Questa volta il nostro lavoro si salderà direttamente a quello svolto nella novantatreesima parte, a proposito della quale si devono registrare due commenti di Daniele Bettini al mio pezzo, che a loro volta contengono dei link a due articoli di grande interesse. I commenti di Bettini e gli articoli linkati si riferiscono a due punti diversi del mio pezzo che, come sempre, copre un arco tematico piuttosto vario. Uno dei due, tratto da white.history.com del novembre 2014, ci parla del fatto che i dati genetici confermano l’invasione ariana dell’India. In particolare l’allele rs-1426654-A del cromosoma Y, tipico delle popolazioni europidi e connesso al colore chiaro della pelle, si ritrova nella parte settentrionale e occidentale del sub-continente, ed è diffuso fra gli indiani di casta alta.
Io penso che ricorderete che nella novantatreesima parte mi ero occupato della questione perché “La Repubblica” del 4 marzo aveva pubblicato un articolo di Enrico Baccarini in cui si negava che l’invasione ariana dell’India fosse mai avvenuta, sostenendo tra l’altro, il che è falso, che le prove genetiche smentirebbero la realtà di questa invasione. Genetica a parte, se se ne vuole negare la realtà storica, la storia del sub-continente diventa incomprensibile, a cominciare dal sistema delle caste, palesemente creato per impedire l’assimilazione degli Ariani conquistatori da parte della popolazione “scura” sottomessa largamente maggioritaria.
Noi sappiamo che nel sistema di “libertà di espressione” che caratterizza le “liberissime” democrazie, l’uso di certe parole è di fatto proibito, o quanto meno richiede una serie di cautele e precauzioni, e allora sarà bene precisare che in questo contesto non sto usando la parola “Ariani” nel senso ampio ed estensivo che essa aveva fino al 1945, ma soltanto in quello ristretto e “tecnico” di popolazione caucasoide leucoderma dell’India.
La questione, tuttavia, non riguarda solo l’India e non è puramente accademica, infatti negare gli Ariani dell’India significa anche negare l’esistenza di un Urvolk indoeuropeo da cui i popoli parlanti lingue indoeuropee sono discesi, si tratta in sostanza di una parte di quel programma di mistificazione, di riscrittura orwelliana della storia in cui la democrazia recentemente è molto impegnata, con la negazione dell’esistenza delle razze umane, e presentando le società multietniche e multirazziali come qualcosa di normale e sempre esistito, invece dell’aberrazione contemporanea che sono in effetti.
L’altro articolo linkato da Bettini si riferisce a una questione che io ho riportato facendo riferimento a un articolo pubblicato da Valerio Benedetti su “Il primato nazionale” in data 28 febbraio. L’inesistenza delle razze umane è un dogma che l’ideologia democratica vuole imporre a tutti costi a dispetto della realtà. Cosa volete che conti la realtà delle cose che tutti possono vedere, contro la parola di Richard Lewontin?
Benedetti riportava un caso clamoroso che smentisce chiaramente il dogma democratico: in Germania una donna di colore si è rivolta alle autorità chiedendo aiuto perché il figlio, affetto da una grave malattia del sangue necessita di un trapianto di cellule staminali, e quelle dei bianchi non sono adatte, provocano il rigetto anche quando gruppo sanguigno e fattore RH corrispondono. Non solo le cellule staminali, ma analogamente anche le trasfusioni di sangue europeo sono del pari rigettate dall’organismo di pazienti africani. Ora, a quanto pare, a quanto è filtrato in seguito a questa vicenda, tutto ciò è ben noto alla Croce Rossa tedesca, che avrebbe segretamente avviato un programma chiamato BluStar. NRW allo scopo di raccogliere sangue da donatori arabi e africani da destinare ai rispettivi connazionali.
In segreto, quasi si trattasse di una questione militare, perché salvaguardare il dogma dell’inesistenza delle razze è più importante del salvare vite umane.
Bene, ci informa Bettini, l’incompatibilità biologica fra le diverse razze è ancora più estesa di quel che avremmo potuto pensare a questo punto. Ha linkato un articolo del“National Vanguard” del 7 aprile 2018 firmato da Chris Rossetti e intitolato (vi do la versione tradotta in italiano) I bambini di razza mista non sono sani a causa dell’interazione genica-ambiente complessa. Il “National Vanguard” è una pubblicazione medica. Secondo un’ampia ricerca statistica condotta sulla popolazione statunitense, i bambini figli di coppie razzialmente miste, presentano una più alta mortalità alla nascita e nel primo anno di vita, tendono a nascere sottopeso e presentano svariate condizioni patologiche che non sembrano poter risalire ad altre cause se non l’incompatibilità genetica fra i genitori.
La ricerca considera la popolazione americana suddivisa tra i gruppi etnico-razziali più importanti: bianchi di origine europea, neri afroamericani, asiatici, “ispanici”. Sebbene in ogni caso tutte le possibili combinazioni fra un gruppo e l’altro presentino maggiori condizioni patologiche rispetto ai figli di coppie monorazziali, la condizione più sfavorevole è quella in cui il padre è nero e la madre è bianca.
Abbiamo dunque una prova irrefutabile su base medica che, contrariamente a quanto afferma il dogma democratico, le differenze razziali sono una realtà.
Tuttavia, la cosa che sorprende di più di questo articolo, è una frase che davvero colpisce come un pugno allo stomaco, e che è stata messa nell’incipit come citazione, forse per fungere da parafulmine, dato il contenuto esplosivo per la political correctness democratica dello stesso. Si tratta di un’affermazione di tale Noel Ignatiev:
“L’obiettivo di abolire la razza bianca è così desiderabile che è difficile credere che possa trovare un’opposizione diversa da quella dei suprematisti bianchi”.
Si tratta di un veleno ideologico oggi diffuso a piene mani negli USA ma con cui si sta cercando di infettare anche noi: “l’uomo bianco” è di per sé razzista, colonialista, schiavista, cattivo per definizione, e farebbe meglio a estinguersi. Di questo negli USA multirazziali non si stanno persuadendo solo le componenti “colorate”: neri, asiatici, cosiddetti ispanici, ma la stessa popolazione bianca di ceppo europeo, invitata apertamente al meticciato o alla rinuncia a procreare. Si tratta in altre parole del corrispettivo ideologico di un genocidio silenzioso che è in pieno corso negli USA, ed è programmato anche per l’Europa, e di cui l’invasione extracomunitaria mascherata da immigrazione è soltanto il primo passo.
Si tratta in poche parole di RAZZISMO, razzismo anti-bianco allo stato puro. E’ un concetto che ho spiegato più volte, ma è probabilmente impossibile insistervi troppo: ritenere che solo un gruppo umano (i bianchi nello specifico, noi) possa essere responsabile di un determinato tipo di crimini (razzismo, colonialismo e simili), e che lo sia responsabile di per sé, per natura, è razzismo, razzismo anti-bianco di cui qui tocchiamo con mano tutta la realtà e gli intenti genocidi.
E notiamo che qui vengono a cadere sia il tabù a usare la parola “razza” sia la presunzione che le razze umane non esistano, IL BAVAGLIO che solitamente la democrazia impone a noi, quando si tratta di agire contro di noi, tutto diventa legittimo. Notiamo ancora che secondo Noel Ignatiev, è difficile pensare che qualcuno si opponga a un obiettivo così desiderabile come la nostra eliminazione, tranne i suprematisti bianchi, cioè uno sparuto gruppuscolo di estremisti di destra.
Naturalmente sono andato a verificarlo su Wikipedia, ma già prima del responso di questo moderno oracolo, sarei stato pronto a scommetterci la casa e fino al mio ultimo centesimo. Indovinate un po’: Noel Ignatiev appartiene allo stesso gruppo etnico e sedicente religioso di Marx, Freud, Einstein, Levi-Strauss, Richard Lewontin. Alla fine tutto torna.
Anche in questo periodo non mancano novità nei settori archeologico e paleoantropologico che riguardano la tematica delle origini. Si può cominciare con il menzionare il fatto che il periodico “The Arctic”, russo in lingua inglese, ha pubblicato un’ampia intervista con l’archeologo Vladimir Pitulko. Pitulko, lo ricordiamo, è colui che ha scoperto tracce di presenza umana nella Siberia artica risalenti a decine di migliaia di anni fa. Il titolo dell’intervista, che riporta una frase dell’archeologo, è: L’artico era e rimane un enigma archeologico.
Nell’intervista, egli riferisce di vari ritrovamenti di tracce di presenza umana, i più antichi dei quali risalirebbero a 45-47.000 anni fa. Essa è appunto un enigma archeologico perché è difficilmente compatibile con le teorie correnti sulle origini della nostra specie, per due motivi, perché è difficile pensare che esseri non tecnologicamente evoluti abbiano potuto sopravvivere in climi come quelli che esistono attualmente a quelle latitudini, e perché queste scoperte sono difficilmente compatibili con l’Out of Africa, la teoria che preveda l’origine della nostra specie nel Continente Nero, e la sua uscita da esso non prima di 50-70.000 anni fa.
Ma se assumiamo: 1. Che nel remoto passato il clima delle regioni artiche fosse molto diverso da quello attuale; 2. Che Homo sapiens, la specie umana, potrebbe non essersi originata in Africa ma in Eurasia,vediamo che l’enigma si risolve da solo.
L’Out of Africa, almeno nella sua versione che prevede un’uscita recente dell’uomo dall’Africa, ed è questa la versione che interessa di più gli antirazzisti, perché appunto presuppone una filogenesi corta che non da tempo alla nostra specie di differenziarsi in razze, è alla prova dei fatti sempre più insostenibile.
Ne è una riprova anche un articolo di Bruce R. Fenton recentemente apparso su “Ancient News” intitolato (vi do la traduzione in italiano) La teoria della recente uscita dall’Africa è sbagliata. Il punto che Fenton mette in rilievo è l’esistenza di popolazioni umane Sapiens in Asia e in Australia già attorno a 80-120.000 anni fa. Bisogna dire che fa il possibile per presentare questo fatto in modo da renderlo meno inaccettabile possibile ai paladini dell’archeologia e della paleoantropologia ortodosse e ufficiali, mostrando una notevole cautela (professionale), certamente dettata dalla consapevolezza che le opinioni eterodosse possono avere pesanti ripercussioni sulle carriere, e che il libero confronto delle idee nella “scienza” non è che una barzelletta.
La sua ipotesi è che vi sarebbero stati almeno due nuclei di sopravvissuti alla catastrofe determinata dall’esplosione del vulcano Toba avvenuta in Indonesia tra 50 e 70.000 anni fa, uno in Africa, un altro in Asia-Australia, e un terzo forse nell’America meridionale. In più, nel tentativo di mettersi ancor più al sicuro, Fenton fa un’ampia citazione del celebre saggio del filosofo della scienza Thomas S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, che ha sostenuto appunto che la scienza progredisce per successive rivoluzioni e rimettendo continuamente in discussione le concezioni precedentemente date per acquisite.
Ci sarebbe quasi da scuotere la testa con compatimento, infatti, pensare che l’origine africana della nostra specie e l’inesistenza delle razze siano teorie scientifiche, dimostra una singolare ingenuità, si tratta invece di dogmi della democrazia che non è permesso mettere in discussione per quanto possano essere contraddetti dai fatti. Prendiamo comunque atto con soddisfazione del fatto che l’Out of Africa sta mostrando crepe sempre più vistose.
Non è difficile prevedere che per gli antirazzisti sono in arrivo tempi sempre più duri, infatti la presunzione che le razze umane non esistano, che esse siano non un dato biologico ma un mero costrutto sociale e culturale, è destinata a scontrarsi sempre più frontalmente con le evidenze della genetica.
Perlomeno va in questo senso un articolo di Kathryn Garfield pubblicato su “Discover Magazine” (vi do anche qui il titolo in traduzione italiana): Le razze hanno una base genetica, dopotutto? Prima di entrare in argomento, vi cito una curiosità: la traduzione in italiano diventa (ho provato più volte) l’interrogativo se correre abbia una base genetica. La parola inglese “race”, come è noto, si può tradurre sia come razza che come corsa, gara. Il dubbio che mi è venuto, è se il concetto di razza fa tanta paura che si tende a rimuovere la parola corrispondente dai dizionari.
Bene, la genetica dimostra in maniera inoppugnabile quel che per noi è un’ovvietà, ma per i democratici è, ben che vada, un abominio da bisbigliare tremando: le differenze razziali fra gli esseri umani esistono, e non sono riconducibili a fattori sociali o culturali, ma trovano il loro fondamento nella biologia, e la dimostrazione di ciò viene dall’International HapMap Project, un progetto che cataloga le differenze genetiche fra gli esseri umani.
Naturalmente, e ci sarebbe davvero da stupirsi se così non fosse, l’autrice cerca in ogni modo di ridurre la portata delle sue affermazioni, tali differenze, sostiene, non riguarderebbero tanto i geni in se stessi (la famosa tesi di Craig Venter sulla presunta uniformità genetica umana, che si è rivelata inaffidabile come il personaggio che l’ha formulata, ma che si vuole evitare di smentire completamente), ma il modo in cui essi si esprimono, e non riguarderebbero tanto aspetti macroscopici facilmente riscontrabili quali il colore della pelle (gli antirazzisti sono sempre convinti che le differenze razziali consistano in questo), quanto piuttosto fattori come la vulnerabilità a determinate malattie come l’ipertensione o il diabete di tipo 2.
Precauzioni tutto sommato inutili, perché quel che conta è l’ammissione che le razze umane esistono, e non sono dei costrutti socio-culturali, ma dipendono da effettive differenze genetiche fra le persone e i gruppi umani. La frittata è stata fatta, e quando è fatta, non si può sperare di rimettere assieme le uova.
Torniamo a parlare della Cina: negli ultimi anni la grande nazione asiatica ha letteralmente riscritto la storia della vita sul nostro pianeta con il ritrovamento di fossili di dinosauri in precedenza sconosciuti, ma ha dato anche un importante contributo a riscrivere la storia della nostra specie con una serie di scoperte in qualche modo analoghe, che sempre più difficilmente si conciliano con il dogma out-of-africano. La notizia riportata dall’articolo di Robinson Meyer pubblicato su “The Atlantic” non è recentissima, risale al luglio scorso, ma voi certamente capite che “la rete” è un mare magnum, e non è che i media si affrettino proprio a mettere in evidenza tutto ciò che contraddice l’ideologia dominante.
A quanto riferisce l’articolo (anche qui vi do il titolo tradotto): Gli antichi esseri umani vivevano in Cina 2,1 milioni di anni fa. Il testo riferisce in particolare delle ricerche condotte dall’archeologo Zhaoyu Zhu dell’Accademia Cinese delle Scienze che per tredici anni avrebbe scavato un sito nei depositi di loess della Cina settentrionale (la località non è specificata), rinvenendo utensili litici risalenti a 2,1 milioni di anni fa, cioè antecedenti alla presenza documentata di Homo Erectus in Africa (posto che l’umanità e l’appartenenza del cosiddetto Homo Abilis e del cosiddetto uomo di Naledi al lignaggio umano possono essere seriamente messe in dubbio).
Anche se per il momento non sono stati trovati fossili umani ma soltanto attrezzi litici, se una simile datazione fosse confermata, per l’Out of Africa non ci sarebbe proprio partita, solo la smentita totale.
Ci spostiamo in un orizzonte temporale molto più vicino a noi (sappiamo che la questione delle origini si situa su diversi livelli) e, a quanto pare, anche stavolta non è possibile non parlare di “Le Scienze” che sebbene sia riguardo alla tematica delle origini, la più rigida roccaforte dell’ortodossia “scientifica” dominante, di quando in quando si lascia scappare qualche ammissione pericolosa.
“Le Scienze” on line del 20 marzo contiene un articolo (redazionale, quindi non firmato) sulla diffusione dell’agricoltura nell’antica Anatolia. Una ricerca genetica condotta da ricercatori del Max Planck Institut per la scienza della storia umana di Jena capeggiati dal professor Johannes Krause ha appurato che gli agricoltori anatolici dell’età neolitica non erano, come si era finora pensato, discendenti da coloni provenienti dalla Mezzaluna Fertile, ma dalle popolazioni che avevano abitato la regione nel paleolitico e possono aver “copiato” l’agricoltura dai loro vicini.
Questo impone di riflettere: se ciò è avvenuto per l’Anatolia, perché non sarebbe potuto accadere per l’Europa. Ammesso e non concesso che la rivoluzione agricola non sia invece originaria del nostro continente, perché i nostri antenati non avrebbero potuto imparare le tecniche agricole invece di riceverle da un’invasione di genti mediorientali (che qualcuno pretende ci abbiano apportato pure le lingue indoeuropee, è la tesi del nostratico)?
E’ un altro pezzo della concezione delle nostre origini impostaci dalla democrazia che entra in crisi. Io ho l’impressione che ci stiamo sempre più avvicinando a un bivio: presto l’ideologia democratica dovrà essere costretta ad accettare di essere del tutto sbugiardata, o dovrà imporre il bavaglio alla ricerca scientifica. Ma ci saremo sempre noi a batterci per la verità, oltre che per il futuro della nostra gente.
NOTA: nell’illustrazione Krishna e Arjuna, simboli non soltanto religiosi dell’India ariana-vedica.