A novembre, in città, le elezioni hanno un risultato peggiore del previsto, col 68% dei voti al partito Socialista e solo il 6% ad un “Blocco” nel quale sono confluiti anche i fascisti. Arpinati, che pure ha partecipato al Congresso di Firenze, resta estraneo alla campagna elettorale, e va invece a Milano, dove viene arrestato a seguito di un conflitto con gli avversari. Ad aprile dell’anno dopo, comunque, riprenderà il suo posto in linea, e le cose cambieranno.
Il sostanziale fallimento dello sciopero internazionalista non placa i bollori dei sovversivi bolognesi, che sempre più e con più convinzione guardano all’esempio sovietista.
La linea resta quella profeticamente fissata da Bombacci, il “Nazareno ossigenato”, come ironicamente lo chiama “Il Popolo d’Italia”, il quale, senza tema di ridicolo, ha affermato che “se, per un cumulo di contrasti imprevisti la rivoluzione non si farà il 20 e il 21 luglio, si farà al più presto, indubbiamente”. E, quindi, avanti, verso la dittatura del proletariato.
L’estremismo si afferma pure nelle definizioni, e la corrente “rivoluzionaria” del PSI cambia nome, per diventare “intransigente rivoluzionaria”, con il dichiarato obiettivo di arrivare alla totale “espropriazione capitalista”. Obiettivo che viene condiviso dalla corrente massimalista, riuscita vincitrice (834 voti, contro i 137 dei riformisti) al congresso cittadino.
Anche i popolari smaniano per un inversione di rotta che li porti “a sinistra”. Rinnegano la tradizione alleanza con i liberali, ai quali rinfacciano ora “inanità e insufficienza” nei presupposti teorici, e si orientano alla solitaria partecipazione alle prossime elezioni.
Poco è da dire degli altri protagonisti della scena politica locale. Liberali, radicali, repubblicani, si possono accomunare nella giusta definizione di “ultimi epigoni di un mondo che, nel bene come nel male,aveva dato tutto quello che poteva dare”, e non sembrano in grado di imporre una sterzata alla situazione.
Gli unici a manifestare qualche moderata volontà di rinascita sono proprio i primi, tra i quali si mette in luce, con la collaborazione al giornale “Libertà economica”, diretto da Alberto Giovannini, un giovane reduce destinato a farsi strada, sia pure in altro schieramento: Dino Grandi.
La resa dei conti è quindi affidata alle elezioni di novembre, in vista delle quali Partiti e movimenti di sinistra saldano i loro sogni di vittoria con il duplice richiamo a ciò che Lenin sta facendo ad Est e al presente nazionale che si palesa oscuro, per colpa di chi la guerra ha voluto. Da qui la generalizzata ripresa di toni antinterventisti che si credevano dimenticati.
L’obiettivo è quello di trasformare la competizione schedaiola in un processo alla guerra, che vuol dire processo alla borghesia che la guerra ha voluto.
Il non previsto effetto di questa impostazione è l’alleanza tra tutti coloro che –pur su differenti posizioni- per la partecipazione dell’Italia al conflitto si sono battuti nelle “radiose giornate”, per poi rivendicare, al termine del conflitto, l’orgoglio del sacrificio sostenuto e invocare i “diritti della vittoria”.
Il 12 ottobre si riuniscono rappresentanti dell’Associazione Nazionale Combattenti, dei vari Raggruppamenti “liberali”, dei Nazionalisti e del Fascio di combattimento, nel tentativo di varare una lista comune.
Tentativo che abortisce prima di nascere, perché i liberali, che sono gli unici ad avere una organizzazione clienteral-elettorale già rodata, si ritirano, non intendendo riconoscere ai nuovi venuti diritti pari ai loro.
Questi, però, non si danno per vinti, e già il 17 presentano una propria lista, denominata “Blocco delle forze nazionali”, nella quale compaiono fascisti (il già citato avvocato Dante Calabri e Vitichiando Vitali), repubblicani, social- riformisti e radicali (tra i quali Giulio Giordani), destinati a restare insieme, nonostante un tentativo in extremis dei liberali di romperne il fronte con un atteggiamento aperturista.
L’attiva presenza dei mussoliniani a queste iniziative (è Bergamo, in sostanza, a “dettare la linea” che, in nome della fedeltà alle ragioni del 1915, cerca alleanze con l’ex interventismo “democratico” e si mostra diffidente verso le avances liberali) non deve trarre in inganno.
Essi sono pochi, pochissimi, in una città che ancora non li conosce come spererebbero. Ad un’assemblea convocato il 29 agosto partecipano solo in sei, e procedono a riorganizzare il vertice, affidandone la direzione a Garibaldo Pedrini, Ufficiale in servizio, che è anche dirigente della Lega popolare antibolscevica, una delle creature dell’instancabile Zanetti, nel frattempo partito per Fiume.
Petrini non è certamente un politico di professione, e ci tiene a precisarlo già in una lettera a Pasella dei primi di agosto, quando il suo nome comincia a circolare:
Premesso che “praticamente” sono un fascista novellino, nel senso che non ho mai fatto parte di un Fascio, orientandomi di seguire il movimento sul “Popolo”, ed a scendere in piazza in tutte le occasioni, desidero che dal Comitato Centrale mi vengano inviati Statuti, Programmi, manifesti, nonché tutto quel materiale di propaganda che si crederà opportuno, perché, è doloroso confessarlo, Bologna è un centro completamente apatico che bisogna svegliare, a costo di adoperare le bombe a mano.
Inoltre, qui non ho nessun giornale che, pel suo colore, si presti ad una campagna fascista. Il “Carlino” è agrario, bolscevico, l’ “Avvenire” pretume fetente, resterebbe “Il Giornale del Mattino”, col direttore del quale, Pietro Nenni, non ho ancora parlato, ed al quale sarebbe bene che Mussolini scrivesse (credo che siano amici).
Ed il finanziamento del Fascio? (1)
Buona volontà di un “novellino”, come egli stesso si definisce, che ben presto dimostra di non essere fatto per le cose della politica.
Alla riunione del 26 settembre, che deve prendere le decisioni finali sull’atteggiamento del Fascio per le prossime elezioni, egli viene infatti sconfessato dai suoi. La proposta di includere, nella eventuale lista fascista, elementi della Lega Popolare Antibolscevica, alla quale lo stesso Pedrini appartiene, è respinta dall’assemblea, perché giudicati “conservatori”.
Non se ne farà niente, e allora, come già detto, i mussoliniani confluiranno nel “Blocco delle forze nazionali”, che ha caratteri “di sinistra”, per la presenza di repubblicani, radicali e social-riformisti, e sarà la fine politica dell’esperienza del Segretario Pedrini.
La riunione merita, però, di essere ricordata anche per un altro motivo. Ad essa infatti partecipa, ed è la prima volta (con ogni probabilità, perché dopo il 28 ottobre ci sarà qualche tentativo di intorbidare le acque con una retrodatazione della sua adesione al Fascio) Leandro Arpinati.
E’ un apporto importante, sia perché il personaggio è noto in città, prima per il suo passato anarchico, e poi per la sua battaglia interventista, sia perché egli porta in dote la personale amicizia con Mussolini, confermata, secondo le voci correnti, proprio nella agitata giornata del 24 maggio dell’anno prima, alla quale si è fatto cenno.
In quella occasione, il futuro Duce, riconosciuto tra i presenti all’inaugurazione del gagliardetto dei mutilati il suo vecchio compagno di lotte, gli avrebbe detto: “Dunque, Leandro, sei con me?”, ricevendone una risposta pienamente in carattere col personaggio: “Sono e sarò con te”.
Questa la versione che circola in città e negli ambienti fascisti, con tale credibilità che egli viene subito scelto come rappresentante del Fascio bolognese al prossimo Congresso Nazionale indetto per il 9 e 10 ottobre a Firenze.
Nella città toscana assiste con interesse ai lavori congressuali ed al confronto delle idee che si manifesta in assemblea, soprattutto tra chi –Mussolini in primis- continua a ritenere preferibile un’alleanza elettorale con gli ex interventisti “democratici” e chi, con Michele Bianchi portavoce, è più propenso a non mettere barriere, e valutare le situazioni caso per caso.
Non sappiamo di un suo intervento, e se quindi non possiamo dire se ha modo di mettere in mostra quelle capacità, carismatiche più che oratorie, che costituiscono la sua vera arma vincente:
Leandro Arpinati non fu soltanto un uomo di azione e di un coraggio incredibile, mai disgiunto da una generosità non meno incredibile, e che veniva dal fondo dell’anima.
(…)
Egli era uno di quegli uomini che appartengono per natura alla categoria dei dominatori. Si tratta di qualità che non hanno nulla a che fare con l’intelligenza e con la cultura, e che sono proprie della volontà, del carattere, del temperamento, della “stoffa umana”. Uomini di altissimo sapere, messi in una riunione, non esercitano nessuna “autorità”, anche se sono, giustamente, rispettatissimi, mentre altri, a prescindere dal livello mentale e da ogni dote di cultura, dopo dieci minuti sono già al tavolo della presidenza, e si impongono e sono accettati ed acclamati come tali. Arpinati era di costoro. (2)
Si mette sicuramente in luce –in linea con la sua natura tempestosa, che non ama le mezze misure- nelle numerose zuffe che accompagnano lo svolgimento dei lavori, tra i socialisti locali che sono decisi ad impedirli e i fascisti che intendono difendere le loro buone ragioni.
Anche per questo, quando, al termine delle giornate congressuali, Mussolini decide di tornare in auto a Milano, a causa delle ricorrenti voci di un attentato ai suoi danni, da effettuarsi in treno, viene scelto, con Guido Pancani e Gastone Galvani, a far parte della scorta.
Alle porte di Faenza l’auto, probabilmente per l’eccessiva velocità, finisce contro un passaggio a livello e gli occupanti, lui compreso, restano feriti.
Non è cosa che possa fermarlo. Nelle settimane successive sarà a Milano, a proteggere la campagna elettorale fascista, insieme a volontari provenienti da varie parti d’Italia e Legionari inviati da d’Annunzio.
Tra essi, una folta rappresentanza di romagnoli, ravennati e forlivesi in particolare, in gran parte legati da vecchia conoscenza e salda amicizia a Mussolini, come quattro anni dopo ricorderà il Capitano forlivese Mario Santarelli che li guida in piazza Belgioioso, all’unico comizio fascista milanese:
Mussolini romagnolo serba per i figli della sua terra il posto di prima linea.
“Voglio i miei romagnoli intorno a me come guardia d’onore e come pattuglia della morte” dice Mussolini guardando coi suoi occhi di fuoco negli occhi del… capobanda. Il quale, orgoglioso e fiero di tanto onore, risponde per sé e per i suoi fidi: “Presente!”. I romagnoli lo attorniano. Sale su un camion…..
Infine Mussolini chiude il comizio inneggiando ad un’Italia migliore, ad un regime di popolo. Da per tutto alalà poderosi a Mazzini, a Mussolini, a d’Annunzio, a Fiume italiana.
Si forma un corteo. In testa Mussolini stretto tra i suoi romagnoli. (3)
È una testimonianza importante, perché conferma quello specialissimo legame che sempre legherà il futuro Duce alla gente della sua terra, e che nell’amicizia per Arpinati troverà una significativa conferma, al punto che, anni dopo, Giovanni Giuriati, segretario del PNF ricorderà ancora il piglio “del padrone” col quale il vecchio anarchico si rivolgerà, unico fra i gerarchi, al nuovo Duce.
Anche nel capoluogo lombardo il bolognese avrà modo di mettersi in mostra. “Comandato”, il 13 novembre, a proteggere un comizio a Lodi, dove i sovversivi –che ne hanno già impedito uno- sono particolarmente minacciosi, al termine di un conflitto a fuoco nel teatro Gaffurio, sarà arrestato e resterà in carcere per 46 giorni.
In questo periodo si salda il suo legame con Mussolini, testimoniato, per esempio , dal telegramma che il direttore de “Il Popolo d’Italia” indirizza, il giorno 16, a Rina Guidi, la sua fidanzata: “Leandro è stato arrestato fatti Lodi. Confido sua prossima scarcerazione”….e non è cosa che egli farà per gli altri carcerati.
Con lui, da Bologna, è venuto (e finirà in carcere anche lui) un altro giovane, ancora pressocchè sconosciuto, ma destinato a sicura fama nell’ambiente fascista –e non solo- cittadino: Arconovaldo Bonacorsi.
Ne ricaverà sette mesi di carcere preventivo, che però non comprometteranno il carattere esuberante e gioviale, se dobbiamo credere ad Asvero Gravelli, suo compagno di prigionia, che così lo ricorderà:
Quale incanto di malinconia nei cuori lasciavano il motivo e le parole (si riferisce alle tristi canzoni carcerarie di cui ha parlato prima ndA), ma ecco, allora, la voce di un forte, la voce potente di Arconovaldo Bonacorsi, lo stornellatore, che s’alzava a far udire le sue ultime composizioni. Versi con riferimenti particolari ai secondini ed al giudice.
Ecco una sua canzone, che inquadra, nelle semplici parole, lo spirito di allora. Occorre sia resa nota, intatta, senza correzione alcuna. C’era, in questo, una sensibilità profondamente rivoluzionaria. Erano mesi e mesi di galera per troppo amore alla Patria. Tempi che nessun compenso ha premiato
“Rinchiusi nella cella / umida tetra angusta
La gioventù più bella / l’amor di Patria gusta
Perché l’amor di Patria /oggi delitto è
Quando nella trincea / pel nostro suol pugnando
Difendevamo intrepidi / contro l’estraneo brando
Ci disse il Re: l’Italia / chiede da voi l’onor….” (4)
Versi semplici e rime discutibili, cantate con quella la stessa “voce potente” che lo renderà ben presto noto in tutti i caffè cittadini, dove entra –spesso accompagnato dal fratello Aspromonte- con fare spavaldo, e intima: “Tutti in piedi, giù i cappelli e gridare: Viva Mussolini”.
Arpinati, Bonacorsi, “Peppino” Ambrosi, Gino Baroncini, Augusto Ragazzi e gli altri che cominciano a infoltire le schiere fasciste a Bologna e in provincia, non sono uomini da spaventarsi per le minacce di carcere, così come non si arrendono (anzi, con maggiore sicurezza pretendono di dire la loro) di fronte alle difficoltà che, su un piano politico, il movimento incontra in città.
E infatti, il 15 ottobre, l’assemblea destituisce il buon Pedrini (che si è vantato con Milano, pochi giorni prima, dell’iscrizione di alcuni liberali) ed nomina al suo posto Mario Sarti, di provenienza anarco-sindacalista. Nel direttorio entra anche Arpinati, mentre dal movimento escono gli elementi nazional-liberali, precedente Segretario in testa.
Le elezioni hanno un risultato che va anche oltre le peggiori aspettative. Al PSI vanno il 68% dei voti, al PPI il 18% e ai liberali l’8%. I combattenti non arrivano al 6%.
È la vittoria dei “caporettisti”, festeggiata con cortei e manifestazioni, che, se conferma la forte presenza sovversiva, sancisce insieme la capacità di penetrazione del nuovo arrivato Partito clericale, mette anche la parola fine alle velleità liberali, e condanna infine, come incapace di incisività, l’azione di ex combattenti e fascisti.
Bergamo, che sostituisce Arpinati in carcere a Lodi, interviene a Milano alla riunione nazionale di fine novembre per fare il punto della situazione e conferma la volontà di lotta, con una manifestazione di buona volontà –e sarà l’ultima- nei confronti dell’avversario socialista che si augura abbia voglia di superare “l’involucro dei rancori e delle speculazioni” per realizzare la rivoluzione che non potrà non essere figlia della guerra.
È una chiara e forte manifestazione di intenzioni collaborative che nessuno raccoglie, prefigurando così la condanna del Fascio alla crisi interna di uomini e attività, a somiglianza, in verità, di quanto sta accadendo in molte altre parti d’Italia.
I già pochi aderenti diventano pochissimi, e l’incertezza sulla linea da seguire regna sovrana, provocando sbandamento tra gli iscritti, che da un canto sono facili vittime della fascinosa attrazione di Fiume, dove molti si recano, per periodi più o meno lunghi e dall’altro diventano ostaggi delle dure necessità del vivere quotidiano.
Anche Arpinati, finalmente scarcerato, vive questa situazione, e ne fa fede una sua lettera a Pasella, del 13 gennaio 1920:
Quando fui arrestato a Lodi, avevo in tasca, come ti dissi, 150 lire, che in carcere consumai. Tu mi dicesti di scriverti subito da qui, per chiederne il rimborso. Non lo feci, perché speravo di poterne fare a meno. Invece, non sono ancora riuscito a farmi riassumere in servizio….e, per quanto questo possa farmi onore, non fa certo piacere alle mie finanze completamente rovinate. Bolletta dura insomma. Se fosse possibile riavere quel danaro in questo momento mi farebbe comodo. …
Se non sarà possibile, non ti preoccupare troppo.
Viva l’Italia lo stesso, viva i Fasci…evviva i fascisti arrestati a Lodi (5)
Risolti i suoi problemi con le Ferrovie, a metà aprile del 1920, viene comunque nominato dal Comitato Centrale responsabile per l’Emilia orientale, per poi essere eletto, al secondo Congresso di Milano, nel Comitato Centrale, al posto di Bergamo, che si è allontanato dal movimento.
Inizia così una nuova fase nella vita del Fascio bolognese che, sotto l’impulso del nuovo capo, presto diventerà protagonista assoluto nelle strade cittadine, dalle quali scaccerà il prepotente avversario di ieri, per poi assumere un ruolo guida nell’intero contesto nazionale, e diventare punto di riferimento, per il mondo dello squadrismo, a fine anno con la nascita de “L’Assalto” e, nella infuocata primavera del 1921, con la ferma battaglia contro il Patto di Pacificazione.
Ma questa è un’altra storia….
NOTE
- In: Nazario Sauro Onofri, La strage di palazzo d’Accursio, Milano 1980, pag 78
- Mario Missiroli, nella Prefazione a: Giancarla Cantamessa Arpinati, Arpinati mio padre, Roma 1968, pag. 11
- Emilio Santarelli, L’adunata dei volontari e degli Arditi, in “Il Nuovo paese”, 15 novembre 1923, pag. 4
- Asvero Gravelli, I canti della rivoluzione, Roma 1934, pagg. 174
- In: Brunella Dalla Casa, Leandro Arpinati un fascista anomalo, Bologna 2011, pag. 379
FOTO 1: cartolina inviata dai carcerati di Lodi
FOTO 2. un giovane Arconovaldo Bonacorsi
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