“Ci vorrebbe dunque ora una convergenza di pensieri, di discipline, di metodi e anche di comprensione estetica…per capire…questi padri a cui dobbiamo tutto e di cui non sappiamo nulla“
(Giorgio de Santillana – Fato antico e fato moderno, citato a p. 84)
Una nuova intellighenzia emerge tra riviste, blog, convegni nell’ambito della cultura alternativa ed antagonista che da qualche decennio si rimanifesta in Italia, con connotati di forte critica allo status quo, alla demonia economicistica, allo smarrimento di ogni identità di riferimento. La cultura tematizza, in fondo, un sentore insito nella società, un umore sottile della cittadinanza di cui spesso tende a farsi portavoce, spesso tradendo tali aspettative, con analisi intellettuali che si pongono al margine del pensiero unico dominante ma sempre restando nel suo ambito, alcune volte riuscendo a cogliere le reali dinamiche di un processo di reale involuzione in corso. Nella secondo categoria concettuale reputiamo possa essere ricollegata l’analisi sociologica e filosofica di Lorenzo Merlo che si esplicita nel suo testo “Sul fondo del barile – Crisi sociale e recupero del sé”, edito Primiceri Editore (Padova). L’autore coglie a nostro avviso una profonda verità primaria: nel processo di catabasi in atto tutti i riferimenti ideologici e politici del XX secolo sono destrutturati e non possono essere riconnessi tra loro tramite le medesime logiche del passato, tramite le aggregazioni di pensiero e di polarità del ‘900. Tutto è mutato, l’orientamento è mutato, la sensibilità dell’uomo comune, del mediamente istruito come dell’accademico è radicalmente rivolta verso prospettive diverse. Al di là del piacere romantico, l’800 e l’900 quali paradigmi di riferimento risultano essere archetipi in via, fortunatamente, di superamento:
“Il significato degli schieramenti è morto. Al momento il lutto è stato elaborato da una minoranza destinata a crescere. Coloro che hanno preso atto dell’osmosi tra elementi tradizionalmente estranei sospettano e auspicano ne scaturisca una nuova intelligenza, funzionale ad una interpretazione della vita differente da quella che ci ha condotti all’avaria del sistema europeista, capitalista, democratico” (p. 29).
Merlo non ricade nel solito errore di molti commentatori moderni della crisi, cioè quello di ravvisarne tutti gli analitici dettagli micro e macroeconomici, micro e macrosociali, micro e macropolitici, tranne il dato basale della dynamis in atto ovvero quello coscienziale e spirituale. L’acefalia, spesso voluto e costruita, spesso dettata da evidenti limiti culturali, di esegesi che interpretano la realtà come un medico possa visitare un malato dai piedi al torace, dimenticandosi la testa, il cervello ed il relativo intelligere. Se è vero, come è vero, il detto orfico “Sono Figlio della Terra e del Cielo Stellato”, la disamina dell’autore ha il grande merito di separare le polarità del cosmo, della società e del vivere quotidiana, ritrovando la necessaria ed organica unitarietà:
“Numeri crescenti di persone appartenenti indifferentemente alle destre e alle sinistre ora si trovano e si ritrovano dentro i medesimi slogan pregni della dimenticata dimensione metafisica dell’uomo” (p. 58).
La particolare denuncia dello specialismo, di visioni anatomiche e scisse, quasi a ricordare il fatalistico limite fenomenologico di Kant, nelle pagine di Merlo assume una direzione quasi di controtendenza, di ricerca di una ricomposizione ontologica oramai smarrita, ormai confinata abbandonata nelle ristrette cerchie degli esoteristi e degli occultisti, sinistri figuri alienati dalla realtà e dalla metodicità disarmanti dell’oggi: come se chi si occupa dell’Asclepius o di Macrobio non debba anch’egli pagare le tasse, appartenere ad una comunità, vivere e respirare come una persona “normale”. Il recupero del sé dell’autore, pertanto, si prefigura come il recupero di una comprensione pragmatica del reale oramai smarrita e non più in vista in certe affabulazioni di troppi intellettuali, a destra come a sinistra, che, purtroppo per loro, vedono il proprio pensiero necessariamente ricollegato al proprio stipendio, alla necessità di mantenerlo e di soddisfare le necessità primarie delle relative famiglie, mantenendosi, per tale motivo, sempre al di qua dello steccato dettato dal datore di lavoro, dichiarato o occulto. Anche in ciò si riverbera la demonia economicistica, in quanto patologia oscurantista che non consente visione noetiche, determinazioni che siano altre rispetto al solito condominio di appartenenza, che impedisce il ragionamento fondante di ogni atto rivoluzionario, inteso quale atto di riconversione verso l’origine, quello inerente alla coscienza, a se stessi, alla relazione propria con ciò che si manifesta prima della storia e degli sviluppi industriali, cioè la dimensione dello Spirito:
“L’uomo che riconosce che la dimensione economica ha pervaso ogni ambito della vita pubblica e privata, che ne ha contaminato il pensiero e l’immaginazione, che ne riconosce il vincolo che lo rende schiavo ad essa e che gli sottrae dall’aria la libertà della bellezza…un dazio culturale che non vuole più pagare” (p. 143).
Nel penultimo capitolo del libro una domanda inesorabile: tradiremo o saremo traditi? Personalmente la risposta più idonea l’abbiamo ritrovata nel seguente ed ultimo capitolo, quello dedicato alla Hybris ed al Kairòs: tradiremo la comunità o saremo traditi da essa nel momento in cui continueremo ad essere vettori etero diretti di decisioni e di orizzonti altrui. Riscopriremo albe non soggette al passare dei lustri, solo quando ritorneremo ad essere fedeli al nostro intimo sentire, non ad altro, non ad altri. Tale è l’apprezzabile considerazione che il testo di Lorenzo Merlo ci lascia in dote.
Luca Valentini
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