11 Ottobre 2024
Julius Evola Libreria

L’autobiografia spirituale di Evola: due interviste televisive del filosofo – Giovanni Sessa

Evola ha sempre parlato poco di sé, della sua biografia esteriore. Perfino Il cammino del cinabro è povero di riferimenti alla sua vita e al suo quotidiano. Nell’ultimo periodo, grazie a ricerche accurate, condotte prevalentemente dalla Fondazione che porta il suo nome, sono emersi documenti e testimonianze che aiutano a definire meglio i tratti dell’uomo Evola, oltre che il suo pensiero. Un ruolo di primo piano riveste, in questo ambito, la recente pubblicazione, Julius Evola, Autobiografia spirituale, comparsa nel catalogo delle Edizioni Mediterranee a cura di Andrea Scarabelli (per ordini: 06/3235433, ordinipv@edizionimediterranee.net, pp. 152, euro 20,00). Il volume presenta l’intervista raccolta da Dominique de Roux il 19 luglio 1969 per la TV francese, prevalentemente centrata a discutere la partecipazione di Evola all’arte d’avanguardia, nonché l’ulteriore intervista del 18 ottobre 1971, rilasciata a Jean-José Marchand e a Marco Dolcetta, in cui il filosofo attraversa l’intera sua esperienza intellettuale. Le interviste sono inedite in lingua italiana, in quanto furono rilasciate in francese e furono trasmesse, solo in parte, da una TV elvetica. Il libro raccoglie, inoltre, tre articoli del pensatore comparsi su Ur e Krur, riguardanti la drammatica crisi esistenziale da lui attraversata a partire dalla fine degli anni Dieci e definitivamente superata nel 1921. I tre saggi sono analizzati in modo organico e con persuasività di accenti da Alessio de Giglio.

   Da queste pagine colloquiali, adatte, quindi, anche ai neofiti del pensiero di Tradizione, Evola emerge quale uomo libero, capace di porsi oltre il convenzionalismo borghese e quale testimone di primo piano della crisi del moderno. Come rilevato da Scarabelli, sotto il profilo culturale, nella prima intervista: «ad emergere è soprattutto la natura meta-artistica del dadaismo evoliano» (p. 70). Nel Dada l’Io svolse una funzione demiurgica, affiancata da una radicale volontà di negazione delle sovrastrutture intellettuali che impediscono l’accesso al Principio. Il movimento d’avanguardia fu via mistica atta a recuperare il fondo divino che ci abita, oltre il dominio del logocentrismo. Per cui Dada, non fu per Evola una novità. Le sue istanze erano già state comprese ed espresse, tra gli altri, da Novalis, Eckhart, Porfirio. L’intervista fa chiarezza anche sull’aspetto metapolitico del pensiero evoliano, che indusse il nostro autore a tentare una rettifica, in senso tradizionale, del totalitarismo fascista e a prendere le distanze dalla visione del mondo, sangue e suolo, propria del nazismo. Rileva il curatore: «si oppose al ducismo, vedendovi una forma di populismo all’ennesima potenza […] antitetico alla vera autorità, che da un punto di vista tradizionale incarna una forza trascendente» (p. 77). Evola precisa di non aver mai nutrito verso Hitler: «alcuna simpatia, anzitutto perché vedevo in lui tendenze proletarie, in secondo luogo perché era una specie di pericoloso “posseduto”» (p. 78). Con il che filo-nazisti, evolomani e denigratori preconcetti di Evola sono serviti.

   Dall’intervista emerge che, nel 1964, Evola si adoperò per far pubblicare dall’editore Volpe gli scritti politici di Pound, una autobiografia poundiana relativa ai rapporti che il poeta intrattenne con il regime. Il progetto, alla fine, si arenò. Evola definisce, peraltro, gli scritti economici dell’americano «monomaniaci», ritenendo che i problemi di natura economica potessero essere risolti solo attraverso una visione antiutilitarista del mondo e della vita. La parte più rilevate di queste «confessioni» evoliane, come ben colto da Scarabelli, si rivela nel momento in cui viene chiesto al tradizionalista se al sovrannaturale, cui egli sovente si riferiva, fosse possibile attribuire il nome di Dio. Questa la significativa risposta di Evola: «Non esiste affatto una realtà “dietro” ad un’altra realtà, ma esistono differenti modalità di sperimentare una sola cosa» (p. 59). Per il filosofo, non ha senso parlare in termini dualistici di una realtà relativa, subordinata ad una assoluta, esistono, invece, uno sguardo relativo ed uno assoluto sul mondo. La cosa era già stata colta da Evola nello scritto Come poniamo il problema della conoscenza, comparso su Ur nel 1927.

   Non si tratta, nella prospettiva evoliana, di cambiare la realtà, ma di cambiare il nostro modo di vederla ed intenderla. L’assoluto si dà solo nel mondo, nel finito, si tratta di integrare l’Io nel Sé, perché possa scorgerlo e rintracciarlo. E’ il tema che pervade, dall’inizio alla fine, il percorso del pensatore: la trascendenza immanente. Per giungere al nuovo sguardo sul mondo, Evola attraversò una crisi drammatica, i cui tratti essenziali sono presentati nei tre saggi usciti su Ur-Krur, analizzati e discussi da de Giglio. Fondamentalmente si tratta del tema del «suicidio metafisico», della morte iniziatica che il filosofo visse intensamente per poter leggere nel finito l’infinito. Si trattò del precipitare di una situazione inscritta nelle cose, infatti: «l’identità evoliana è fluida, fuori contesto, sin dalla nascita rimbaudiana. Evola si sbarazza subito della propria identità per affermarne la differenza» (p. 122). Evola in Ur segna le tappe di un diario intimo che, dal disgusto esistenziale per la «pesantezza» delle cose, della vita, tesa entropicamente a «divenire vento e sabbia» e atta a far vacillare perfino la dimensione del ricordo, lo portò a: «un altro piano […] lasciando al basso, intatte, le spoglie oscure» (p. 127). Fu trasfigurazione, estasi, dilatazione della coscienza. In una parola conquista della vita nova, di cui Evola dirà nell’introduzione di Rivolta.

La vita nova è una possibilità ma, con Michelstaedter, il filosofo aveva contezza che non poteva trattarsi di una corsa da omnibus.

Giovanni Sessa

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