Ben poco conosciuta e del tutto ignorata dai libri di storia, è l’età del Bronzo nordica e scandinava.
Alcuni anni fa, un ricercatore italiano del tutto indipendente da qualsiasi ambiente accademico, l’ingegner Felice Vinci, pubblicò un libro, Omero nel Baltico, che presentava una tesi molto eterodossa. E’ noto da tempo presso gli studiosi che la geografia disegnata nei poemi omerici non corrisponde realmente a quella del Mediterraneo orientale, delle isole greche e dell’Asia minore. Ciò è stato perlopiù interpretato come una serie di licenze poetiche che l’autore dell’Iliade e dell’Odissea si sarebbe preso.
Vinci tuttavia ha notato che la geografia dell’area baltica corrisponderebbe meglio di quella mediterranea al mondo descritto da Omero. Un esempio per tutti di queste discrepanze: Dulichio, “L’isola lunga” menzionata da Omero, che non troverebbe alcuna corrispondenza nel Mediterraneo e sarebbe invece la lunga e piatta isola baltica di Langeland.
Gli Achei, come gli altri popoli indoeuropei, hanno invaso l’Europa mediterranea provenendo da settentrione. Nella loro nuova sede, ipotizza Vinci, avrebbero dato ai luoghi nomi che erano gli stessi delle località di origine, e poiché avrebbero portato con sé le loro leggende e il loro epos, qui avrebbero ri-ambientato queste antiche narrazioni, una volta dimenticata la sede originaria, narrazioni poi confluite nei poemi omerici.
Le tesi di Vinci sono state fortemente criticate da altri studiosi, tra cui forse uno dei più autorevoli, Ernesto Roli già amico e collaboratore di Adriano Romualdi. Ciò su cui invece nessuno avanza dubbi, ed è la ragione per cui il lavoro di Felice Vinci ci interessa in questa sede, è il fatto che esso ha richiamato l’attenzione sulla ricchezza e la complessità dell’Età del Bronzo scandinava, che a noi è praticamente ignorata. Nel Museo Nazionale di Copenaghen, ad esempio, sono conservate raffinate asce di bronzo finemente decorate, scudi, punte di lancia e gioielli, espressioni di un’oreficeria raffinata che non ha nulla da invidiare alle produzioni coeve di regioni più meridionali, fra questi, ad esempio l’elegante carro solare di Trundholm, probabilmente uno dei più raffinati oggetti di culto preistorici che ci siano pervenuti.
Non mancano nell’area scandinava costruzioni megalitiche come il dolmen di Lyo conosciuto come “la pietra del corvo” o i tumuli di Raevehoj nel Sjelland meridionale. Sono comuni poi gli allineamenti di menhir disposti in modo da ricordare la prua di un’imbarcazione, una tipologia che si ritrova dal neolitico all’età vichinga, segno evidente del fatto che le genti scandinave hanno dovuto da tempo immemorabile cercare sul mare la loro sopravvivenza.
Il più notevole di tutti è però probabilmente il grande tumulo di Kivik (di 75 metri di diametro) nella Svezia meridionale, una costruzione che ricorda da vicino le tombe micenee e che contiene al suo interno un grande sarcofago formato da lastre graffite con incisioni che somigliano a elaborati ideogrammi.
Un fenomeno riportato alla luce solo negli ultimi decenni e praticamente sconosciuto al grosso pubblico, è il megalitismo nell’Europa orientale, in Russia e nei territori dell’ex Unione Sovietica.
Comincio citando a tale proposito la scoperta meno recente, che per la verità si situa geograficamente fuori dall’area europea, in quella che, almeno stando agli atlanti, è decisamente Asia, e tuttavia sembra collegarsi piuttosto al megalitismo russo e dell’Europa orientale che ad altro. Mi riferisco a un post apparso su “Antikytera” nel maggio 2003, che parla della scoperta di una “Stonehenge tagika”, una sorta di osservatorio astronomico d’alta quota rinvenuto a 4.000 metri tra le montagne del Tagikistan:
“Nella regione del Pamir, nell’area orientale del Tagikistan, un gruppo di archeologi ha incontrato a 3850 metri d’altezza un sorprendente complesso monumentale, risalente al 1000 a. C. Potrebbe trattarsi di un santuario solare o di un osservatorio astronomico, eretto in un luogo dalla bellezza naturale stupefacente, la valle del fiume Shorol, dove, fra chilometri di catene montuose, svettano alcune delle cime più alte della Terra.
Si tratta di giganteschi blocchi di pietra che si uniscono a rappresentare rettangoli, frecce e figure falliche dal significato ancora misterioso, ma che rivoluzionano tutte le nostre conoscenze sull’Asia centrale preistorica, introducendo nuovi interrogativi sulle nozioni di astronomia in possesso dei popoli che la abitavano.
Secondo gli esperti dell’Istituto di Storia e Archeologia dell’Accademia Nazionale di Scienze del Tagikistan, a cui spetta il merito della scoperta, la stupefacente costruzione potrebbe essere opera di una speciale casta di sacerdoti, salita a quell’altitudine per creare un proprio spazio magico, con lo scopo d’osservare e venerare la principale divinità, il Sole. Alcuni astronomi, però, azzardano un’altra interpretazione: secondo i loro calcoli uno degli assi di pietra tracciati può determinare il sorgere del sole durante i solstizi d’estate e d’inverno, mentre un altro asse varrebbe per gli equinozi di primavera ed autunno”.
Ma tutto ciò è ancora poco, perché qualche mese più tardi, nel gennaio 2004 è arrivata la notizia del ritrovamento di una vera e propria Stonehenge russa a Ryazan nella Russia centrale. Il post, ripreso da “La porta del tempo” è il seguente:
“La Russia ha ora la sua stonehenge. Nell’estate, una struttura megalitica di 4.000 anni or sono è stata scoperta al sito di Spasskaya Luka, nella regione di Ryazan della Russia centrale. Questa struttura, che, gli archeologi ritengono fu eretta come santuario, si trova su una collina che sovrasta la confluenza dei fiumi Oka e Pron. L´area circostante è sempre stata vista come un´ “enciclopedia archeologica”, un caleidoscopio di culture che spaziano dal Paleolitico Superiore al Medio Evo.
“Se esaminiamo questo sito archeologico, per come rappresentato su una mappa, vedremmo un circolo di 7 metri di diametro, segnato da piloni, spessi mezzo metro ed alla stessa distanza l´uno dall’altro” ha illustrato il capo della spedizione Ilya Akhmedov, che lavora per il Dipartimento Storico per la Storia ed i Monumenti Archeologici del Museo di Mosca. “Vi è un grande spazio rettangolare ed un pilone nel centro del circolo. I piloni di legno non sono sopravvissuti, naturalmente, ma i grandi fori dove una volta stavano infissi possono essere visti chiaramente. Lungo i bordi del sito vi sono due fori ulteriori. Originariamente potrebbero anche essere stati quattro, ma la riva del fiume è stata parzialmente distrutta da una frana, e parte del sito è stato sicuramente danneggiata”.
Un altro foro con un pilone è stato dissotterrato sette metri ad est del sito. E qui ve n´è anche uno a sud, che fu scoperto tre anni or sono. “Con tutta probabilità, vi è un secondo raggio di piloni che circondava il tempio, ad una dozzina di metri di distanza” ha dichiarato Akhmedov.
Le due coppie di piloni formano un passaggio, che, se osservata dal centro, offre in estate una spettacolare visione del tramonto. Un altro pilone, dietro il recinto circolare, punta al sole nascente. La struttura del monumento ha portato gli studiosi ad avanzare ipotesi circa il suo scopo astronomico. Gli oggetti trovati al sito devono essere stati elaborati con un rituale religioso in mente.
La dimensione dei fori varia da 44X46 a 75X56 cm. In uno dei fori centrali è stato trovato un piccolo contenitore di ceramica. E´ finemente decorato con zigzag, che ricordano i raggi del sole, e con linee arricciate, che simbolizzano l´acqua. Gli archeologi specializzati nell’Età del Bronzo, hanno riconosciuto i manufatti come databili al “loro periodo”. Visivamente, ricordano oggetti prodotti dalle tribù eurasiatiche meridionali.
Frammenti di ossa lunghe e denti sono stati trovati da uno dei fori all’esterno del santuario. Si ritengono essere i resti di un sacrificio. Ma non si può nemmeno escludere il fatto che questi ampi fori fossero utilizzati come seppellimenti. Uno strato di decadimento organico è stato scoperto sul fondo del foro centrale; gli archeologi hanno giustificato la decomposizione delle ossa con alcune proprietà particolari del suolo locale. I resti trovati potrebbero bene essere appartenuti ad un capo-tribù santificato in modo postumo.
Antichi santuari sono spesso situati presso siti sepolcrali. Ciò è attribuibile alla concezione pagana della morte come punto di transizione all’oltretomba. Nell’antico folklore, non solo la vita della natura era considerata un ciclo, ma similmente accadeva della vita umana. I culti lunari e solari erano collegati al culto della fertilità ed indicavano il legame mitologico tra vita e morte”.
Come se tutto ciò non fosse ancora abbastanza, nel 2010 è arrivata la notizia della scoperta di una terza Stonehenge russa o, se vogliamo, di una seconda Stonehenge caucasica; ecco cosa riferisce il post del 15 ottobre:
“Un archeologo russo sostiene di aver trovato i resti ben conservati di una “Stonehenge caucasica” costruita da una sconosciuta civiltà dell’età del bronzo nella Russia meridionale.
Andrey Belinskiy ha detto che insolite formazioni circolari di pietra sono state trovate in uno dei circa 200 insediamenti che risalgono al 1600 a.C. e si trovano sulle montagne del Caucaso del Nord. Gli insediamenti sono stati scoperti negli ultimi cinque anni da una spedizione russo-tedesca diretta dallo stesso Belinskiy.
Egli ha fatto riferimento alla struttura come una “stonehenge caucasica”, facendo un paragone con il celebre monumento nel sud-ovest dell’Inghilterra.
“Ogni struttura di forma insolita potrebbe essere collegata a un calendario”, ha detto Belinskiy all’Associated Press, aggiungendo che le strutture non somigliavano ai fienili e alle case che la sua spedizione aveva trovato in altri insediamenti.
Egli ha detto che gli ornamenti di ceramica rinvenuti nella zona avevano suggerito che i loro creatori avessero familiarità con l’astronomia e calendari. Quella civiltà non ha lasciato documenti scritti e le sue origini etniche non sono note, ha detto.
Valentina Kozenkova, professoressa di storia del Caucaso presso l’Accademia Russa delle Scienze, ha detto che il ritrovamento è “unico e senza pari”.
Gli storici russi hanno trovato diverse strutture dell’Età del Bronzo in Russia e in Asia centrale, che erano utilizzate come calendari ed erano circondate da un paesaggio rituale.
Il Caucaso del Nord è una delle regioni etnicamente più differenziate del mondo, situato tra il Mar Caspio e il Mar Nero. La regione ha avuto contatti millenari con le civiltà della Mesopotamia, dell’Asia centrale e dell’Iran.
Belinskiy ha detto che gli abitanti degli insediamenti che sono stati scoperti allevavano bestiame erbivoro ed occupavano aree di montagna ideali per il loro bestiame. “Era la loro nicchia climatica. Essi avevano accuratamente progettato case e recinti ovali per il bestiame, su un altopiano tra il fiume Kuban e l’odierna città di Kislovodsk. Sono stati costruiti secondo uno standard e un sistema di misura precisi, tenendo bene in considerazione il paesaggio e il clima. I montanari più tardi si fusero con la cosiddetta cultura del Kuban, nota per i suoi squisiti manufatti in bronzo e per l’agricoltura estensiva”.
E’ saltata fuori pure una Stonehenge balcanica. Nel 2001 a Kokino in Macedonia erano stati individuati i resti di un antico osservatorio astronomico. Nel maggio 2009, si è scoperto che le rovine risalgono almeno all’Età del Ferro (VII secolo Avanti Cristo). Il 29 maggio Antikitera riporta un post da “La porta del tempo” sull’argomento, di cui è impossibile riportare uno stralcio, costellato com’è di errori di traduzione. Vediamo comunque di riassumere l’essenziale. Su questa scoperta il ministro dei beni culturali macedone, signora Elizabeta Kancheska-Milevska ha riferito al Parlamento Europeo, sul monumento per cui è stata presentata la richiesta dell’inclusione del sito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. Il sito, che si trova nella Macedonia nord-orientale a 30 chilometri dalla città di Kumanovo, ha restituito reperti dell’Età del Bronzo, Antico e Medio, fra cui recipienti di ceramica e ruote di mulino. Nei pressi del sito vi sarebbero pietre per monitorare i movimenti del sole.
Naturalmente di tutto ciò, nella stragrande maggioranza dei libri di testo che continuano a raccontarci la favola della Mezzaluna Fertile, non si trova assolutamente nulla, sebbene alcune di queste scoperte non si possano certamente definire troppo recenti; la scoperta del sito macedone di Kokino, ad esempio, come abbiamo visto, risale al 2001, e da allora di acqua sotto i ponti ne è passata un bel po’.
Noi tuttavia possiamo renderci conto del fatto che questa Europa preistorica e antica era molto più civile di quel che ci hanno finora raccontato, e in ciò – diciamolo pure – non è che i nostri antenati italici siano rimasti indietro, ma questo è un aspetto della questione che mi riprometto di sviscerare con la dovuta ampiezza l’anno prossimo.
NOTA: Nell’illustrazione, il carro del sole di Trundholm, uno dei più raffinati prodotti dell’oreficeria preistorica scandinava, oggi conservato al Museo Nazionale di Copenhagen.