Non ci avremmo creduto se la notizia non provenisse da uno studioso del prestigio di Roberto De Mattei. Un docente universitario svedese, Magnus Soderlund, ha dichiarato, nel corso di un seguito programma televisivo, che il consumo di carne umana sarebbe una buona soluzione, una proposta sostenibile per combattere il riscaldamento della Terra. La scelta di cibarsi di cadaveri umani, ha soggiunto, metterebbe fine a molti problemi ambientali, sostituendo in parte il consumo di carne animale e la stessa agricoltura, che gli ambientalisti radicali considerano responsabili del riscaldamento globale. Incidentalmente, il dottor Stranamore nordico ha tradito l’autentico obiettivo della sua disgustosa proposta. Il cannibalismo di ritorno, afferma, libererebbe la civiltà da uno dei suoi più antichi e profondi tabù, giacché “oggi consumare il corpo di un cadavere significa oltraggiare in qualche modo il defunto”. No, caro professore, l’offesa è all’intera specie umana, e quella che lei chiama liberazione non sarebbe altro che la fine della nostra dignità, l’abolizione della civiltà. Di liberazione in liberazione, siamo rimasti nudi, indifesi, ridotti a carne disponibile come nutrimento. Menù da trattoria di una civilizzazione obituaria. Per i romani al massimo di diritto corrispondeva la massima ingiustizia (summum ius, summa iniuria), così la totale emancipazione da ogni vincolo morale, sociale, familiare, religioso ci trascina nella barbarie primigenia descritta da Hobbes: homo homini lupus.
L’uomo cessa di essere un valore in sé, il suo stesso corpo diventa un elemento come tanti nella riduzione di tutto a cosa nella forma merce, un prodotto da vendere e consumare. Non è senza significato che l‘idea sia stata esposta in Svezia, la nazione dove più profonda è la frattura tra la legge naturale, la comunità e l’uomo-atomo, lasciato al suo destino solitario, all’angoscia esistenziale, al gelido, benché provvidente materialismo dello Stato socialdemocratico. Un primitivismo regressivo, apertamente antiumano, si è impadronito della subcultura postmoderna, celato dietro sconcertanti parole d’ordine. L’antropologia culturale insegna che due elementi essenziali definiscono la fuoriuscita di ogni civiltà dalla barbarie ancestrale: il divieto di incesto e il rifiuto dell’antropofagia, da cui sorge il rispetto del corpo umano defunto. Un principio che la nostra sedicente civiltà sta rapidamente perdendo. I cadaveri vengono spesso bruciati, le ceneri sparse, i cimiteri sono sempre meno frequentati. I segni del passaggio nel mondo di ciascun concreto essere umano, con la sua storia, il suo nome, la sua identità e sacralità, vengono frettolosamente cancellati, rimossi. Si diffonde un nichilismo raggelante, un’ansia distruttiva inconcepibile nel passato, cupio dissolvi come immagine di un tramonto igienizzato, sterilizzato, ecocompatibile.
Non illudiamoci che la tesi dell’accademico svedese, docente (che strano…) della Stockholm School of Economics, sia l’eccentrica provocazione di uninnocuo scienziato pazzo, da trattare come la divertita canzonetta degli anni Sessanta. E’ un chiaro “ballon d’essai”, un primo lancio esplorativo di un’idea che, se le oligarchie dominanti lo riterranno utile per i loro fini, si farà strada. Chi avrebbe detto, meno di vent’anni fa, che avremmo accettato il matrimonio omosessuale, il poliamore, cioè la poligamia, altra regressione tribale, l’omicidio legalizzato chiamato “dolce morte”, la procreazione artificiale, l’eugenetica, l’utero in affitto? L’umanità avrebbe accolto con sonore pernacchie la teoria del genere, l’affermazione che i sessi sono costruzioni culturali e non dati biologici, se non fosse stato approntato un gigantesco apparato di manipolazione attraverso intrattenimento, comunicazione, scuola. Un sociologo americano lo ha dimostrato attraverso il modello che da lui ha preso il nome, la finestra di Overton. Si può rendere accettabile e poi legale ciò che prima – e da sempre – era considerato inaccettabile o addirittura un orribile delitto. E’ significativo che l’esempio di scuola utilizzato dal suo scopritore, formato da sei stadi diversi, riguardi proprio il cannibalismo, l’interdetto insuperabile di tutte le civiltà uscite dal buio. Il primo stadio, in questo graduale processo di mutazione delle convinzioni correnti, è “Impensabile”. Si è ancora all’interno di una visione sacralizzata dell’uomo. Non se ne parla, vige una tacita, ma ferrea proibizione a toccare il tema del cannibalismo. Nel momento in cui qualcuno inizia a nominare l’argomento, entriamo nella seconda finestra, l’inizio della desacralizzazione. E’ la fase “radicale”. Cominciano a circolare informazioni, testi, gruppi di persone, visti come estremisti esagitati, che divulgano e propugnano una visione favorevole al cannibalismo. Appaiono articoli, riviste, associazioni di nicchia che caldeggiano il ritorno al consumo di carne umana.
Il terzo passaggio è quello in cui l’argomento diventa gradualmente “accettabile” con il decisivo sostegno mediatico dei cosiddetti esperti (intellettuali, scienziati, giornalisti, opinionisti) che sostituiscono il concetto con un termine più accettabile alla maggioranza, esibendo tesi “scientifiche” a suo sostegno. Qualcuno ha suggerito un termine più politicamente corretto di cannibali o antropofagi. Diventeremo forse “omivori” e ci saranno illustrati i benefici della nuova dieta, ricca di fibre e proteine. In Svezia sono giunti alla terza finestra. Se i padroni dell’opinione pubblica vorranno, per tornaconto economico e sete di dominio, il tema sarà normalizzato, il cannibalismo diventerà “ragionevole”, quarta finestra. Riscriveranno la storia, i millenni di oscurantismo onnivoro saranno cancellati. Il quinto stadio è quello di “popolare”, allorché il nuovo costume alimentare è accolto dalla maggioranza, diventa parte della cultura di massa. L’ultimo stadio è quello della politica, la finestra in cui il cannibalismo diventa “legale”. Non è neppure il caso di ricordare che il processo descritto da Overton avviene in maniera inconsapevole per la stragrande maggioranza.
Crede il lettore che stiamo esagerando? Lo speriamo di cuore, ma finora il meccanismo ha funzionato alla perfezione per un’infinità di temi sui quali il sentimento comune si è completamente rovesciato in pochi anni. Non dimentichiamo che circola un’altra idea “scientifica” sull’alimentazione del futuro, secondo la quale mangeremo con soddisfazione insetti ripugnanti, sempre per difendere Gaia dal riscaldamento climatico. Oggi Soderlund è ancora, per noi, un isolato scienziato pazzo, che dispone però della ribalta televisiva di una nazione definita avanzata, progressista, civilissima. Dopodomani forse mangeremo il cadavere dei genitori 1 e 2, prima di diventare cibo a nostra volta. Estremizzando, in una distopia non così incredibile, potrà forse nascere la professione di cacciatore di uomini per scopi alimentari. Perché mangiare solo carogne ex umane? Lor signori risolverebbero il problema della sovrappopolazione, con grande beneficio per l’ambiente e l’insaziabile Gaia. In mezzo al caos, tornano alla mente i Capricci di Goya, il grande pittore spagnolo. Uno, celeberrimo, è Il sonno della ragione genera mostri, da aggiornare in quanto il mostro contemporaneo è figlio piuttosto dell’insonnia di una ragione degenerata. Un altro è Crono divora i suoi figli, dipinto carico di sangue, orrore, spaventosa caricatura della modernità con gli occhi sbarrati. Scandinavo come Soderlund era il norvegese Edvard Munch, autore del celeberrimo Urlo. Una creatura scarnificata, quasi disumana, prorompe in un grido di terrore davanti al cielo diventato rosso come il sangue. Quell’urlo non deve rimanere inascoltato, monito per conservare la nostra divina umanità, unica, irriducibile, inesauribile, infinita. No, signor cannibale.
Roberto Pecchioli
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