La contestazione a Bissolati, la costituzione del Fascio cittadino, l’assemblea di fondazione del movimento fascista. Nel primo trimestre del 1919 un nuovo protagonista si affaccia alla scena politica milanese e, quindi, nazionale. E’ l’erede del migliore interventismo e del sindacalismo non bolscevizzato, e in più, rispetto a movimenti consimili dell’irrequieto dopoguerra, ha un Capo.
Milano è la culla del fascismo, e, per naturale conseguenza, il 1919 milanese è particolarmente ricco di fatti, abbondantemente studiati e trattati in molte pubblicazioni. Essi sono:
- la contestazione a Bissolati, al teatro alla Scala, dell’11 gennaio, che segna la definitiva separazione tra l’interventismo “democratico” e quello che da allora in poi si definirà “fascista”;
- la fondazione del fascismo, il 23 marzo, nei locali concessi dal Circolo degli interessi industriali e commerciali, in piazza San Sepolcro, preceduta, due giorni prima, da quella del Fascio milanese, e seguita, nei giorni immediatamente successivi, da svariate altre;
- l’incendio dell’Avanti del 15 aprile, che, se pur non originariamente previsto dai realizzatori, rappresenta la vera carta di presentazione del neonato movimento politico;
- le elezioni del 19 novembre, con la famosa lista Thevenot, la sconfitta clamorosa, e tutto ciò che fa di contorno alla partecipazione fascista;
- l’ arresto di Mussolini, Marinetti e molti altri capi del movimento, all’indomani delle elezioni, che accresce lo sbandamento per l’infelice risultato e spinge molti a vedere nella Fiume dannunziana l’unica vera alternativa.
Di tutto questo, evidentemente e necessariamente parleremo, cercando però di dare un taglio originale al racconto, che, dando per scontata la conoscenza dei fatti nella loro essenzialità, privilegi fonti poco note (o addirittura sconosciute) e fornisca elementi ulteriori elementi di valutazione e giudizio.
- LA CONTESTAZIONE A BISSOLATI
La sera dell’11 gennaio, al teatro alla Scala è previsto un comizio di Leonida Bissolati, che, invitato dalla “Famiglia italiana per la Società delle Nazioni”, si propone di spiegare in pubblico, dopo una tanto discussa intervista al “Morning Post”, i motivi delle sue dimissioni dal Governo, provocate da contrasti con Orlando e Sonnino sull’atteggiamento da assumere di fronte alla pace.
Impegnato nell’affermazione di ideali umanitari ed internazionalistici, Bissolati arriva infatti a teorizzare la rinuncia all’Alto Adige, al Dodecaneso ed alla Dalmazia, senza considerare quanto ancora sia troppo vivo nella memoria e nel cuore di tutti l’alto costo in vite umane e sacrifici della guerra, per poter rendere praticamente accettabile il suo discorso.
E’ evidente, quindi, che le posizioni bissolatiane non possono trovare alcun consenso nella pubblica opinione già interventista ed oggi “non rinunciataria”. Lo testimonia l’imbarazzo e lo sbandamento degli stessi sostenitori del leader riformista, messi in difficoltà e rintuzzati dall’offensiva di gran parte dell’interventismo di ieri, sia democratico di sinistra che nazionalista di destra.
Per questi settori, il comizio di Bissolati appare come una provocazione. Impedire a Bissolati di parlare, o, perlomeno, contestarne il discorso ed imporre il contraddittorio, nel quale, eventualmente, toccherebbe a Mussolini il compito di contrastare le tesi dell’avversario, diviene perciò il loro imperativo categorico.
E’ quindi con intenzioni bellicose che futuristi, Arditi ed interventisti, con in testa Marinetti, Vecchi e Mussolini, si presentano in folto gruppo al teatro, decisi a contrastare in ogni modo l’oratore.
Le difficoltà pratiche per realizzare un simile intendimento, che derivano dalle precauzioni messe in atto dagli organizzatori della serata, sono superate con un po’ di buona volontà ed un pizzico di fantasia. Marinetti, che è riuscito a procurarsi un biglietto, entra e “prende possesso” di un palco, dopo di che, con lo stesso biglietto, riciclato parecchie volte, riescono ad entrare anche altri Arditi e futuristi: Ernesto Daquanno, Armando Mazza, i fratelli Besozzi, etc.
Alla prima occasione, non appena l’oratore prende la parola, i contestatori provocano l’incidente. Grida, fischi e conseguente cazzottatura con i poliziotti che cercano di espellerli e con qualche bissolatiano che, dal basso, prova a dare la scalata al palco. Alla porta del palco si mette allora il poeta “parolibero” Armando Mazza, “eccellente declamatore di versi, tonante dicitore di manifesti tecnici futuristi”, ma anche erculeo, con un fisico da lottatore greco-romano, che garantisce contro ogni tentativo di defenestrazione.
La serata assume così toni vagamente goliardici, per i potenti “amen” – sul tipo di quelli intercalanti certe filastrocche universitarie- che Marinetti lancia ad ogni pausa del mezzo discorso che Bissolati riesce a tenere, mentre parte del pubblico in sala chiede a gran voce l’intervento di Mussolini.
L’impresa, nel complesso, riesce alla perfezione. Bissolati raccoglie le sue carte e lascia il palcoscenico.
Ad alcuni non sfuggono i caratteri melodrammatici di quanto sta avvenendo. Anche in conseguenza dei precedenti rapporti personali tra i due, fioriscono versioni romanzesche:
Ma quando Bissolati fu circa a metà del discorso, accadde qualcosa di inatteso.
Mussolini era in teatro. Lui e Marinetti, benché di temperamento diversissimo – il primo non sorrideva mai, mentre il secondo spesso rideva di cuore – erano grandi amici.
Improvvisamente, Bissolati riconobbe nel corso la voce di Mussolini: quella voce inconfondibile, scoraggiantemente legnosa, perentoriamente insistente, come il suono delle nacchere.
Volse la testa verso gli amici che gli erano più vicini, e disse a bassa voce: “Quell’uomo no!”
Da quel momento lesse le sue pagine per formalità, come se leggesse a se stesso.(1)
I suoi fischiatori, minacciosamente tallonati dai “maddaleni pentiti” seguaci dell’oratore, escono dal teatro e si riversano sulla piazza, dove trovano radunata una folla di Arditi e futuristi che, per la mancanza di biglietti non sono riusciti ad entrare. Con loro si forma un corteo che si dirige, per una rumorosa contestazione, alle sedi del Secolo e del Corriere della Sera, giornali che hanno fin qui appoggiato le tesi bissolatiane.
Una delegazione raggiunge poi il Popolo d’Italia e chiama a gran voce Mussolini, che si affaccia ad un balcone per dire alcune parole di circostanza.
Da un punto di vista politico, egli è il trionfatore della serata. L’episodio dell’11 gennaio, infatti, se favorisce il suo rilancio, dà in pratica il via, nel capoluogo lombardo, ad una serie di manifestazioni e raduni, più o meno importanti, che lo vedranno sempre in posizione di primo piano.
Al primo di questi raduni, i bissolatiani rendono pan per focaccia ai loro avversari. Infatti, in occasione del programmato comizio antirinunciatario del giorno 14 alla Scala, oratore proprio Mussolini, fanno stampare migliaia di biglietti di invito falsi, che diffondono negli ambienti neutralisti. La cosa preoccupa il Prefetto, che rinvia la manifestazione. All’annuncio del rinvio, che viene dato da Mussolini stesso alla folla raccolta nelle vicinanze del caffè Biffi, in Galleria, si ripetono le manifestazioni di protesta (con relative fischiate) al Secolo ed al Corriere della Sera.
Tutto contribuisce a far crescere l’attesa. Alla fine il comizio si tiene la sera del 17, con grande, entusiastica partecipazione di tutti i settori dell’interventismo milanese, mentre le strade circostanti sono occupate da una “folla, compatta e impressionante” di migliaia di socialisti minacciosi, che danno anche origine a scontri con le forze dell’ordine, col risultato di finale di 50 arresti e un centinaio di feriti.
La vivace prosa marinettiana ci dà un’idea di ciò che accade:
All’uscita, organizzazione di attacco.
Sono coi Capitani Arditi. Stato Maggiore di Reggimento sul San Marco. Un Capitano Ardito molte ferite gamba ancora dolorosa. Zoppica si piega camminando sulla gamba destra e bastone poi lo alza per dare ordini indicare direzioni d’attacco. All’alzarsi di quel bastone scattano gli Arditi di corsa con randelli enormi piombano sui nemici dell’Avanti o timidi rinunciatari e giù botte da orbi. Desiderio pazzo di menar le mani.
…..Siamo nel San Marco o a Vertoiba. In testa coi Capitani noi passiamo due cordoni di fanteria per affrontare gli avversari. Io grido: Viva la Democrazia italiana a quattro socialisti del’Avanti. Uno di loro si ferma e grida: Viva l’anarchia! Ha coraggio. E’ giovanissimo debole. Vorrei difenderlo dai 20 o 30 bastoni di Arditi che gli piombano sulla testa. I suoi tre compagni sono scappati inseguiti dagli Arditi. (2)
Nel teatro, Mussolini non ha parlato, anzi non è neppure presente, forse per evitare che la sua presenza possa scaldare troppo gli animi. E’ però certo che il direttore del Popolo d’Italia ripropone sempre più efficacemente, giorno dopo giorno, il suo ruolo di leader di tutto l’interventismo non rinunciatario e non allineato ai nazionalisti.
Esagerato, comunque, parlare, per la serata alla Scala, di “prima spedizione punitiva del dopoguerra”. Certo più realistica la definizione defeliciana di “serata futurista”, considerato il carattere assolutamente incruento e “burlesco” dell’intervento “protofascista”.
- LA RIUNIONE DEL 23 MARZO
Qualche settimana dopo, l’irrequietezza che pervade gli ambienti combattentistici, futuristi e sindacal-rivoluzionari si trasforma in una iniziativa politica.
Il 23 marzo 1919, l’assemblea di un centinaio di lettori del Popolo d’Italia, riunita nei locali concessi dal Circolo degli interessi industriali e commerciali, in piazza San Sepolcro, a Milano, in una “congiura di santi pazzi” delibera la costituzione dei Fasci di Combattimento.
Si tratta, come ricorderà uno che c’era, di:
…un gruppo esiguo di cittadini, i quali, in un determinato giorno, per uno scopo squisitamente politico, con intenti rivoluzionari non taciuti, provenienti da tante vie, anzi da tutte le vie, tranne da quella dei cosiddetti Partiti dell’ordine, sono entrati a gagliardetti spiegati nella storia più recente del nostro risorgimento politico. (3)
In effetti, ciò che sicuramente accomuna tutti i presenti, aldilà delle diversità di orientamento e provenienza che esistono fra loro, ciò che crea per tutti un minimo comune denominatore, è soprattutto l’adesione alle tesi ed alla campagna politica del quotidiano mussoliniano.
Il ruolo de “Il Popolo d’Italia” in questi mesi è rilevantissimo e molteplice. Indica una linea politica, suggerisce obiettivi da raggiungere, coordina sforzi organizzativi, fa da portavoce e propagatore di istanze diverse e non sempre coerenti fra di loro. E’ proprio il giornale che il 2 marzo dà l’annuncio della prossima riunione:
“I corrispondenti, collaboratori, lettori, seguaci del Popolo d’Italia, combattenti, ex combattenti, cittadini e rappresentanti dei Fasci della “Nuova Italia” e del resto della Nazione, sono invitati ad intervenire all’adunanza privata, che sarà tenuta a Milano il prossimo 23 marzo. Gli amici che interverranno personalmente o in rappresentanza di gruppi sono pregati di avvertire senza indugio. Si terrà conto anche delle adesioni mandate per lettera. L’adunata sarà importantissima”. (4)
In precedenza, il giorno 21 viene costituito il Fascio milanese, con l’intervento di non molti partecipanti, sempre in piazza San Sepolcro, in un’atmosfera sbrigativa che non lascia spazio alle chiacchiere consuete in questo tipo di assemblee:
La seduta è aperta, dopo le 9, dal capitano degli Arditi Ferruccio Vecchi, che, dopo aver esposto lo scopo della riunione, dà la parola a Mussolini. Egli esordisce dicendo come sia tempo di risolvere la crisi manifestatasi nelle file interventiste sin dall’epoca del discorso Bissolati…
Traccia, quindi, a grandi linee, quello che dovrà essere il programma di discussione per la prossima adunata e gli scopi dell’organizzazione che ne dovrà sorgere, e conclude invitando i presenti a costituire il primo nucleo del Fascio milanese.
“Chi mi è consenziente – conclude – chi ha il coraggio delle proprie idee, si faccia avanti, venga a questo tavolo e – indicando alcuni fogli di carta – scriva qui il suo nome”.
Non vi è discussione, la maggioranza dei convenuti si affolla al tavolo, e firmano, mentre alcuni raccolgono i primi contributi per le spese di propaganda: fatta la somma, si sono raccolte 117 lire, che una giovane fiumana arrotonda a 120. Il Fascio di Milano viene così costituito da 53 camerati. (5)
In previsione della “adunata” – come viene definita con gergo militaresco – del 23, “Il Popolo d’Italia” pubblica, spesso però con i tagli imposti dall’occhiuta censura governativa, messaggi di simpatizzanti che, impossibilitati ad intervenire di persona, inviano telegrammi di solidarietà, personali ed a nome di varie associazioni, in genere però di scarsa consistenza numerica. Alcune adesioni sono “politiche”, provengono cioè da elementi già interessati da precedenti esperienze di politica attiva, ma molte sono quelle di uomini e gruppi fino allora estranei alla politica vera e propria, come alcuni Ufficiali e soldati del 14^ Reggimento fanteria, che scrivono da Foggia: “Impossibilitati presenziare all’adunata, mandiamo la nostra adesione. Abbiamo fatto l’Italia, ne vogliamo ora le redini.”
Il giornale, dal canto suo, alimenta con indubbia efficacia l’aspettativa per l’avvenimento. Parla di nascita dell’“antipartito” che si contrapporrà contemporaneamente a due pericoli “quello misoneista di destra e quello distruttivo di sinistra”, chiama a raccolta tutti i protagonisti delle battaglie interventiste, per la formazione di un blocco unico che si contrapponga al nemico interno ed eviti il sabotaggio della pace, che può venire da due parti, dall’imbecillità governativa come dall’incoscienza tesserata. Contro tutto questo nascono i Fasci di Combattimento. Alla fine, le adesioni saranno 430. 400 quelle individuali e 30 le collettive. In effetti, la domenica mattina, nei locali al primo piano del numero 9 di piazza San Sepolcro, i presenti sono circa un centinaio.
E diciamo circa, perchè sul numero esatto le informazioni sono assai discordi. L’elenco apparso su “Il Popolo d’Italia” è di 118 nominativi. Però, contro la sua completezza ci saranno, negli anni, molte contestazioni, come quella di Ernesto Daquanno che pure è presente e non sarà incluso nell’elenco.
Accade infatti che l’ Ufficiale degli Arditi che passa tra i convenuti per prendere i nomi e annotare in rappresentanza di quale Circolo o Associazione i presenti siano lì, “salta” Daquanno, che non rappresenta altri che se stesso, senza che l’intervenuto, che certamente non può prevedere la “storicità” dell’avvenimento, insista granchè:
Mentre gli oratori parlano, il Tenente degli Arditi Renato Barabandi ha circolato tra gli intervenuti raccogliendone nomi e attributi… Mi chiede cosa rappresento “Non rappresento nessuno” – dico – “Allora non ti ci metto” – fa lui – “E tu non mi ci mettere” – replico alzando le spalle – Così il mio nome non passa nel resoconto pubblicato all’indomani sul Popolo d’Italia. In compenso passano altri nomi, più illustri certo del mio, ma noti soprattutto come quelli di framassoni, di trentatre, di diavoli verdi, gente venuta a curiosare, se non pure a intorbidare le acque, e che il fascismo vedrà sempre dall’altra parte.Ma io c’ero, ah se c’ero. (6)
Cesare Rossi conferma il dato dell’approssimatività, e si attribuisce la responsabilità dell’arbitraria inclusione nell’elenco del Senatore Luigi Mangiagalli, illustre ostetrico di provenienza democratico-radicale:
La faccenda andò così: in assenza dei cronisti de “Il Popolo d’Italia”, io venni pregato da Mussolini di fare il resoconto della seduta antimeridiana dell’adunata. Ora, in fondo alla sala… notai, ad un certo momento, un tranquillo signore intento ad ascoltare il discorso di Mussolini; a me parve fosse il Senatore Mangiagalli, e fui lieto di poter annoverare il nome di uno scienziato, di un filantropo, di un patriota, fra i partecipanti.
Ma a quell’ora l’illustre ostetrico chissà mai su quale sofferenza di madre piegava il suo sapiente sguardo; chè non si trattava affatto di Mangiagalli, ma di un lontano sosia, un onesto negoziante in calzature. Così in una mia successiva constatazione.
Però, Mangiagalli – morsicato anche lui dalla tarantola del mussolinismo – non provvide mai a smentire il suo inesistente sansepolcrismo. Anzi, se ne valse tutto compiaciuto. (7)
Si deve pensare, quindi, che l’elenco dei presenti, da passare al giornale il giorno dopo, sia stato compilato in maniera un po’ superficiale, come spesso accade in queste occasioni.
Il più recente studio sull’argomento aggiunge ai 118 nominativi citati altri 87 inclusi in una “lista Sansepolcristi” diramata il 23 marzo del 1929, e altri 147 “brevettati” nel 1932 (8).
Non tutti sono, però, effettivamente presenti in sala quel 23 marzo. Il più illlustre assente è proprio Arnaldo Mussolini, che verrà inserito negli elenchi post mortem nel 1932, mentre altri progressivamente allontanatisi dal movimento, saranno cancellati d’autorità.
Da una scorsa a tali nomi si nota, inoltre, come manchino nell’elenco molti (valga per tutti Italo Balbo) di quelli che poi saranno, nel periodo successivo, i maggiori esponenti del movimento e vi siano, viceversa, alcuni destinati ad evaporare nel nulla, sottratti all’impegno politico dai mille problemi della sopravvivenza quotidiana.
Se si guarda alla composizione sociale ed alla provenienza ideologica dei sansepolcristi, ritroviamo le categorie e i gruppi già visti: futuristi, arditi, sindacalisti rivoluzionari, interventisti, e trinceristi.
Della riunione, che si svolge tranquillamente, nonostante alcune larvate minacce socialiste, che giustificano la presenza di alcuni gruppi di Arditi, guidati da Edmondo Mazzuccato, di guardia sullo scalone ed ai lati dell’ingresso del palazzo, sappiamo quasi tutto, dal resoconto che ne fa il giorno dopo il Popolo d’Italia e dai racconti che ne faranno, negli anni successivi, i maggiori protagonisti.
Presiede Ferruccio Vecchi, a riprova della preminenza “morale”, se non numerica degli Arditi, e vi sono vari interventi: Marinetti, Vecchi, Carli, Michele Bianchi e molti altri. L’intervento più importante, come ovvio, è quello di Mussolini, che propone una dichiarazione in tre punti, approvata dall’assemblea.
Al primo punto c’è il saluto ai caduti, ai combattenti, ai mutilati e la riaffermazione della disponibilità a sostenere le rivendicazioni dei reduci; al secondo è inserita un’allocuzione contro ogni imperialismo, per la Società delle Nazioni e per le rivendicazioni italiane su Fiume e la Dalmazia; al terzo punto si impegna il neonato movimento a sabotare le candidature neutraliste in tutti i Partiti alle elezioni.
Dopo un aggiornamento dei lavori per il pranzo, la riunione continua al pomeriggio, a ranghi più ristretti; se la sono squagliata “gli uomini d’ordine, i borghesi, i posapiano, i galantuomini per definizione e i patriottardi per partito preso”. Mussolini interviene di nuovo e ribadisce i concetti già espressi a Dalmine, per il sindacalismo nazionale e contro l’ingerenza dello Stato in economia; poi si spinge più oltre, e si pronuncia per l’abolizione del Senato, per il suffragio universale esteso anche alle donne e, soprattutto, per la scelta repubblicana e democratica:
Dalle nuove elezioni uscirà un’Assemblea nazionale alla quale noi chiederemo che decida sulla forma di governo dello Stato italiano. Essa dirà: repubblica o monarchia, e noi che siamo stati sempre tendenzialmente repubblicani, diciamo fin da questo momento: repubblica !… Noi siamo decisamente contro tutte le forme di dittatura, da quella della sciabola a quella del tricorno, da quella del denaro a quella del numero; noi conosciamo soltanto la dittatura della volontà e dell’intelligenza. (9)
Il generale consenso dell’assemblea, trascinata anche dalle grandi capacità oratorie del direttore del Popolo d’Italia, accompagna queste parole e sancisce la fine della riunione, al termine della quale viene anche nominato un Comitato centrale , di cui però si ignora la composizione esatta, anche se certamente ne dovevano fare parte Mussolini, Vecchi, Marinetti, e Bianchi.
NOTE
- Giuseppe A. Borgese, Golia marcia del fascismo, Milano 2004 (ristampa), pag. 124
- Filippo Tommaso Marinetti, Taccuini 1915-1921, Bologna 987, pag. 406
- Luigi Filippo de Magistris, I Sansepolcristi nella storia della rivoluzione fascista, Milano 1939, pag. 4
- In: Mario Giampaoli, 1919, Roma-Milano 1928, pag. 81
- Matteo Cavallari, “Come nacquero i Fasci di Combattimento”, in: Panorami di realizzazione del fascismo, il movimento delle squadre nell’Italia settentrionale, pag. 253
- Ernesto Daquanno, Vecchia Guardia, Roma 1935, pag. 41
- Cesare Rossi, Mussolini com’era, Roma 1947, pag. 78
- Mimmo Franzinelli, Fascismo anno zero, Milano 2019,l pagg.171-256
- (a cura di Edoardo e Duilio Susmel), Opera Omnia, Firenze 1953, vol. XII, pag. 326
FOTO 1: SERATA FUTURISTA
FOTO 2: IL 23 MARZO