Un nome, quello di Arturo Reghini capace, ancor oggi, di ispirare sentimenti contrastanti, senza mediazione alcuna. All’ammirazione per l’iniziato, il pitagorico, fa da contraltare l’avversione sic et simpliciter per il massone, l’uomo di loggia, che professava apertamente e senza remora alcuna, la sua adesione alla “veneranda istituzione” massonica e, perciò stesso, oggetto di esecrazione senza se e senza ma.
Ma, ad un più attento sguardo, al primo sfogliare tra le pagine dei suoi scritti, ben altra figura traspare, ben lontana dall’ottuso settarismo che qualcuno vorrebbe appiccicare alla sua figura. Se, da una parte, i suoi scritti trasudano un entusiasmo ed una prolissità senza pari, dall’altra essi sono caratterizzati da una chiarezza ed un nitore altrettanto impareggiabili, vista anche la materia che essi, in vario modo, toccano, ovverosia l’esoterismo ed i suoi mille risvolti sapienziali. E qui, in Reghini, a predominare è il suo aspetto più “essoterico” di insegnante di matematica, rigorosamente semplificatorio e preciso, amante della sintesi a tutti i costi.
Il grande toscano riesce ad affrontare i temi più complessi e profondi con l’entusiasmo e la leggerezza di un neofita, riuscendo via via a trascinare il proprio lettore nei più reconditi abissi delle Scienze Occulte. Chiarire sembra esser per lui, una irrinunciabile e primaria istanza. E lo fa da filosofo, da matematico, da iniziato e da uomo libero. Come tutti i grandi autori di esoterismo, Reghini ci mette subito dinanzi al problema dell’Io e della sua collocazione rispetto all’Universo intero, riportandoci al problema del superamento dell’egoità, a favore di una animica connessione con l’Essere Universale, con quella dimensione del trascendente con la quale il singolo finisce poi, con l’identificarsi. Rispetto alle scienze esatte, volte alla fredda osservazione ed enumerazione dei fenomeni del macrocosmo, al di fuori di noi, quella che il Reghini ci propone è una scienza volta, invece, al risguardo della nostra interiorità. Una scienza dell’anima, la cui fenomenologia non è razionalmente dimostrabile, non è esportabile e condivisibile all’esterno, se non attraverso la propria peculiare esperienza individuale e nulla più. Da queste basilari considerazioni, prende lo spunto una idea profondamente “differenzialista” e qualitativa dell’intero ordine cosmico.
La meditazione ed il distacco dal nostro Ego, al fine di raggiungere il nostro Io sovrasensibile (Atman), direttamente connesso con l’Essere intero, non è cosa da tutti e spalanca le porte di una piena coscienza del “Sé”, in grado di sopravvivere anche “post mortem”, lasciando intravedere la possibilità per l’individuo di “indiarsi”, ovverosia di farsi Iddio egli stesso, anche in vita, seguendo determinate prescrizioni, legate ad una disciplina e ad un percorso interiore ben definiti. Ma, ripetiamolo, a detta del Reghini, detti percorsi non sono per tutti. Questa impostazione va poi trasponendosi anche sul piano pratico. Ben lungi da suggestioni democratiche e progressiste, il nostro si fa portatore di un’idea di Massoneria, improntata sui principi di gerarchia ed iniziazione. Scagliandosi con veemenza contro i fautori di un’organizzazione animata da un pout pourri di principi liberal-democratici e progressisti, in salsa iniziatica, ridotti allo squallido ruolo di combriccole affaristiche, il Reghini rivendica alla Massoneria il ruolo di testimone e custode ideale di quella sapienza esoterica “italica”, frutto del sedimentarsi nei secoli di Orfismo, Pitagorismo, Ermetismo ed altri apporti ancora ed i cui principali protagonisti furono Pitagora, Giuliano Imperatore, Dante Alighieri, Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Non senza un tocco di ammirazione per quel Napoleone Bonaparte (che, nel ruolo di redivivo Imperatore, rinnovò i fasti di quell’idea di Impero che covava sotto la cenere di secoli di oppressione clericale e mercantilista), arrivando a Giuseppe Mazzini ed alfine, alla figura di Mussolini, verso il quale il nostro nutre una incondizionata ammirazione.
Nel Duce Reghini vede la reincarnazione del Veltro dantesco, ne comprende ed ammira il pragmatismo politico, anche nei suoi atteggiamenti di apertura verso quella Chiesa Cattolica che, necessariamente avrebbe dovuto esser fatta oggetto di attenzione e cura, non senza però dimenticare il ruolo dello Stato, assolutamente non sottomettibile, né condizionabile ai desiderata di quest’ultima. Nei suoi scritti Reghini non esita a scagliarsi ed a denunciare le incoerenze e gli abusi della Chiesa nei secoli, portandoci l’esempio del processo a Cagliostro, di cui ci offre in esclusiva alcuni tratti salienti dei verbali del processo a quest’ultimo e delle manipolazioni e della malafede con cui fu condotto dalla Santa Inquisizione.
Nel far questo, Reghini ci riporta, al contempo, al concetto profondamente iniziatico e teurgico che animava i principi della Massoneria Egizia, che annovera Cagliostro tra i suoi fondatori. A tal proposito, il Nostro ci parla delle Quaresime Iniziatiche, veri e propri procedimenti volti a conferire all’iniziato una immortalità dalla doppia valenza, spirituale e fisica. Con la prima il miste andrebbe ad acquisire una forma di onniscienza, tale da fargli presentire e prevedere gli eventi, nel presente e nel futuro, accompagnata ad una capacità di modificare gli elementi della natura con la sola forza di volontà spirituale. Con la seconda, invece, l’iniziato andrebbe ad assumere un vero e proprio status di immortalità fisica ed a tal proposito cita l’esempio del profeta biblico Enoch e Mosè, chiamati direttamente a Dio senza dover abbandonare il proprio corpo ( o anche Eracle, l’eroe semidivino assurto divinità nel pantheon degli Dei olimpi…). Una sorta di magia “osiridea”, dunque, di cui il Reghini ci parla in modo chiaro, aperto, senza né misteri nè ghirigori.
Il suo entusiasmo e la prolissa foga con cui via via affronta i vari temi, troppo spesso rasentano una ingenuità ed un’imprudenza da principianti. L’arrivare a definire quale “nazionalismo gesuitico” il governo fascista, alla vigilia del Concordato, l’illusione di poter imprimere alla Massoneria italiota un indirizzo iniziatico e tradizionale, il pensare di poter trattare da pari con il Fascismo, le stesse “catene” magiche del Gruppo di Ur volte ad imprimere un carattere pagano al regime, se da un lato, rappresentarono delle evidenti forme ingenuità, dei veri e propri voli pindarici del nostro, dall’altro, furono però affiancate da un atteggiamento di ottusa chiusura da parte del Regime, che non seppe e non volle comprendere e far suoi la sua carica di entusiasmo, le sue ingenue istanze, accompagnate dal tentativo di imprimere alle varie forme di sapere iniziatico ed alle sue espressioni organizzative, un carattere italico ed indoeuropeo, scevro da suggestioni “esotiche”, ovverosia di origine medio orientale ed orientale.
Se il Regime ebbe, in occasione dei contrasti sorti tra il Nostro ed Evola, che lo voleva denunciare quale aderente alla massoneria, l’accortezza di evitare guai giudiziari a quest’ultimo, d’altro canto, lo isolò totalmente, condannandolo ad un’ingiustificata insignificanza. E questo a causa della tendenza, comune a tutti i Totalitarismi del novecento, ad omologare e ad operare una “reductio ad unum”, attorno ad un determinato e rigido modello, contrariamente al Globalismo il cui modello è frutto di un continuo e reciproco adeguamento tra le istanze della Tecnhe e quelle dell’Economia. La qual cosa, nel lungo e medio termine, ne avrebbe comportato la fine.
Incompreso ed isolato, il nostro avrebbe concluso la propria esistenza, immerso nei suoi studi pitagorici, in povertà, a guerra appena finita, nel 1946. Quella di Arturo Reghini è una trista vicenda, tutta italiota, incentrata su un’invidia ed un vigliaccheria che affondano le proprie radici in una plurisecolare tradizione, tutta nostrana. La persecuzione del pensiero “non conforme”, accompagnate ad una idea ottusa ed antimeritocratica dell’umano agire, ad oggi, continuano a costituire quella miscela che impedisce e rallenta la crescita e l’armonioso sviluppo del nostro Paese. Al di là di dibattiti su questa o quella formula politica od economica che dir si voglia, questo è il problema centrale dell’Italia (e dell’Occidente…) di oggi. E prima ce ne avvedremo e meglio sarà per tutti.
UMBERTO BIANCHI
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