Di fronte alla prevedibile, prossima alluvione di libri, articoli di giornali, convegni, etc, questa vuole essere una “guida”, che, con la citazione dei personaggi e l’elenco dei passaggi principali, offra una sintesi degli avvenimenti, articolata in tre puntate, con un piglio bersaglieresco (15 mesi in 15 capitoletti) che non la trasformi in un ”polpettone”. Questa è la seconda puntata.
6. “ANNETTERE L’ITALIA A FIUME”
La partenza degli elementi “legalitari” lascia libero campo ai “politici”, tra i quali, in primo piano il già citato Alceste De Ambris. A lui si deve la iniziale stesura della “Carta del Carnaro”, che riprende temi propri del sindacalismo rivoluzionario prebellico, espressi in forma “immaginifica” dallo stesso d’Annunzio.
Tutto ciò mentre i contatti avviati con il Partito Socialista per una “marcia all’interno”, supportata da uomini ed armi provenienti da Fiume, si arenano, per l’ostilità di Giacinto Menotti Serrati, invano contrastato dalla disponibilità mostrata da Nicola Bombacci e, in campo anarchico, da Enrico Malatesta.
Fallisce così il tentativo di “annettere l’Italia a Fiume”, come dicono i più entusiasti, che devono accontentarsi di ciò che a Fiume si è fatto e si sta facendo, confortati dalla simpatia che le molte visite illustri dimostrano. Particolarmente significativo sarà, nella seconda metà dell’anno, l’arrivo di Guglielmo Marconi, il 22 settembre, col suo yacht “Elettra”, e quello successivo, il 20 novembre, di Arturo Toscanini, che testimoniano come non solo gli ex combattenti, i fascisti, i nazionalisti, i giovani, ma tutta la migliore Italia condivida lo spirito dell’iniziativa.
Ciò, nonostante qualche settimana prima, l’8 settembre, con gesto anch’esso “di rottura” d’Annunzio abbia proclamato la Reggenza italiana del Carnaro, che aveva già preannunciato nel discorso del 12 agosto: “Domando alla città di vita un atto di vita. Fondiamo in Fiume d’Italia, nella Marca Orientale d’Italia, lo Stato Libero del Carnaro”.
Contemporanea è anche la promulgazione della “Carta”, presentata al popolo di Fiume otto giorni prima, nel Teatro Fenice: “Noi siamo per creare una voce di libertà, una voce di bellezza e una forma di bellezza sopra il mondo immemore delle cose alte e delle cose eterne, sopra il decrepito mondo destinato a crollare e disfarsi inesorabilmente”.
A coronamento di questo nuovo assetto istituzionale, il 12 settembre viene presentato il nuovo vessillo di Fiume, concepito dallo stesso d’Annunzio, che, al centro del drappo ha un cerchio d’oro, formato da un serpente, simbolo di perfezione e di eternità, racchiudente le stelle dell’Orsa maggiore, guida per i naviganti, con in basso un nastro col il motto di sfida “Quis contra nos?”
Per esplicita volontà del Comandante l’esperienza fiumana prova, nel contempo, a proiettarsi anche in ambito internazionale, con un piglio rinnovatore che avrà nel riconoscimento “anticipatore” della Russia leninista la sua maggiore realizzazione.
Nasce così l’dea di una “Lega dei popoli oppressi”, invano osteggiata dallo stesso Consiglio nazionale cittadino, che la giudica dispersiva rispetto all’obiettivo primario da conseguire, e cioè il ricongiungimento all’Italia.
Sono Guido Keller e Leone Kochnitzky a lavorare al progetto, che poi sfocerà nella “Lega di Fiume”, destinata a vita breve per mancanza di fondi (“il nerbo della guerra” come li chiama il Poeta, con un riferimento a Machiavelli) e anche per dissensi sugli obiettivi da perseguire. “Di sinistra” secondo gli ideatori e organizzatori (dopo i contatti epistolari con la nuova Russia, ne vengono avviati altri con l’Ungheria di Bela Khun, con i popoli in rivolta in tutte le parti del mondo, Balcani, Egitto, Irlanda, Montenegro, etc), semplicemente propagandistici e strumentali secondo molti dei partecipanti.
Grande, comunque, lo scalpore che suscita l’iniziativa dannunziana:
Grande risonanza dei messaggi in Italia: la politica orientale del Comando di Fiume fa ruggire d’orrore la stampa che vede giganteggiare lo spettro del bolscevismo. Per di più, d’Annunzio ha rapporti con ex membri del governo ungherese di Bela Khun, e cerca il riconoscimento del suo governo, lasciando allibiti i buoni borghesi fiumani, disorientando non pochi sostenitori italiani, e suscitando qualche preoccupazione tra gli stessi suoi collaboratori. Il presunto “bolscevismo” di d’Annunzio nasce dall’ammirazione per un grande evento rivoluzionario che ha distrutto una società chiusa e statica, creando uno Stato nuovo, capace di suscitare l’entusiasmo e il patriottismo delle masse. (1)
A completare il quadro, il 27 novembre viene pubblicato il nuovo “Regolamento dell’Esercito fiumano”. Anche di esso e del suo contenuto “rivoluzionario”,si dirà dopo. Qui basti notare che giunge troppo tardi. Quindici giorni prima è stato firmato il Trattato di Rapallo, e solo tre giorni dopo Caviglia lancerà il suo ultimatum alla città.
A nulla è servita la spericolata iniziativa di Keller, che, partito da Fiume il 14 novembre, e diretto a Roma, dopo un viaggio avventuroso, riesce a sorvolare il cielo di Roma, per una beffa che sa di amaro:
Recuperato l’aereo, prima di dirigere la sua coraggiosa ala su Spalato, volle lasciare un tangibile ricordo della sua missione romana, e volteggiando a bassa quota nel cielo della Capitale, lasciò cadere sul Vaticano, sul Quirinale e sulla Camera dei Deputati, tre doni simbolici e tre messaggi:
– sul Vaticano, una rosa bianca “Ala. Azione nello splendore, a Frate Francesco”.
– sul Quirinale, sette rose rosse: Ala. Azione nello splendore. Alla Regina e al popolo d’Italia.
– su Montecitorio, un “arnese” di ferro smaltato, con alcune rape rosse legate al manico, con uno striscione di stoffa rossa: “Guido Keller. Ala. Azione nello splendore. Dona al Parlamento e al Governo che si regge col tempo, con la menzogna e con la paura, la tangibilità allegorica del loro valore. (2)
Le cose mettono però male per la Fiume olocausta.
7. DA RAPALLO AL NATALE DI SANGUE
Nell’estate del ’20, però, mentre la situazione a Fiume resta sostanzialmente statica, con preoccupanti segnali di peggioramento sul fronte della vita quotidiana (un principio di peste, la scarsezza dei viveri che suggerisce di inviare, a turno e per brevi periodi, i bambini in Italia, ospiti di famiglie segnalate dai Fasci), nel resto del Paese qualcosa di importante cambia.
Il 16 giugno torna al Governo Giolitti, il “boia labbrone”, il “bandito di Dronero”, che, tra i primi punti all’ordine del giorno del suo impegno, mette proprio la soluzione della questione fiumana.
Iniziano così le trattative con il Governo del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, che sfociano negli incontri alla villa Spinola di Rapallo, dove, finalmente, il 12 novembre viene sottoscritto un Trattato.
Sulla base del documento, nasce lo Stato Libero di Fiume, delimitato dai confini della città e del distretto di Fiume, con un’ulteriore striscia di territorio che ne garantisce la continuità territoriale con il Regno d’Italia. Non è l’annessione che alcuni sognano, ma è, probabilmente –come afferma realisticamente Mussolini- il miglior risultato possibile in questa fase, che non significa, però, rinunciare all’obiettivo ultimo, come dimostrerà il fatto che, il 27 gennaio del ’24, il Governo fascista chiuderà la questione, annettendo la città e facendone un capoluogo di provincia dello Stato nazionale.
D’Annunzio, dal canto suo, non accetta il Trattato, quasi non rendendosi conto della situazione di isolamento nel quale ormai si trova. Il 30 novembre respinge il primo ultimatum inviatogli da Caviglia che comanda le truppe italiane che circondano la città, il 1° dicembre dichiara guerra al Regno d’Italia, il 20 dicembre ignora il secondo e definitivo ultimatum.
E così si arriva al pomeriggio del 24 dicembre, quando scatta l’attacco contro la città. Tutto si esaurisce in meno di cinque giorni. Troppo impari le forze contrapposte, con il fronte dannunziano indebolito anche dalle divisioni interne, tal che il 29 il Poeta cede i poteri al Consiglio di Fiume che autorizza Horst Venturi e Riccardo Gigante a firmare l’accordo per l’esodo dei legionari.
I caduti sono una ventina per parte. A tutti si rivolge d’Annunzio, con la sua “Orazione funebre” del 2 gennaio del ’21, in previsione della partenza dei treni che riporteranno i legionari in Italia. Le sue parole sono commosse, ma di pace:
Qui sono i nostri compagni, e qui sono i nostri aggressori, fratelli, gli uni e gli altri, a noi e alla nostra angoscia, allineati nel silenzio perpetuo, agguagliati nella requie eterna.
E forse v’è quel giovane Alpino che, verso uno dei nostri fanti, curvo su di lui moribondo, anelò: “Baciami, fratello. Non mi maledire. Solo chi mi mandò contro di te sia maledetto!
Lo spirito di pietà e di orrore, che faceva così straziante quell’anelito di agonia, sale da ciascuna di queste povere casse d’abete, già piene di dissolvimento, dove ormai le nostre stesse madri disperate non potrebbero più riconoscere i volti dei figli, troppo a lungo attesi dalle madri di tutti. (2)
Il Poeta, a sua volta, lascerà Fiume il 18 gennaio. La festa della rivoluzione è finita, ma è destinata a durare nell’immaginario di intere generazioni
8. D’ANNUNZIO E MUSSOLINI
Esperienza fiumana durante, e, soprattutto, dopo il “Natale di sangue” molte sono le recriminazioni che i seguaci di d’Annunzio rivolgono a Mussolini, accusato, in buona sostanza, di tenere un atteggiamento ondivago prima e di accettare supinamente il trattato di Rapallo poi.
In effetti, l’accusa è ingiusta. Il Popolo d’Italia e i Fasci di combattimento appoggiano in ogni possibile modo l’iniziativa del Poeta (ivi compresa, per esempio l’iniziale sottoscrizione che dà ottimi risultati, la successiva ospitalità offerta da famiglie italiane ai bambini della città, le finali manifestazioni, con scontri e arresti, inscenate in varie città nei giorni dell’attacco alla città). La realtà è, più probabilmente, quella intuita da Nino Valeri:
Una differenza tra le due posizioni –fiumana e fascista- c’era, senza dubbio, e di fondo. D’Annunzio rimaneva un letterato della politica, prigioniero, egli stesso, del suo mondo di parole incantate. Mussolini, invece, che aveva un temperamento autentico di politico, accoglieva quella splendida letteratura solo in quanto era, essa pure, in quel clima, l’indizio rivelatore di una forza trascinatrice: rappresentava, cioè, in qualche modo, una realtà politica con la quale bisognava fare i conti e dalla quale egli non avrebbe consentito, comunque, di rimanere estraniato. (3)
I rapporti tra i due, con alti e bassi -anche “caratteriali”- restano, comunque buoni. Mussolini arriva a Fiume l’8 ottobre del ‘19, per poi proseguire, con un avventuroso viaggio aereo, per Firenze, dove è in svolgimento il primo Congresso dei Fasci. Lungo e cordiale il colloquio con d’Annunzio, anche per chiarire il senso di quella lettera “delusa” che è stata pubblicata solo in parte sul Popolo d’Italia, per attenuarne il contenuto “di rimprovero” per l’inazione fascista.
Di lì a qualche settimana il poeta manderà a Milano alcune squadre di Arditi a sostegno della campagna elettorale fascista, “problematica” per la prepotenza avversaria, e poi, nel lodo che a fine anno contrapporrà Mussolini a due redattori transfughi, giustificherà, in quanto da lui autorizzate, le spese sostenute –con prelevamento dalla succitata sottoscrizione- per mantenere nel capoluogo lombardo i suoi uomini.
Né può essere sottaciuto il fatto che, il 5 ottobre del 1920, aderirà al Fascio fiumano, compilando la famosa scheda di iscrizione nella quale alla voce “professione” scriverà: “uomo d’arme”.
Altre “incomprensioni” nasceranno dopo l’accettazione mussoliniana “tutta politica” del compromesso di Rapallo, e saranno destinate a continuare nel tempo, anche per la malevola azione di alcuni mestatori.
Il culmine sarà raggiunto, nel marzo del 1922, quando, dopo la manganellatura di alcuni legionari fiumani a Bologna, al Poeta sarà attribuita –salvo essere poi smentita- la definizione del fascismo come “squadrismo agrario”.
La ricomposizione finale e definitiva si realizzerà a Milano, nelle giornate dello “sciopero legalitario” allorchè gli squadristi offriranno a d’Annunzio il “posto d’onore”, con il famoso discorso dal balcone di palazzo Marino occupato, e lui li ripagherà con parole che, nella generale interpretazione, appariranno di grande vicinanza al movimento.
Pienamente condivisibile appare, in conclusione, il giudizio di Pietro Cappellari su questa tranche del –peraltro destinato a durare- rapporto tra i due:
Dall’impresa fiumana del settembre 1919, Mussolini non voleva una rivoluzione nazionalista (cioè militarista, monarchica e reazionaria), quanto –più modestamente, ma più concretamente- la caduta del Governo Nitti e l’avvento di una nuova compagine governativa, più vicina alle esigenze nazionalpopolari e agli uomini dell’interventismo, che, di conseguenza, avrebbe anche proceduto all’annessione di Fiume, e garantito i diritti acquisiti con la vittoria nella Grande Guerra. (4)
9. LA CARTA DEL CARNARO
Documento essenziale (“Tavole della legge”, come si disse) per capire il fiumanesimo, abbastanza noto e facilmente reperibile in rete, anche se in versioni talora leggermente difformi, resta la “Carta del Carnaro”.
Qui seguirò il testo riportato in appendice al volume di Giuseppe Moscati “Le cinque giornate di Fiume” (Milano 1931), preferendo riprodurre –nei limiti autoimposti dalla natura di questo lavoro, e con una personalissima scelta- tre soli articoli, anche non strettamente “politici”, ma sicuramente significativi.
In dettaglio: l’art IX che fissa i limiti della proprietà privata; l’art XIV che esalta la vita, l’uomo e il lavoro; l’art L, che riconosce la supremazia della cultura;
art IX: “Lo Stato non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali. Nessuna proprietà può essere riservata alla persona quasi fosse una sua parte; né può esser lecito che tal proprietario infingardo la lasci inerte o ne disponga malamente, ad esclusione di ogni altro. Unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione o di scambio, è il lavoro.”
art XIV: “ Tre sono le credenze religiose collocate sopra tutte le altre nella università dei Comuni giurati: la vita è bella, e degna che severamente e magnificamente la viva l’uomo rifatto intiero dalla libertà; l’uomo intiero è colui che sa ogni giorno inventare la sua propria virtù, per ogni giorno offrire ai suoi fratelli un nuovo dono; il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se bene eseguito, tende alla bellezza ed orna il mondo.”
art L: “Per ogni gente di nobile origine, la coltura è la più luminosa delle armi lunghe…La coltura è l’aroma contro le corruzioni. La coltura è la saldezza contro le deformazioni…Perciò la Reggenza italiana del Carnaro pone alla sommità delle sue leggi la coltura del popolo; fonda sul patrimonio della grande coltura latina il suo patrimonio.”
10. NUOVO ORDINAMENTO DELL’ESERCITO LIBERATORE
Documento meno noto del precedente, anche perché reso pubblico all’immediata vigilia della fine è quello relativo all’Esercito fiumano.
Se l’impianto “sociale” della Carta è opera di De Ambris, in questo caso la matrice è da cercare nelle idee di Keller , di Carli e dell’esperienza “Ardita” di trincea, arricchita dallo “stile” proprio del Comandante
Vale la pena notare che il testo, molto dettagliato nell’individuare la struttura organizzativa, non parla da nessuna parte dei “gradi”. Questo ha fatto pensare a qualcuno che essi fossero aboliti tout court, in linea con l’anarchismo ribelle di molti dei protagonisti di quelle giornate. Io ritengo, piuttosto, che fossero semplicemente conservati quelli previsti dal vecchio ordinamento italiano, con la sola eccezione delle “progressioni di carriera” non più automatiche, ma dettate dal merito, e con un sostanziale mutamento dei rapporti, svuotati da ogni gerarchismo di operetta.
Anche qui, tre soli articoli, sempre nella versione del citato Moscati.
In dettaglio: l’art XXXXIV che individua le caratteristiche fisiche richieste ai Legionari; l’art XXXXVI che esalta il ruolo della musica anche nell’ambito militare; l’art LXIV che, riprendendo l’esperienza Ardita, sottolinea l’importanza degli “assalitori”, vera crema delle formazioni in armi.
art XXXXIV: “Il legionario non può dirsi completo se non sia esperto: nel correre; nello spiccar salti; nello scagliar pietre; nel levare pesi; nel lottare; nel remare; nel nuotare; nel cavalcare qualunque cavalcatura; nel montare su qualunque albero o trave; nel superare muri e cancelli; nell’inerpicarsi fino a una finestra, a una gronda, a un tetto, a un fumaiolo; nel gettarsi giù dall’altezza più disperata; nello spalancare una porta con un colpo di spalla; nell’intraprendere con le mani e con i piedi la più ripida delle rocce; nel salire e nel calarsi con una fune; nel passare attraverso le fiamme salvo; nell’assottigliarsi per passare attraverso spiragli e fenditure; nel raggomitolarsi per restar dentro al più stretto nascondiglio in agguato; nel fischiar forte e nel variare il fischio per segnali; nell’imitare le voci degli uomini e dlle bestie; nel cantare; nel sonare; nel ballare.”
art XXXXVI: “Ogni Legione abbia il suo coro e la sua fanfara, e, per l’una e per l’altra, la sua scuola…. siano istituite gare corali e strumentali… siano promosse grandi riunioni di tutti i cori per cantare insieme il medesimo inno nei giorni solenni”
art LXIV: “…Al drappello di assalitori, fatto di cinque decurie, condotto da un ufficiale e da cinque aiutanti di battaglia, siano assegnati uomini espertissimi nel lancio delle bombe manesche e nel gioco dell’arme corta. E’ il drappello disperato, da scagliare a ruina, per forzare le sorti del combattimento, o per sfondare una linea di resistenza tenace”
NOTE
- Claudia Salaris, Alla festa della rivoluzione, Bologna 2002, pag. 39
- Ferdinando Gerra, L’impresa di Fiume, Milano 1966, pag. 567
- In: (a cura di Renzo de Felice), Gabriele d’Annunzio, La penultima ventura, Milano 1974, pag. 458
- Nino Valeri, D’Annunzio davanti al fascismo, Firenze 1963, pag. 18
- Pietro Cappellari, Fiume trincea d’Italia, Roma 2019, pag. 419
Foto 3: Gruppo legionario
Foto 4: Autografo dannunziano di un articolo della “Carta”
Foto 4: Artigianali barricate cercano di opporsi al Regio Esercito