18 Luglio 2024
Damiano Biondieri Educazione Scuola

Per un futuro delle istituzioni educative

di Damiano Biondieri

 

 

‘Attualmente l’educazione è un compito specializzato e problematico.

Una società gerarchizzata, invece, educa spontaneamente’.

N. Gómez Dávila

 

Queste sparse righe, vergate da un apolide la cui patria risponde a un ‘modello fissato nei cieli’,  possiedono tutta la franchezza (e la freschezza) garantita dallo schermo pseudonimico e nascono da una promessa che mi ero fatto da tempo, quella di affrontare il delicato tema dell’educazione e della ‘scuola’. Tema considerato, per motivi nebulosi o per lunga tradizione repubblicana, ‘di sinistra’ (di fatto, a furia di reiterare il concetto, i tre quarti dei docenti hanno finito sul serio con l’essere e sentirsi automaticamente di sinistra). Strano, a mio modesto avviso, visto che l’Educazione potrebbe, e forse dovrebbe, essere  affare ‘di destra’. Perché quest’ultima abbia abbandonato il campo, resta un mistero. E non solo la ‘destra’ ‘istituzionale’ che non esiste da tempo immemorabile, ma anche quella, con la evoliana ‘D’ maiuscola, che sopravvive, resistendo, in alcune plaghe isolate e atipiche.

Alle presenti, misere note, dovrò però anteporre, come in una sorta di bizzarro iceberg rovesciato, una serie di precisazioni e avvertimenti.

Innanzitutto, il titolo dato a queste sparse considerazioni riprende un noto scritto di Nietzsche, riecheggiato anche in una recente riflessione di A. K. Valerio, alla quale va senz’altro il merito di aver ricordato alla ‘destra’ che un simile argomento esiste [1]. Il titolo del presente scritto esprime dal canto suo la speranza che, in futuro, ci siano delle istituzioni educative e perciò potrebbe essere letto anche così: ‘Affinché ci siano, in futuro, delle istituzioni educative’. Proprio per cominciare dall’inizio, bisognerà subito precisare come un titolo simile, in Italia, nasca già in parte falsato. L’Italia infatti possiede un Ministero dell’Istruzione (Università e Ricerca, orwellianamente acronimizzato in Miur) ma non un Ministero dell’Educazione. Sullo squallore del termine ‘istruzione’ non si è riflettuto abbastanza ma se, come insegniamo tutti i giorni agli studenti, non esistono due sinonimi perfetti, si intuisce che non è affatto lo stesso.

Una seconda considerazione preliminare ci porta a suddividere queste note almeno in due parti: la professione dell’insegnante (educatore?) e il compito dell’insegnante.

Per quanto attiene la prima parte, posso tranquillamente affermare che, considerato il valore oggi attribuito ad esso dall’alto e dal basso, mi sentirei senz’altro di cambiare mestiere, se non fossi troppo vecchio per cercarne un altro e troppo giovane per la pensione.

Dall’alto esso è stato difatti bersagliato e affossato, in settant’anni di repubblica, da tutti coloro che si sono insediati sullo scranno dello sciagurato ministero, prima indossando le vesti di bislacchi scaldapoltrone, poi quelle di tragici pagliacci.

Dal basso, esso è stato travolto dal vortice dell’uomo-massa, del ‘tutti possono dire tutto su tutti’. Appare perfettamente normale, dunque, chiedere al benzinaio o al pescivendolo all’angolo cosa ne pensi del lavoro di un professore e quante ore debba questi lavorare. (Allo stesso modo, sia detto per inciso, il salumiere potrà sindacare dell’architetto, e viceversa, o il panettiere deciderà dell’anestesista, e viceversa. Il che fa rimpiangere, e non poco, la buona vecchia idea delle corporazioni). Il tutto condito da un’aura di vago e diffuso ribellismo fine a sé stesso che aleggia ovunque e che sembra far parte di un generale rivolgimento contro qualsiasi figura di autorità, dal controllore ferroviario all’arbitro di calcio.

Anche per questo, sarebbe bello se la scuola fosse rimasta alla didattica ‘tradizionale’ (quella che, ad esempio, è presupposta nello scritto della Valerio), con gli studenti che studiano e imparano tutto quel che si insegna loro. Ma i tempi, da dieci-quindici anni a questa parte, sono profondamente mutati. Forse da quando qualcuno ha creduto che la scuola debba insegnare l’utile, debba ‘promuovere’ ‘competenze’ e non conoscenze, o che fare girotondi sia più istruttivo e creativo che studiare l’ortografia.

Per sapere come stiano realmente le cose, non bisogna assolutamente far riferimento a qualche magniloquente pedagogo e men che mai agli scritti occasionali di qualche blasonato intellettualoide:  a gente, cioè, che ha messo piede in una scuola l’ultima volta nel giorno dell’esame di maturità.

Nessuno ha il polso della situazione, invece, come coloro che scendono in trincea tutti i giorni. Bastino, autentici fari nella notte, la Mastrocola, per i licei, e Perboni, per i tecnico-professionali. I dati d’altronde, anche recentissimi, parlano (gridano?) chiaro: l’Italia ne esce con le ossa rotte e le università, degradate ormai a tragica parodia, sono costrette a prostrarsi su livelli vergognosi, quando non a organizzare corsi di grammatica e ortografia. Colpa degli insegnanti? No, stavolta no: colpa del sessantottismo e dell’antinozionismo, dei donmilani e dei giannirodari, della scuola creativa e dell’imparare divertendosi. Chi ha voluto studenti scevri da nozioni, adesso li ha.

Uno dei colpi più pesanti inferti alla scuola è stato proprio il ‘mito’ dell’’utile’, che ha affossato i pilastri gentiliani che hanno retto la scuola per decenni. A cosa servono il corno di Orlando e le derivate? A cosa le subordinate concessive e la squadratura del foglio? A cosa una parafrasi della Comedia o l’incoronazione di Carlo Magno?

Gentile, invece, sosteneva che in quella schuléche vuol dire, tra l’altro, ozio, non si dovesse insegnare l’utile, quanto l’inutile. E perché sia doveroso (e necessario) insegnare l’inutile e l’ozioso non andrebbe certo chiarito a una platea ‘di destra’. (Per quanto concerne lo scrivente, una vocina gli ricorda che è meglio aver mandato a memoria le gesta di Orazio Coclite e Muzio Scevola che aver imparato a costruire un plesiosauro di cartapesta o a fare il calco del deretano di un homo abilis).

L’intero discorso, del resto, va inquadrato in fenomeni più ampi, quali quello dell’avvento dell’uomo-massa preconizzato da un Ortega-y-Gasset,  al cui dilagare vanno ricondotti molti dei problemi innanzi ricordati. Nell’evo del televoto e di Wikipedia, del sapere condiviso e del ‘tutti possono dire tutto su tutti’, non solo non meraviglia nessuno se un quindicenne sostiene che Ariosto sia noioso quanto inutile o che Kafka abbia scritto la ‘Metamorfosi’ in preda all’hashish, ma appare del tutto normale che ad essi si affianchino i genitori o qualche pedagogo illuminato.

Il discorso potrebbe essere ancora lungo, ma il punto è: bisogna decidere,  va fatta una scelta. Educare la massa? O avviarla al lavoro di zappa? Prevedere, come nella visione gentiliana, due stili educativi diversi, uno per le masse e l’altro per le élites che devono guidarle?

Forse le istituzioni educative, quando e se un giorno ve ne fossero, dovrebbero porsi il problema di come far sì che la scuola e il sapere tornino a segnare una distanza, fatta di studio e sacrificio, alla quale ambire. Il contrario della strada che si è imboccata. Proprio come si fa oggi con i bambini, inappetenti perché troppo satolli, la scuola-mamma preferisce infatti sminuzzare la bistecca e imboccare il pargoletto. Con ogni probabilità la scuola chioccia-psicologa-assistente sociale si ricollega ad uno stile donnesco dell’insegnamento che ormai ha prevalso, come già da qualcuno stigmatizzato [2].

«Si ha che fare con ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza anche fisica, di concentrazione psichica su determinati soggetti, che non si possono acquistare senza una ripetizione meccanica di atti disciplinati e metodici». Riflessioni, scritte da Gramsci, ma che non sfigurerebbero se riprese da una ‘destra’ che invece, misteriosamente e inspiegabilmente, ha abbandonato il campo.

 

 Note
1. http://www.edizionidiar.it/cultrura/sullavvenire-delle-vostre-scuole.html
2. A. D’AVENIA, Onore ai maestri c’è grande bisogno di loro, La Stampa, 16.03.12. Ripreso da B.M. DI DARIO, Educazione alla deriva, http://bmdidario.altervista.org/appunti-e-contrappunti/educazione-alla-deriva

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