’Italia in ambito Adriatico e Mediterraneo (con una saldatura italo-albanese-montenegrina, anche le ostilità croate si limerebbero sensibilmente), darebbe sbocchi alle esportazioni italiane ed alle imprese statali italiane, si pensi ad esempio alle precarie condizioni infrastrutturali di Albania e Montenegro. Naturalmente tutto ciò senza prescindere dalla fine del riconoscimento del Kosovo, atto dovuto da chiunque si dica identitario. Il disegno dell’Isis persegue il progetto generale americano per l’Eurasia, vale a dire compattare l’Europa dietro le bandiere della Nato e isolare totalmente la Russia distruggendo ciò che rimane dell’indipendenza reale degli Slavi del Sud di religione Ortodossa, per questo chi scrive teme che i prossimi detonatori d’Europa saranno la Macedonia e, ancora una volta, la Bosnia.
La solerte propaganda europea, ora anche in televisione, ci pone di fronte a immagini di una UE prospera ed in pace, ma i Balcani, che se non cambia qualcosa prima o poi verranno fagocitati da questa nuova Jugoslavia, sono tutt’altro che in pace. E’ l’uomo balcanico a non essere in pace con sè stesso. Gli accordi di Dayton hanno, probabilmente, fatto felici solo gli Sloveni, che sono infatti l’unico vero stato monoetnico dell’area. In Croazia la guerra è ancora una memoria recentissima tanto è vero che, è notizia di pochi giorni fa, alcuni cartelli bilingui croato/serbo collocati dall’amministrazione di Vukovar, hanno causato sommosse e violenze anti-serbe in tutta la città. Di questa pace insomma, nessuno è felice, e tale situazione continuerà fino a quando la situazione non sarà etnicamente omogenea in tutti gli stati, cioè mai. Sono le enclavi bosgnacche a impedire un sano delineamento dei confini tra Croazia e Serbia ed il problema si denota, sostanzialmente ed ancora una volta, con l’identità islamica della Bosnia. O essa accetta un’Islam tradizionale, che però non ha i mezzi per spingersi fino qui, o essa accetta un Islam fittizio e moderato (inesistente) oppure imbraccia il jihadismo e questo significherà giocoforza guerra eterna ai propri vicini fino alla, prorogabile ma certa, cancellazione dei Bosgnacchi dalla storia come desiderato dalle compagini serbe più nazionaliste. Credo che la prima soluzione sarebbe la più ragionevole e su questa, come identitari, dovremo puntare.
Una guerra eterna alle porte di casa non è mai una cosa buona e, come abbiamo visto, altri ci lucrano sopra. I monti di Bosnia hanno una particolare eco, che diffonde ogni rumore in tutta Europa. Un solo colpo sparato a Sarajevo fu in grado di far detonare l’intera Europa nel 1914. Oggi, con una Russia rinata e potente e conscia del proprio ruolo, non è detto che non accada lo stesso. Per quanto tempo continuerà il furore anti-serbo degli occidentali? La pazienza della Russia, come dimostrato in Ucraina, è già al limite. I Russi, a differenza degli occidentali, credono ancora nella Solidarietà, i Russi, come hanno dimostrato recentemente, sono pronti a morire per difendere non solo i propri interessi, ma anche i propri Amici. La Russia permetterà, come fece con Eltsin, un nuovo eccidio di Macedoni e Serbi? Un dubbio che senz’altro, per vari motivi, nessun Italiano vorrebbe avere.
Marco Italicus Malaguti
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