Virgilio unisce nella sua opera il virtuosismo tecnico con la capacità di delirio icastico del più raffinato surrealismo, originando opere che conquistano immediatamente lo sguardo dell’osservatore, e lo calamitano in un metamondo onirico in cui spesso affiorano citazioni Fiamminghe, Rinascimentali e altro. La maestria, e la densità di poetica in tali realizzazioni è già di per sé sufficiente a garantirgli rilievo nel panorama artistico nazionale e non.
Ma non è il caso di adagiarsi nella pura contemplazione e degustazione estetica e intellettuale dei suoi lavori, che
per di più segretano e insieme esprimono non pochi tratti che potremmo definire esoterici. Non si può infatti dimenticare che tra i suoi lari e penati il Nostro annovera Duchamp, con quella sua tensione a portare il gesto artistico al di fuori della sua traccia consueta, e a intromettere in esso una oggettualità allotria che lo pone tra lo sguardo dell’artista, e la consistenza apparentemente esterna delle cose, in una liminalità che è il luogo stesso del fare creativo di Virgilio.
Proprio dalla collisione e collusione tra il classico e la rivoluzione duchampiana sussiste, e dalla metà degli anni duemila a oggi si accentua, l’originalità del gesto di Virgilio, con l’approdo alla pratica dell’atomideogenesi, che attraverso l’annullamento dell’opera, ricondotta al suo “algoritmo cibernetico” di pure astrazioni matematiche mediante l’incastonamento in essa stessa di una memory card che ne contiene, appunto, l’algebra astratta, la riconduce alla sua dimensione di “idea” nel senso pitagorico del termine.
Si può bene intendere in questo modo la sua critica dell’astrattismo, quando sostiene che il termine astrattismo attraverso il quale gli storici hanno nominato la nota corrente artistica è “sbagliato”, “perché nel momento in cui tocchiamo o anche soltanto guardiamo un oggetto, quell’oggetto è figurativo e non astratto. Un colore, una linea, una frase, anche se svincolate da forme di rappresentazione convenzionali, saranno sempre forme riconducibili a una riconoscibiltà umana.e quindi saranno espressioni non astratte ma figurative”.
Atomideogenesi rivendica la proprietà del termine “astratto” in quanto l’opera, creata e manifestata, viene annullata nella sua idea, che non è umana, ma appunto, astratta: L’opera viene realizzata, nella sua perfezione, doxastica, e poi fotografata. La memory card, “che conserva l’immagine smaterializzata dal processo informatico attivatosi allo scatto della foto, trasformata e rinominata in codice binario, in numeri, i quali essendo un’entità astratta sono intangibili, come il pensiero”, viene incastonata nell’opera, e sta a essa come in Platone le Idee stanno alle cose. Annientandola, l’Artista salva i fenomeni. E l’Arte.
Così, aggiungiamo noi, il Vuoto sta alla forma nel Sutra del Cuore buddista, e l’acqua divina sta alle cose nell’alchimia di Zosimo di Panopoli?
Forse, ma con una differenza – e qui rilanciamo una piccola provocazione all’Artista: che il numero e la memory card hanno una materialità e sono espressione, seppure astratta, mentre il Cuore che non trema della Aletheia parmenidea, il Vuoto buddista e l’acqua divina dimorano in quella dimensione che Giorgio Colli chiamava “immediatezza” e che è al di là di mondo e mente.
Angelo Tonelli
(www.virgiliorospigliosi.com)