17 Luglio 2024
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Legione dei Volontari Francesi contro il bolscevismo

Tutti sanno che, nella prima metà dello scorso secolo, un gasato Giuseppe Stalin in vena di sfracelli espresse l’intenzione di far abbeverare i suoi rudi cosacchi nelle fontane di San Pietro. E tutti sanno che, invece, c’è mancato un pelo che a bivaccare tra le chiese del Cremlino non fossero i soldati dell’Asse. Pochi sanno però che insieme ai camerati germanici e a quelli tricolore, a tentare il colpaccio tra le steppe e i girasoli ci fu anche un pugno di eroici legionari francesi – la “Legione dei Volontari Francesi contro il bolscevismo”, appunto – reclutati alla maleppeggio nella dimessa caserma Borgnis Desbordes, poco fuori Parigi. Una Parigi insolita, con la svastica appuntata di malavoglia sul petto, con i panzerfaust a passeggio per gli Champs Elysées e con un Hitler disteso e sorridente che si faceva fotografare come un turista qualsiasi sotto la pittoresca torre Eiffel.

Una città pigra e indolente come l’acqua della sua amata Senna, del tutto indifferente al conflitto che insanguinava il resto d’Europa, con una popolazione imbolsita dagli agi e le mollezze, dedita solo ai divertimenti o alla perenne ricerca di un piatto di minestra (vi ricorda qualcosa?). Una Parigi non più capitale ma pur sempre cuore di un “Hexagone” ormai frantumato in due grosse metà: una direttamente annessa al Reich – Ville Lumiére compresa – e un’altra formalmente indipendente e alleata di Berlino. Fatto sta che della fiumana di cinquemila uomini accorsi ad arruolarsi una torrida mattina d’agosto del 1941, la gran parte furono scartati al momento della visita medica: su 1679 presentatisi il primo giorno, l’80 per cento – ben 800 elementi! –  venne rispedito al mittente per carie e altri disastri dentari. Risultato: dei 5000 pervenuti ne rimase appena il necessario per allestire un paio di battaglioni e niente più. Tra quei reietti c’era un variopinto campionario di divise: pompieri, portieri, postini, spahis, piedipiatti, legionari stranieri. Ma non mancava gente di un certo spessore. Politici in prima fila – che differenza con quelli di oggi! -. Politici “d’area”, naturalmente: Èugene Deloncle, Jacques Doriot, Marcel Déat, Marcel Bucard, Pierre Costantini, Pierre Clémenti. Tutti fondatori o presidenti di partiti di destra facenti parte del comitato centrale della L. V. F.: Movimento Sociale Rivoluzionario (M. S. R.), Partito Popolare Francese (P. P. F.), Raggruppamento Nazionale Popolare (R. N. P), Francismo, Lega Francese, Partito Francese Nazional-Collettivista.

Alla “crociata” aderivano inoltre il cardinale Baudrillart, il canonico Tricot, gli accademici Abel Hermant e Abel Bonnard, lo scienziato Georges Claude, il Presidente della Federazione della Stampa Jean Luchaire, lo scrittore Alphonse de Chateaubriant. E poi ancora Brasillach, Drieu La Rochelle… Insomma, fatta la tara, si trattava di pochi adorabili temerari, molto indisciplinati e un po’ borderline, è vero, ma tutti dotati di un coraggio eccezionale, tale da surclassare – e sorprendere – sui campi di battaglia gli stessi “navigati” figli di Odino. Logico che se i nazi accettavano pur storcendo il naso questi strani “parìa” dalla parlata blesa nei propri ranghi, i francesi in genere e i parigini in particolare non condividevano proprio.

La diffidenza, se non l’odio per il vicino teutonico – sentimenti cordialmente ricambiati dai crucchi – non poteva permetterlo, e siccome l’unica arma rimasta nelle loro mani curate e poco avvezze alla fatica era l’assoluta indifferenza, al momento della partenza di quel pugno di prodi non c’era neanche un cane a salutarli (<Anche al passaggio di un convoglio per Cayenne c’è sempre una ragazza a versare una lacrima o a gettare un fiore ai poveri diavoli. Qui nulla. Siamo già dei maledetti allo stato puro>). Non c’è niente da fare, l’isolamento e il disprezzo è l’amaro destino che spetta a tutti coloro che preferiscono abbracciare le cause perse quando sono davvero perse, tanto per usare una metafora tratta da “Via col vento”. Perché è fin troppo facile vincere; molto più difficile è stare dalla parte dei perdenti, anche se “onorevolmente” perdenti.

Tutto questo ed altro lo abbiamo letto nel bellissimo romanzo di guerra per la prima volta edito integralmente dalle Edizioni Assalto per la collana Uomini Ribelli “I volontari-La L. V. F. sul Fronte dell’Est”, scritto da Saint Loup. Si tratta del primo volume di una trilogia, corredato e completato da numerose chiose esplicative collocate a pié di pagina e da un nutrito archivio fotografico. Domanda: ma che ci andava a fare questa masnada di idealisti scanzonati e un po’ folli in quello sconfinato buco nero col quale fin dai tempi di Napoleone i francesi non avevano mai più avuto nulla a che spartire? A combattere fianco a fianco con i detestati crucchi, poi! A dividere con loro l’infame rancio a base di crauti e kartofel! E indossando le loro stesse odiate divise, con l’unica differenza di un piccolo distintivo bianco-rosso-blù appiccicato sul braccio! E poi, a pensarci bene, la Francia non era né fascista, né in guerra con l’Urss. E poi – questo è il colmo! – quel fanatico di Hitler non aveva nessuna intenzione di condividere coi debosciati discendenti di Capeto l’onore della vittoria sui mugik. Diffidente com’era con chiunque non fosse tedesco doc, e in particolare verso tutti coloro che provenissero da occidente del Reno, i nipotini di Vercingetorige al capo del Reich stavano proprio sullo stomaco. Pure quelli “amici”. Tuttavia, una leggenda russa voleva appunto che il comunismo in Russia sarebbe caduto solo il giorno in cui i francesi avessero marciato per le vie di Mosca. Perciò il Fuhrer si rassegnò. Se i francesi devono esserci, che i francesi ci siano!… Ma… Soltanto un po’! La domanda, però, resta sempre la stessa: ma chi gliel’ha fatto fare? Hai voglia a dire che la mia patria è là dove si combatte per le mie opinioni; che chi non è pronto a dare la sua vita per la propria idea o non vale niente l’idea o non vale niente lui. Tutto vero, ci mancherebbe. Tuttavia, andava sempre tenuto presente – e i legionari francesi che s’apprestavano a intraprendere l’avventura russa lo sapevano fin troppo bene – che il bolscevismo era un nemico irriducibile della tradizione e della civiltà occidentale; che occorreva agire prima che fosse troppo tardi, che bisognava fare qualcosa a tutti i costi, perché <il mondo è appena entrato in un ciclo d’inversione fondamentale dei valori. Se non rovesciamo il senso dell’evoluzione vincendo la guerra, allora verremo giudicati tanto più ferocemente quanto più sarà apparsa evidente la purezza delle nostre intenzioni>; e che purtroppo <i tedeschi non ci regaleranno mai il nazionalsocialismo: troppo egoismo, troppa mancanza d’ambizione. Dovremo conquistarlo dall’interno, per ridistribuirlo a un’Europa che rifiuterà il pangermanesimo>. Ma alla base di tutto l’ambaradan c’era soprattutto il fatto che, come abbiamo accennato prima, i francesi, almeno quelli tosti, onesti e dotati di senso dell’onore e almeno fino a quel punto del conflitto, non erano per nulla entusiasti del comportamento tenuto dai loro pavidi compatrioti nel corso della seconda guerra mondiale, e si (li) consideravano con disprezzo un po’ come dei badogliani ante litteram, il ventre molle dell’Europa, insomma. Infatti il fronte dell’est s’era squagliato come neve al sole al primo assalto nazista e i soldati con la svastica erano arrivati a Parigi senza colpo ferire, come in una sorta di turistica promenade. La capitale s’era arresa prima ancora di combattere, e tutti più o meno offrivano uno spettacolo disgustoso: <Quelli che ascoltano la radio inglese, come quelli che vanno a leccare gli stivali tedeschi in rue de Lille o al Majestic! Un popolo di buoi! Un solo ideale: la greppia! Buoi, buoi! Ah! Bisogna vedere i quadri della L. V. F.! Quadri? Quadri?!? Fanno traffici con i nostri pacchi, con le tessere annonarie degli arruolati o con i loro indumenti, le loro scarpe, e rivendono la benzina al mercato nero. Le dattilografe rubano, vanno a letto con i tedeschi e ricopiano le schede dei camerati per sdoganarsi dopo!>. Sembra quasi il fotogramma di un film neorealista italiano del dopoguerra. Uno di quelli con Tognazzi e Sordi. La conclusione è sconsolante e apparentemente – solo apparentemente – rassegnata e un po’ razzista: <Ma come vuole che il francese, nato ladruncolo, diventi improvvisamente virtuoso solo perché un pugno di teste matte si arruola nella L. V. F.? I nostri compatrioti se ne fregano sia della L. V. F. che dei prigionieri o dei F. T. P. Quello che gli interessa è accaparrarsi i pacchi di Pétain, non importa se il destinatario è legionario o prigioniero! L’uomo resta quello che è: intelligente, astuto, scroccone da parte francese; onesto, stupido e disciplinato da parte tedesca>. Sì c’era proprio bisogno di uno scatto d’orgoglio, la necessità di riscattarsi e riscattare l’occidente tutto da quella lebbra nichilista che rischiava di annientarlo, di stritolarlo nell’abbraccio mortale tra due potenze – Usa e Urss – nemiche in tutto ma alleate solo nel distruggere l’eredità umanistico-latina, antico retaggio di Roma. Il fatto è che agli occhi disincantati di quel pugno di guerrieri la speranza d’Europa non poteva proprio essere appannaggio di una “grandeur” infrancesata ormai avvizzita nei patetici rituali di una democrazia corrotta quanto imbelle. L’Inghilterra allora? Ma se era proprio lei, la perfida Albione, con la sua mostruosa metastasi d’Oltreatlantico, una delle cause dello sfacelo del Vecchio Continente. L’Italia? Beh, “correva” ancora il 1941 e il 25 luglio e l’8 settembre erano ancora lontani. Però… per quanto il fascista Mussolini si stava tutto sommato comportando bene, l’Italia non era ancora preparata a raccogliere il testimone del sublime Impero romano perduto tanti secoli fa. E poi va pure considerato che agli eredi di Asterix non era proprio andata giù la proditoria invasione della Costa Azzurra da parte dei cugini d’Oltralpe. Per loro s’era trattato di un tradimento, d’un’inaspettata pugnalata alla schiena dei poveri Galli, sciacallescamente sferrata a sud proprio nel momento dell’invasione nazista a nord. La Spagna allora? Troppo recente il trauma della guerra civile, e col suo neutralismo “morbido” Franco aveva chiaramente fatto capire che “non c’era trippa per gatti”. I paesi scandinavi? Non pervenuti. La Norvegia era stata invasa dai nazi, la Finlandia dai russi, e la Svezia restava fredda e chiusa nel suo isolazionismo contemplativo, ansiosa solo di fare affari col Reich. Non restavano che i presuntuosi mangiapatate d’Oltrereno, che, sotto le insegne della croce uncinata, s’erano miracolosamente sollevati dai disastri di Weimar, assumendo d’imperio l’egemonia nel continente. Come andò a finire l’“avventura” dell’armata italotedesca inoltratasi fin nel profondo nel ventre dell’immensa matrioska falcemartello è storia consolidata: il sacrificio di questi giovani e disperati eroi è stato vano. Come vana s’è rivelata infine la speranza dei comandi italotedeschi di arrivare a bere il tè dai samovar dell’Arbat. Le nostre truppe infatti sono arrivate quasi a sentire i rumori e i profumi di Mosca, ma l’ex capitale dei Romanov come tutti i miraggi, è rimasta lì, lontana e inafferrabile come l’arcobaleno. Infatti la Russia, madre prosperosa e accogliente all’inizio, si rivelò mano mano che si procedeva verso est una trappola di ghiaccio, senza alcuna speranza di uscirne indenni. Il fatto è che si può essere coraggiosi e audaci, sprezzanti del pericolo e guerrieri quanto si vuole, ma non si può lottare contro madre natura. Ed è stata proprio la natura la prima a tradire le armate dell’Asse in quel mostruoso oceano di terra – già tomba di centinaia di migliaia di sfortunati soldati persiani e napoleonici – provvisto di due soli logori vestiti: bianco d’inverno, verde d’estate. Dio ha fatto il deserto e lo ha chiamato Russia, si potrebbe dire.

E in questo mondo ostile le cose non sono andate per nulla come ci si aspettava. Perché si sapeva che in inverno in Russia fa freddo, certo, ma non ci si aspettava “quel” freddo, quel gelo disumano che bloccava i motori dei veicoli, sorprendeva nel sonno le sentinelle di guardia e dolcemente le accompagnava nell’Ade; che impediva persino d’iniettare la morfina ai feriti onde lenirne i tormenti, perché a -50° anche la morfina solidifica. Impossibile combattere quando i congegni dei mitragliatori s’inceppano per la temperatura troppo rigida. Impossibile vivere e dormire quando per bere ci si deve rassegnare a ingurgitare pepite dure come il marmo, trasparenti per l’acqua, bianche per il latte, nere per il caffè, rosse per il vino, gialle per il tè. Impossibile pure pisciare, perché dal “biscotto” fino a terra si solidifica istantaneamente un arco giallo, col rischio di giocarsi i gioielli di famiglia, e al momento di andarsene, per staccarsi, bisogna tirare forte e fa un male della miseria. E ancora: i morti bisogna seppellirli a suon di bombe a mano, perché il suolo è così duro che nemmeno il piccone può scalfirlo. E, pure se si riesce a farla sfidando la morte per congelamento dei reni, financo la merda perde ogni cattivo odore, tanto è istantanea la vetrificazione! E si sapeva che d’estate era caldo, ma non ci si aspettava “quel” caldo, afoso, opprimente, con la polvere che prende alla gola e ti fa quasi soffocare e l’aria è satura d’insetti d’ogni genere. Si sapeva che in primavera, col disgelo, si sarebbero formati ampi pantani. Ma non ci si aspettava il fango alle ginocchia, che rallenta il procedere di carri e salmerie, che spezza il fiato, che impastoia le gambe in una morsa d’acciaio che manco le sabbie mobili. E poi c’erano le paludi, le distanze sterminate, e… i partigiani – i “partoches” per i legionari. Forse i peggiori di tutti. Feroci come pochi, spietati, eppure a volte sorprendentemente cavallereschi. Astuti come volpi e coraggiosi come leoni si muovevano a loro agio nella neve come nel fango delle paludi, pronti a scannare chiunque si fosse fatto sorprendere. No, a tutto questo si era impreparati. La Russia la si può possedere solo se lei lo vuole, oppure “diventando” semplicemente russi. E la bellezza del romanzo emerge proprio dalla considerazione dedicata dall’autore alle poetiche e particolareggiate descrizioni dei paesaggi innevati (a ogni ora del giorno la neve assume colori diversi), e alla dura esistenza dei contadini nelle povere isbe, alla miseria dei piccoli figli di Ivan, sfigurati dalla sporcizia e dalla crosta lattea. Una pena che faceva ancor più risaltare il lindore e la pulizia dei ragazzini di alcuni villaggi adiacenti, sempre russi riguardo alla geografia, ma “Volkdeutsche” di razza, vale a dire tedeschi insediati da secoli nel bel mezzo della steppa. Alle messe celebrate nelle isbe nei giorni di festa; all’asprezza delle nottate in trincea trascorse da quei guerrieri ancora ragazzi, tormentati dal gelo, dai pidocchi e dalla dissenteria; alle festose bevute di samogon per festeggiare il compleanno di “Jules”, come i legionari avevano scherzosamente ribattezzato Hitler; e all’amore con le belle “panienka”, le prosperose fanciulle che ai “franzuz” si donavano con estrema facilità, tanto che a volte venivano persino “adottati” dalle famiglie locali, felicissime di dare asilo a quei giovani così… affascinanti. Si, mai come in questa occasione, come per l’epopea di El Alamein, è vero il detto <mancò la fortuna, non il valore>.

I pochi sopravvissuti al tritacarne sovietico, in seguito inquadrati nella divisione SS Charlemagne, troveranno morte gloriosa nella disperata difesa della cancelleria a Berlino, nella fine di aprile del 1945. E in quelle immense pianure spazzate dal buran echeggeranno per l’eternità le note della bellissima canzone degli Ich Liebe Dich: <…il loro sacrificio non verrà dimenticato / L’eroico insister nel lottare non sarà mai eguagliato!…>.

Angelo Spaziano

4 Comments

  • Saverio Gpallav 12 Settembre 2017

    gloriosi sono stati anche quei Russi che per la seconda volta in 130 anni, malgrado il gelo che si faceva sentire anche per loro, benché più abituati, rigettarono l’invasore oltre i confini fino a sconfiggerlo nella sua stessa capitale, a Berlino nel 45 come a Parigi oltre 130 anni prima. Purtroppo a farne le spese furono migliaia di uomini, tra cui i nostri dell’Armir, eroici ma male armati e peggio comandati, che si trovarono di fronte non solo la natura ma l’eroismo di un intero popolo, che seppe compiere un miracolo militare, il ribaltamento del fronte, che non può non destare ammirazione anche in chi si sarebbe augurato un diverso esito della campagna di Russia. Oggi un Occidente russofobo sembra tentato di ripetere quelle sciagurate avventure. La storia decisamente non insegna nulla

    • Naja 31 Agosto 2022

      I sovietici avevano perso, poterono contare però sugli aiuti degli Alleati e questo lo disse pure baffone in un suo discorso. Inoltre i sovietici combattevano “solamente” contro il Reich, mentre lo stesso Reich combatteva contro quattro Imperi!!! Continuare a scrivere che all’improvviso i sovietici cominciarono a vincere è l’ennesima assurdità raccontata della seconda guerra mondiale.

  • Saverio Gpallav 12 Settembre 2017

    gloriosi sono stati anche quei Russi che per la seconda volta in 130 anni, malgrado il gelo che si faceva sentire anche per loro, benché più abituati, rigettarono l’invasore oltre i confini fino a sconfiggerlo nella sua stessa capitale, a Berlino nel 45 come a Parigi oltre 130 anni prima. Purtroppo a farne le spese furono migliaia di uomini, tra cui i nostri dell’Armir, eroici ma male armati e peggio comandati, che si trovarono di fronte non solo la natura ma l’eroismo di un intero popolo, che seppe compiere un miracolo militare, il ribaltamento del fronte, che non può non destare ammirazione anche in chi si sarebbe augurato un diverso esito della campagna di Russia. Oggi un Occidente russofobo sembra tentato di ripetere quelle sciagurate avventure. La storia decisamente non insegna nulla

    • Naja 31 Agosto 2022

      I sovietici avevano perso, poterono contare però sugli aiuti degli Alleati e questo lo disse pure baffone in un suo discorso. Inoltre i sovietici combattevano “solamente” contro il Reich, mentre lo stesso Reich combatteva contro quattro Imperi!!! Continuare a scrivere che all’improvviso i sovietici cominciarono a vincere è l’ennesima assurdità raccontata della seconda guerra mondiale.

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