18 Luglio 2024
Gabriele D'Annunzio

Il Vate contro l’Occidente – Luca Valentini

Liberiamoci dell’Occidente che non ci ama e non ci vuole

Su segnalazione del fraterno Giandomenico Casalino e grazie alla collaborazione dell’amica Camilla Scarpa delle Edizioni Aspis, abbiamo recuperato un articolo molto interessante sul centenario della presa di Fiume, pubblicato in data 18 Agosto 2019, sulla pagina culturale e domenicale del Sole24Ore a firma del professore di storia contemporanea Emilio Gentile. La prospettiva assunta dall’accademico risulta essere molto cruda e dissacrante, poco incline a romantici abbandoni enfatici sia sulla figura di D’Annunzio sia sulla sua impresa fiumana. Tratteggiato il popolo italiano come non troppo amante

animicamente delle rivoluzioni, intese come sovvertimenti dello status quo giuridico ed istituzionale, il 1919 è stato descritto più come l’anno delle sommesse, operaie e nazionaliste, piuttosto che l’anno delle ribellioni effettivamente compiute. Così anche l’impresa legionaria del Vate viene descritta dal Gentile più come una ricerca spasmodica di una motivazione eroica di sopravvivenza esistenziale da parte del poeta che come una catarsi di popolo che nell’irredentismo trovava una giustificazione sacrale di autorasfigurazione. Si può condividere o meno siffatta analisi, noi reputandola al quanto minimalista e non includente tutta una serie di fattori che potrebbero mutare completamente l’orizzonte prospettato, ma è un’analisi di cui bisogna comunque tener conto, non foss’altro per la lucidità che il sottoscrittore ha sempre evidenziato nei diversi approfondimenti sugli accadimenti storici del ‘900.

Ma quale elemento ha catalizzato la nostra attenzione? Sicuramente la frase che abbiamo inserito come incipit a questo articolo, perché, come evidenziato dall’articolo di Gentile, nell’esperienza fiumana D’Annunzio matura una consapevolezza ed una visione del mondo straordinariamente lungimiranti. Il Vate, grande protagonista della Grande Guerra, suo convinto propugnatore, con una profonda adesione a quelli che furono gli ideali del Risorgimento, calato nella cruda realtà di Fiume, della Vittoria da egli stesso definitiva “mutilata”, iniziò a guardare oltre la cortina fumogena della retorica romanologica – a cui ascriviamo il famoso discorso di Quarto – e patriottarda, come già fece in molti suoi riferimenti all’Urbe Sacra, penetrando gli arcani più reconditi. Pertanto, quando l’idea informa la materia e la plasma, nell’uomo come nella natura e nella comunità secondo una triplice direzione, l’esperienza sul campo ha la capacità di ridestare simboli che aveva valore in nuce, ma senza una reale estrinsecazione fattiva. Il corpo dell’uomo, la sua dimensione saturniana rappresenta la terra nella natura come lo è la Patria per la comunità. L’anima emozionale, cioè la sfera femminea del sottile nell’uomo è il mondo degli elementali in natura, come è la Nazione per la comunità, ciò ha rappresentato Fiume da un punto di vista unicamente irredentista. Tutto è confinato in una prospettiva spettrale, se le prime due componenti non vengono sublimate dalla radice prima, dall’Idea, spirito nell’uomo, demiurgo nella natura, Stato per la comunità. L’uomo, la natura e la Patria, senza Spirito, Ente e Stato, cioè senza Idea (platonica) sono femmine senza il loro Signore, il quale si esplicita nella Reggia degli scapoli sul Palatino e nel Männerbund indoeuropeo, cioè nella società dei guerrieri e dei filosofi, dei Vati, come Virgilio, Dante e D’Annunzio. Sono le “strampalate velleità palingenetiche” a cui accenna il Gentile, che ovviamente assumono una caratura di precisa effettualità spirituale, come si espliciterà anche dalla rivista Yoga curata da Giovanni Comisso e Guido Keller, e che risultano “strampalate” solo ad una superficiale analisi storiografica, non integrata da una weltanschauung di ordine superiore.

Con il trattamento vergognoso che gli Alleati riservarono all’Italia durante Trattato di Versailles, in aperta violazione del Patto di Londra del 1915 che riconosceva la titolarità di Fiume all’Italia, Gabriele D’Annunzio non si presenta come un semplice vincitore tradito, ma esercita la propria invettiva sublimando ben oltre le pragmatiche rivendicazioni di guerra. Fiume, come esperienza eroica ed effettivamente romana (come abbiamo evidenziato a Maggio nell’incontro milanese all’Università UNITRE, Fiume Città Sacra), tramite il suo Eroe – Poeta, rappresenta non una continuazione della storia italiana dell’800, ma una fortissima e chiarissima cesura verso la stessa. Il Vate che già aveva espresso il suo disprezzo per una Nazione borghese, che si era limitata ad una riconquista formale della propria Unità, senza alcuna determinazione sacrale e dall’alto,

O vecchia Italia tienti il tuo vecchio che di te è degno.

Noi siamo di un’altra Patria e crediamo negli Eroi

(proclama agli Italiani del 28 Dicembre)

come evidenzia Emilio Gentile, a Fiume rifiuta la natura stessa e profonda dell’Occidente, anglo-francese, plutocratico, usurocratico, grazie al quale l’Italia si era formata e con cui la Nazione era scesa a patti nel 1915, poco romanamente alleandosi con la talassocrazia transatlantica “cartaginese”. Quanto l’Occidente rifiutato dal Vate abbia influito prima sul processo di unificazione dell’Italia e successivamente nel salto gattopardesco “della quaglia” dalla Triplice Alleanza al fronte “democratico”, con tanto di intervento dei Rothschild, è stato documentato sia dall’intervento dell’avv. Luigi Morrone nella sua relazione napoletana presso la libreria La Nuova Controcorrente nell’ambito del convengo “Cartagine contro l’Europa” nel dicembre 2018, sia dal ben noto testo di Piero Sella “L’Occidente contro l’Europa” ed ultimamente dalla ricerca di uno storico ed accademico come Eugenio Di Rienzo nel suo “Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee. 1830-1861”.

Emerge una visione libertaria del mondo che diviene sociale ed antimperialista, che rompe con i perfidi atlantici alleati di Diaz, che dopo qualche decennio – ricordiamocelo sempre – sbarcheranno in Sicilia, ad Anzio e Nettuno. Anche nelle cronache riportate da Giovanni Comisso su Guido Keller emerge il cosiddetto “primitivismo”, quale critica radicale alla società industriale così come sorta nell’Inghilterra del ‘700 e la necessità di una convergenza con i popoli asiatici per la riscoperta delle comuni origini indoeuropee, un po’ come ultimamente cercano di evidenziare un Dugin o un Tonelli, a livelli diversi. A differenza di come possa pensarlo un tuttologo come Barbero (adesso ci spiega anche come l’origine della pizza sia di origine longobarda) o qualche neo-atlantista di destra, i valori della Tradizione Patria non possono essere confusi con lo scimmiottamento simbolico di un Occidente, la cui vera natura sovversiva Gabriele D’Annunzio ebbe modo di sperimentare sulla propria pelle e che nell’Italia spadroneggiava, come dimostrava l’acquiescenza del governo Nitti ai diktat di Francesi ed Inglesi, tanto da inviare la Regia Marina a cannoneggiare contro i legionari fiumani,

Leggere questa bella pagina di Emilio Gentile, infine, ci ha rammentato che una determinata e ben consapevolezza non fosse esclusiva paradigmatica degli anni ’30, ma fosse visione consapevole e già ben consolidata nell’esperienza fiumana. D’altronde, il piccolo miracolo costituzionale irredento presentava forme avanzate di socialismo patriottico, di libertà e laicità religiosa e di integrazione delle donne nell’assetto istituzionale, di primissima attenzione verso la salute pubblica e dell’infanzia: ci sono tracce biografiche, infatti, di come il Vate “sperperasse” il proprio esiguo danaro non solo con donne piacenti e cani di compagnia, ma anche per sostenere ospedali pediatrici per bambini paraplegici. La Roma fatale, di cui D’Annunzio si sentiva figlio legittimo, si realizza ove Marte non può far a meno della sensualità di Venere e Giove della maternità di Giunone, quale irruzione violenta del Sacro, come spesso ci rammenta Giandomenico Casalino, che sappia infrangere gli steccati dell’eloquio inutilmente retorico, sappia ritrovare la contrada obbligata che la opponga inesorabilmente alla già citata talassocrazia cartaginese d’Occidente.

Luca Valentini

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