di Giacinto Reale
Ecco quindi che prendeva corpo una distinzione basata su una divaricazione: la “borghesia” era da intendersi in senso duale, come categoria economica e morale; Salvatore Gatto, in un “Quaderno della scuola di mistica fascista”, intitolato appunto “Il borghese”, riproponeva, proprio con riferimento alla Rivoluzione Francese, tale distinzione:
“Quando si afferma che i borghesi hanno fatto la Rivoluzione Francese, ed erano a quei tempi dei rivoluzionari, così come quando si fa appello alla partecipazione eroica e rivoluzionaria della borghesia italiana nel Risorgimento nazionale, si vuole approfittare della confusione avanti rilevata” (6)
(segue)
In maniera diversa aveva scritto Marcello Gallian, nel quale l’affetto per la gente minuta faceva di quei “barrocciai, terrazzieri, muratori, garzoni e lattai” che popolavano le sue giornate di periferia romana, gli unici, veri protagonisti della Storia, anche quando deludevano e tradivano se stessi, come era avvenuto appunto proprio nel caso della Rivoluzione Francese:
“Gli è che la folla stessa è composta, alla fine, di tanti luigi e di tante marie antoniette (in minuscolo nel testo, ndr): sono queste verità che molti temono di dire e di scrivere: il popolaccio di Parigi, tanto sanguinoso e terribile, possiede infine desideri molto borghesi, sogna conquiste di facile contentatura. E’ il tempo: ogni bottaio spera di diventare re, ogni lavandaia regina: principesse e duchi non sono che compromessi (7)
Nella stessa linea, sostanzialmente, si esprimeva Bruno Spampanato, che però, dopo aver riconosciuto il ruolo trainante delle masse nella Rivoluzione, preferiva attribuire l’imbrigliamento delle loro istanze alla “politica”, creatura inventata dalla borghesia a puntello del proprio potere:
Le picche agitate in un furore quasi epico sotto la Bastiglia, espressero abbastanza chiaramente il trapasso da un regime all’altro. Ma arrugginirono presto. La volontà armata del popolo, padrone delle piazze e dei destini della giovane repubblica, disarmò nelle assemblee e nei movimenti politici. Fu normalizzata ed imbrigliata. Gli estremisti, come accade spesso nelle rivoluzioni, lasciarono la testa su quelle stesse ghigliottine innalzate dal Terrore per difendere i principi dell’89” (8)
Naturalmente, in materia non potevano mancare le prese di posizione ufficiali: oltre a quelle mussoliniane (riportate con ampiezza nel volume di cui dicevo all’inizio), talora contraddittorie perché dettate da esigenze contingenti, merita di essere ricordato quello che può considerarsi un contributo decisivo ed importante: la conferenza tenuta da Bottai all’Università di Pisa il 10 novembre 1930
Contributo di fondamentale importanza, perché firmato da un personaggio di sicura notorietà, riconosciuto come elemento di punta del fascismo “intelligente”, e con il carisma della ufficialità derivante dall’incarico di Ministro delle Corporazioni
Qui il discorso si faceva più generale, passava dai fatti alle idee, evitava ogni contrapposizione tra “fasi” della Rivoluzione, e, soprattutto, esprimeva una piena condivisione delle sue motivazioni di fondo:
“Nel caso della Rivoluzione Francese, quando di essa si colga il vero valore, che non sta negli episodi insurrezionali e nelle stragi, e nemmeno nell’enfasi dei suoi banditori, i principi affermati sono di un così profondo significato e di una così vasta portata da non poter essere diminuiti nella loro universalità per il fatto che essi abbiano accompagnato l’ascensione sociale e politica di una categoria di cittadini….Noi non possiamo fare a meno di riconoscere che la Rivoluzione Francese è veramente uno dei massimi avvenimenti della storia dell’umanità, perchè è il riversarsi nella storia dello spirito moderno che conquista la propria autonomia e l’afferma dinnanzi al mondo….
Lo Stato corporativo, lo abbiamo dichiarato più volte, è la sola soluzione ai problemi della vita contemporanea, e la forma verso cui anela la sostanza sociale del mondo moderno: esso deve dunque, essere finalmente l’erede e l’assuntore di tutta la storia moderna, che nel suo tono politico e negli ordinamenti giuridici è una conseguenza della Rivoluzione Francese” (9)
Le parole di Bottai tracciavano un quadro chiaro ed inequivocabile: esse aggiungevano, con il riconoscimento del valore universale dei principi, una nota in più, che completava il giudizio fascista sulla Rivoluzione
Fino a quel momento –sia pure con i distinguo cui abbiamo accennato- del grande movimento dell’89 erano stati vantati i valori “nazionali” dell’interventismo popolare e patriottico del 1791 e del 1792, visto come precursore dell’interventismo mussoliniano del ’14, e i valori popolari della mobilitazione di grandi masse che prefigurava la partecipazione di popolo ai movimenti “nuovi” del XX secolo
Il Ministro delle Corporazioni faceva un passo avanti, e diceva qualcosa di più: il senso ultimo del discorso era che gli italiani del 1930, tesi a costruire la loro rivoluzione, non potevano non dirsi eredi della “grande Rivoluzione”, della quale, pure evidenziavano limiti e difetti, ma verso la quale, però, non nutrivano alcuna tentazione revisionistica di natura reazionaria o legittimista
Con tali considerazioni, il migliore fascismo ambiva inserirsi a pieno titolo nella storia europea, rispetto alla quale rivendicava i suoi caratteri originali e di “superamento”, senza complessi di inferiorità che lo costringessero nell’angolo di un conservatorismo becero e superato (10)
Bibliografia
(6) Salvatore Gatto, “Il borghese”, quaderno nr 4 della Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini, Milano sid, pag 15(6) Salvatore Gatto, “Il borghese”, quaderno nr 4 della Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini, Milano sid, pag 15(6) Salvatore Gatto, “Il borghese”, quaderno nr 4 della Scuola di Mistica Fascista Sandro Italico Mussolini, Milano sid, pag 15
(7) Marcello Gallian, “Colpo alla borghesia” in Quaderni di segnalazione, anno 1°, nr 1, luglio 1933 (in: Buchignani, “Marcello Gallian….” cit, pag 60
(8) Bruno Spampanato, “Democrazia fascista”, Napoli 1933, pag 133
(9) Il testo dela conferenza è in: Renzo De Felice, “Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti 1919-45”, Torino 2001, pagg 286 e segg
(10) Di qui a qualche anno, all’inizio della guerra civile spagnola, prima che l’intervento sovietico costringesse a scelte obbligate, i giovani intellettuali del regime si schiereranno per la Repubblica, contro “la Vandea di nuovo stampo” conservatrice e reazionaria, contro “la più retriva razza di Generali, latifondisti e sfruttatori che alligna in Europa”,non senza un vero tormento interiore: “è una settimana che non dormo, per l’ansia ceh quei maledetti Generali l’abbiano vinta. Cosa crede di guadagnarci il fascismo dalla vittoria di quelle canaglie aristocratiche ? (Vasco Pratolini, Fidia Gambetti e Elio Vittorini in : Arrigo Petacco, “Viva la muerte. Mito e realtà della guerra civile spagnola 1936-39”, Milano 2006, pagg 72 e segg)
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