Di fronte alla prevedibile, prossima alluvione di libri, articoli di giornali, convegni, etc, questa vuole essere una “guida”, che, con la citazione dei personaggi e l’elenco dei passaggi principali, offra una sintesi degli avvenimenti, articolata in tre puntate, con un piglio bersaglieresco (15 mesi in 15 capitoletti) che non la trasformi in un ”polpettone”. Questa è la terza e ultima puntata.
11. UNA FESTA, MA NON COME TANTE ALTRE…
Nella controsocietà che prende corpo a Fiume, nella convinzione che, come scriverà Comisso: “L’Italia aveva compiuto non solo una guerra di liberazione di terre e di uomini, ma soprattutto di liberazione da principi, idee e costumi che le erano stati imposti dalla casta borghese del secolo passato”, il momento ludico assume un’importanza particolare.
Tra tante merita, però, di essere ricordata una festa che non ci fu, nonostante fosse stata accuratamente preparata e “pensata” con fini molteplici: la festa del Castello dell’Amore.
Comisso e Keller, per il Carnevale del 1920, memori di una festa medievale fatta a Treviso, che era stata causa di guerra tra Padova e Venezia, pensano di schierare le più belle fiumane a difesa di un castello (ricavato dallo stabilimento balneare sul molo), al quale uomini di tutte le nazionalità presenti a Fiume avrebbero dato giocoso assalto, per rapire la “bella castellana”, individuata in Luisa Baccara, amante in carica del Vate e responsabile, secondo gli ideatori del progetto, di certe sue recenti “incertezze” nel comando.
I birbanti pensano, in realtà, di prendere la Baccara“metterla in una gabbia come una gallina e portarla in un’isola deserta”. Occorre, ad ogni buon conto, la preventiva autorizzazione di d’Annunzio, dal quale si recano, allo scopo, alcuni Ufficiali incaricati da Keller. Il Poeta però, forse segretamente informato sul vero scopo della “festa”, nega il suo assenso, con la scusa che la cosa sarebbe criticata come “un’idea del solito d’Annunzio”, e così non se ne parla più.
Quella sopra descritta è la tesi più accreditata sulle vere intenzioni degli ideatori. Su “Yoga” la rivista della “Unione di spiriti liberi tendenti alla perfezione”, voluta da Keller e Comisso, apparirà però, sul numero 3 del 27 novembre, un articolo con una diversa versione:
Or è quasi un ano lo Yoga preparava una festa del mare: ricordate? Il castello d’amore. Le castellane avrebbero gli spalti dagli approcci degli assalitori. Gli assalitori sbarcati dai navigli avrebbero gittato le scale per l’irruzione. Alla fine del trambusto delle danze, gli uomini del passato, le forme d’uomini pesanti e dannosi alla celerità dell’impresa di Ronchi sarebbero stati presi, legati, messi su di un naviglio e portati fuori. Ma il castello d’amore non potè alzare le sue pareti di cartone, ingenuamente si disse: “E’ una festa troppo decadente”. (1)
E’ così che, ufficialmente verrà sfumato il ruolo di d’Annunzio e occultato il vero motivo della trovata, mentre alla fantasiosa idea di una festa si cercherà di far assumere anche un significato “politico”, inserendola nel quadro dei contrasti che dividono le due anime fiumane. Da un canto, quella irriverente e anarcoide dei giovani, dall’altro, la “pensosa” saggezza dei più anziani, portatori di istanze più squisitamente politiche, quando non “d’ordine”.
12. LA “DISPERATA”
Fin dall’inizio, sono presenti a Fiume militari dei più diversi gradi e delle più diverse provenienze: Arditi, Bersaglieri, Granatieri, Carabinieri, Artiglieri, Cavalleggeri, perfino Aviatori e Marinai. Al loro fianco, anche molti che la guerra non hanno fatto in tempo a farla, magari per motivi anagrafici, ma non vogliono perdersene quest’ultima porzione. Eroi di guerra, semplici ex coscritti e aspiranti combattenti, inebriati dal gusto dell’avventura e dalla voglia di rompere con il vecchio mondo e le vecchie tradizioni, tutti insieme.
Tra essi, si distingue un manipolo di giovanissimi Legionari che, arrivati in città privi di documenti, non hanno potuto essere inquadrati da nessuna parte. Essi, però, non si danno per vinti, e si accampano nei grandi cantieri navali del porto, tra navi immobilizzate, vecchie locomotive in disuso e gru un tempo utilizzate per i lavori di riparazione degli scafi.
Un giorno, inaspettato, giunge in visita Guido Keller, che intuisce il potenziale “guerriero” di quegli uomini lasciati a se stessi, già chiamati “disperati” per la loro situazione di abbandono, li inquadra e li “offre” a d’Annunzio come sua guardia personale.
A capo, però non pone se stesso, ma il Tenente degli Arditi Tomaso Beltrani “vero capobanda senza paura e senza disciplina, sdegnoso di portare i segni del grado sulle maniche, poiché li portava nella voce e negli occhi, e che spirava l’irregolarità da tutti i pori, da tutte le sdruciture della giubba e dei denti”
Beltrani durerà poco. Forse l’uso di cocaina, forse altri impicci, o, più probabilmente l’indomabilità del carattere, gli faranno preferire il superdecorato –due medaglie d’argento e una d’oro- Elia Rossi Passavanti, che darà una prima struttura organizzativa al gruppo, provvedendo all’armamento, alla vestizione e all’acquartieramento in forme più adeguate.
Dopo di lui, toccherà a Ulisse Igliori, ma la “Disperata” andrà progressivamente perdendo le sue caratteristiche originarie, anche per la fuoriuscita di alcuni degli originari componenti, poco propensi alla “militarizzazione”, che non può che avvenire in forme tradizionali, del loro entusiasmo.
Resterà il nome, che verrà fatto proprio, nel triennio successivo, da decine di squadre fasciste, anche di piccoli paesi, e spesso “esasperato” in esagerazioni inconsapevolmente ridicole, quali le “Disperatissime” che nasceranno qua e là.
L’epigono più celebre sarà la “Disperata” fiorentina, guidata da Onorio Onori, la squadra forse più nota dell’avventura fascista. Il nome, per la sua potenza evocativa, sarà ripreso, durante l’avventura africana, dalla squadriglia aerea di Ciano, Muti e Pavolini, fino ad essere fatto proprio, ancora durante la RSI, da formazioni più o meno autonome impegnate nella lotta contro i ribelli.
Un richiamo, nato a Fiume, “forte” e costante per chi, in qualche modo, a quei primi irrequieti legionari vorrà rifarsi.
13. I LEGIONARI
Se la “Disperata” rappresenta, nella sua atipicità rispetto agli schemi classici di ogni organizzazione guerresca, un fenomeno unico, non molto dissimile è il quadro offerto, in generale, dalla truppa legionaria, che invano gli elementi di formazione più squisitamente militare cercano di inquadrare in modi più tradizionali. Ecco il ricordo di Leone Kochnitzky, il giovane poeta di origine belga presente in città, la cui testimonianza, praticamente scritta nell’immediatezza degli avvenimenti, resta praticamente unica
I Legionari…un Esercito che non è un Esercito, un guarnigione che non somiglia a nessuna guarnigione, insorti che forse sono vandeani, guardie bianche che hanno molto delle guardie rosse, ribelli che sono poi soldati disciplinatissimi, corsari che non predano se non per dar da mangiare agli affamati
I Legionari….veterani in cui quattro anni di guerra non hanno consumato la fiamma del primo giorno, ancora puri e disposti al sacrificio estremo: volontari adolescenti scappati di scuola per venire ad arruolarsi: interi battaglioni stanchi di vegetare in una vita senza colore nella zona d’armistizio hanno seguito nel’impresa i Tenenti quasi ragazzi, lontano dalle corveees degradanti e dai Colonnelli bizzosi…..
Sopra di noi sta Gabriele d’Annunzio che ci guida. Sopra Gabriele d’Annunzio l’ IGNOTO e il destino che lo sospinge. (2)
Ci sono poi, particolarmente cari al cuore del Poeta, incaricati delle azioni più audaci, gli Uscocchi, così battezzati in una serata all’Ornitorinco, allorchè d’Annunzio:
Si alzò in piedi, e in una improvvisata e spigliatissima concione comunicò ai presenti la costituzione regolare del nuovo ufficio, che fu, col suo alto consenso, battezzato dagli interessati U.C.M., vale a dire “Ufficio dei Colpi di mano”.
Brindò al futuro ed al passato di quella nuova e provvida istituzione di pretta marca legionaria, e concluse dichiarando che coloro i quali avrebbero fatto parte di quell’ufficio, e ai quali augurava gloriose e pingui prede, come ai loro predecessori dei secoli passati, avrebbero da quel giorno, e come quei loro antichi “pionieri”, assunto il nome ufficiale di Uscocchi. (3)
Una figura a parte è quella del giapponese Harukichi Shimoi che, in qualità di rappresentante della stampa estera, era stato inviato al fronte, dove aveva avuto modo di “frequentare” ed apprezzare i Reparti Arditi.
Quando raggiunge Fiume, d’Annunzio, che gli vuole bene, al punto di chiamarlo “fratello mio….non di sangue“, lo autorizza a vestire, a titolo onorifico, il grigioverde con le Fiamme. Lui lo ricambierà definendolo “l’interprete occidentale delle più ardue tradizioni eroiche dell’aristocrazia giapponese”, e contribuendo, al ritorno in Patria, a diffondere la conoscenza della figura e dell’opera del Vate, che affascinerà molti suoi connazionali, tra i quali va ricordato almeno Yukio Mishima.
14. GLI ARDITI
Gli Arditi, la crema delle nostre Forze Armate sul Piave, minoranza numerica nell’Esercito, sono una consistente presenza a Fiume. E, come in trincea, capaci di trascinare, mutare e determinare il corso degli eventi. Ancora Leone Kochnitzky:
Gli Arditi sono una minoranza: ma, a mano a mano che la vita fiumana si viene organizzando, gli altri Corpi subiscono l’influenza di questo stile spavaldo. Cavalleggeri e fanti, Colonnelli e Caporali, Artiglieri ed Aviatori, e perfino il buon poeta americano Henry Furst, non c’èn più nessuno che non voglia essere ardito, che non voglia portar ricamata sulla manica sinistra la spada con la ghirlanda di quercia…..
Gli stessi Arditi varieranno il loro tema; parecchi Ufficiali semineranno di stelle argentee il fez spavaldo, e a più riprese cingeranno il petto di alamari neri; uno spirito nuovo li anima. Volontari non se ne accettano più, ma i Sottufficiali si moltiplicano, giacchè il Comando crea Caporali, Sergenti, Aiutanti di battaglia
Bisogna pure riconoscerlo: è bizzarro l’aspetto di questi personaggi arabescati di galloni, con un arcobaleno di nastrini multicolori sul petto: decorazioni di guerra, testimonianze di un valore messo alla prova, nastrini di Fiume azzurro, giallo e amaranto, nastrino nero degli Arditi, scarlatto nastrino di Zar a
E’ vero, andature, grida, canzoni, pugnali, capigliature, tutto è assai insolito. Davvero un Colonnello inglese si scandalizzerebbe si soldati siffatti. Ma Gabriele D’Annunzio non è un Colonnello inglese, per fortuna . (4)
Arditi in guerra, conquistatori di trincee nemiche, e “arditi” anche in tempo di pace, conquistatori di donne, con i connessi rischi, soprattutto in una città dove si vive un clima di festa continua:
Si vedevano gli Arditi accompagnati alle loro donne vestite di grigioverde. Nel disordine degli amori, le malattie serpeggiavano, diffondendosi. Andato all’Ospedale per ricercare un mio soldato, visitai il Reparto degli ammalati venerei, ed era, per vero, un ambiente da non potersi imaginare.
Le cure erano affidate ad una donna, giovane ancora, ed energica, una specie di massaia o di levatrice. Le maniche rimboccate sulle bianche braccia carnose, trattava gli Arditi come una madre severa i propri ragazzini capricciosi, ordinava si spogliassero, li faceva distendere su una rozza tavola, apriva piaghe, toglieva cotone immondo, disinfettava, richiudeva, faceva irrigazioni, massaggi, e quei corpi michelangioleschi si rivoltavano, si abbandonavano sul fianco, docili, mesti, furbeschi, compiacenti. (5)
15. LE DONNE
La presenza femminile a Fiume è importante (nella tradizione della città, dove il voto alle donne era stato concesso già prima della Marcia di Ronchi), e varia. Ci sono:
-le “entusiaste della causa”, che nella città si impegnano in ruoli diversi. Crocerossine (l’americana Madeleine Whiterspoon Dent Gori-Montanelli), insegnanti (la professoressa bergamasca Tullia Franzi, studiosa di Dante e Manzoni), propagandiste (la sessantenne, fiumana “verace” Nicolina Fabris). Né mancano gli sconfinamenti anche nel campo più specificatamente “militare”. A 289 di esse, particolarmente audaci, combattive e intraprendenti, viene attribuita la qualifica di “legionario onorario”, e la cosa scandalizza non pochi.
Tra esse, prima, la marchesa Margherita Incisa di Camerana:
Fra gli arditi della D’Annunzio c’è una donna…Una donna che, sopra una succinta gonna grigio-verde porta la giacca coi risvolti neri. Ha il grado di Tenente; prende parte alle marce, alle esercitazioni; con una virile grazia quest’anima ben temprata si piega alle necessità rudi del blocco vigilando alla salute morale e alla disciplina delle “sue” truppe, perorando la causa loro presso il Comandante: costantemente la si vede a fianco di Rossi Passavanti. (6)
-le “partecipi della causa”, che sono la maggioranza della popolazione femminile cittadina, trascinata dall’entusiasmo dei giovani legionari in un vortice di avventure (anche “amorose”) senza precedenti. Anche in questo caso, i “bacchettoni” della vecchia Italia si “scandalizzano”. Turati rivela alla sua compagna Anna Kuliscioff i pudori di Nitti: “ Il povero Nitti è furibondo per le cose indegne di Fiume. Stamattina fui da lui, e mi rovesciò addosso tutta la sua bile…Fiume è diventato un postribolo, ricetto di malavita e di prostitute più o meno high life….Purtroppo non può dire alla Camera tutte queste cose, per l’onore d’Italia”.
Ciò, in un clima generale al quale fanno da sfondo l’introduzione del divorzio (ne usufruiscono, tra gli altri, Marconi, Pareto, Pantaleoni e Torreggiani) e la diffusa tolleranza verso l’omosessualità (Comisso, Pozzi, Furst, Keller, Kochnitzky).
Un gruppo “a parte” sono le donne del Vate, che pure non manca di rimbrottare i suoi Ufficiali, attribuendosi, in un affettuoso rimprovero, “meriti” che non ha: “Da quando sono a Fiume, vivo in una castità francescana, mentre voi, voi soprassate tutti i limiti…Noi siamo accerchiati, la lotta è forse imminente, occorre tenere ben saldi i muscoli!”
“Castità francescana” ? non si direbbe. Oltre alla Baccara (e forse, alla sorella) ci sono la canzonettista Lilì de Montresor, “Barbarella”, “Bianca la piccola”, “Gr bruna e molle”, una “maestrina di Merano”, e altre “appassionate” visitatrici.
Non è a loro, però, che pensa il Poeta, quando alle donne fiumane dedica tre bellissimi versi:
“Il nome di tutte le donne fiumane è ardenza,
il nome di tutte le donne fiumane è pazienza,
il nome di tutte le donne fiumane è resistenza.”
NOTE
- In: Simonetta Bartolini, Yoga, sovversivi e rivoluzionari con d’Annunzio a Fiume, Milano 2019, pag. 254
- Leone Kochnitzky, La quinta stagione o i centauri di Fiume, Bologna 1922, pag. 58
- Tom Antongini, Gli allegri filibustieri di d’Annunzio, ristampa Milano 2013, pag. 49
- Leone Kochnitzky, cit., pag. 65
- Giovanni Comisso, le mie stagioni, Milano 1960, pag. 70
- Leone Kochnitzky, cit., pag. 67
Foto 6: a destra, con la barba, Tomaso Beltrani, primo Comandante della “Disperata”
Foto 7: Luisa Baccara
Foto 8: Elia Rossi Passavanti
Giacinto Reale