Vediamo di approfondire e completare il discorso sulla critica fantascientifica che abbiamo già visto nella quattordicesima e nella quindicesima parte, con l’occhio soprattutto alla situazione italiana dove la connessione fra i generi fantastici e fantascientifici e le tematiche politiche sono particolarmente sentiti. Come ricorderete il famoso articolo pubblicato dal giornalista Remo Guerrini sulla rivista “Robot” nel 1978 probabilmente non creò ma mise in luce una profonda spaccatura che esisteva su queste tematiche nel cosiddetto fandom, nell’ambiente degli appassionati. Noi abbiamo visto nella quattordicesima parte il “lato sinistro” e nella quindicesima il “lato destro” della questione, e forse più che di lati, sarebbe il caso di paragonarli ai bordi di una faglia, perché – diciamolo – in mezzo c’è ben poco. Oggi sicuramente il dibattito, il confronto, spesso tutt’altro che signorile, appare attutito rispetto a come si presentava negli anni ’70 e ’80 del XX secolo, quando sulla scia degli eventi sessantotteschi le contrapposizioni si presentavano in termini molto accesi, ma basta scavare un poco per accorgersi che esse ci sono ancora. Vi posso citare al riguardo un episodio che risulta molto illuminante. Qualche anno fa (saranno stati cinque o sei, difficile che siano di più) un curatore notoriamente di sinistra cercava dei racconti per un’antologia sul tema fantascienza e musica. Gliene mandai uno (In silenzio, poi pubblicato nella mia antologia I mondi di domani, Edizioni Scudo), che era un attacco contro la melomania imperante in Italia ma non solo in Italia, dove si spiegava che il continuo bombardamento di stimoli musicali a cui siamo quotidianamente sottoposti, è una misura di controllo del sistema sulla popolazione, serve a creare mentalità capaci di reagire solo agli stimoli immediati, e non di pensare con una certa profondità.
Il racconto mi fu – ovviamente – respinto, ma questa è la cosa interessante, non sulla base di considerazioni di trama o stilistiche ma, a parere del suddetto curatore, perché di musica non parlava affatto. Fate voi: questi sono ancora fissati sulla presunta trasgressività della musica, hanno ancora in testa Woodstock, “sesso, droga e rock and roll”, come se non fosse evidente che la produzione musicale è da tempo inserita in un mercato totalmente mercificato dove non esiste nulla di spontaneo. Ora noi potremmo anche pensare che questo sia tipico dell’Italia, un Paese dove il confronto politico raggiunge una particolare faziosità, ma probabilmente sbaglieremmo. Ultimamente mi è capitato di rileggere Passaggio alle stelle, romanzo di Vonda McIntyre, una delle più celebrate autrici femministe. Qui un’astronave interstellare fugge precipitosamente per sfuggire al tentativo dei soliti militari cattivi di impadronirsene per trasformarla in una base militare spaziale, dopo che questi ultimi le hanno lanciato contro pure un missile a testata nucleare. L’astronave stessa e il suo equipaggio sembrano una comunità hippy dove c’è gente che coltiva rose e altra che alleva pony, ma soprattutto tutti appaiono impegnati ad avere rapporti sessuali come criceti, etero e omo, di coppia, di trio e di gruppo. Non manca neppure chi percepisce l’aura e tutto il ciarpame New Age.
Il libro è del 1994, quindi ben posteriore alla caduta del muro di Berlino che avrebbe dovuto dimostrare il globale fallimento dell’ideologia “rossa”, è permeato da un’asfissiante atmosfera tipica di vent’anni prima, dei tempi della guerra del Vietnam, ma l’ideologia ha il potere di sostituirsi alla percezione della realtà, di non permettere di imparare niente da essa. Oltre tutto, già l’impresa lunare del 1969 avrebbe dovuto dimostrare che solo per raggiungere il nostro satellite sono stati necessari gli sforzi del potere pubblico della maggiore potenza planetaria, figurarsi un’astronave interstellare in mano a un’iniziativa privata e caoticamente anarcoide. Comunque, un fatto risulta molto chiaro: gli appassionati di fantascienza e del fantastico, tralasciando coloro che hanno un approccio occasionale a queste cose (tipo chi si legge un “Urania” per “coprire” senza annoiarsi un’ora di viaggio in treno) sono politicamente più polarizzati “verso destra” o “verso sinistra” della popolazione generale (tralasciamo ora un’esegesi dei concetti di destra e sinistra).
Il motivo di ciò non è difficile da intuire, l’aveva spiegato molto bene un bravo autore e saggista di fantascienza, Vittorio Catani, in un articolo apparso parecchi anni fa sulla sua fanzine “THX 1138” (questa testata enigmatica per i “non addetti ai lavori” si rifà al titolo originale – che è poi la sigla-nome del protagonista – del film di George Lucas L’uomo che fuggì dal futuro). La letteratura, spiegava, nasce dall’insoddisfazione e dal disagio. E’ possibile che se un autore si dedica alla letteratura fantastica e/o fantascientifica il suo disagio e la sua insoddisfazione siano maggiori rispetto a chi opera in altri campi, e questo lo si vede bene ad esempio dalla quantità di utopie e di distopie prodotte dalla fantascienza, di futuri che si vorrebbero realizzare o invece esorcizzare. E’ chiaro che quando si arriva sul terreno politico, questa insoddisfazione orienterà verso scelte radicali di riforma o palingenesi sociale in un senso o nell’altro, laddove il moderatismo politico è forse tipico delle persone passabilmente soddisfatte.
Detto questo, però, “in mezzo” non c’è proprio nulla che valga la pena di nominare o possa offrirci il destro per approfondire la nostra analisi? Forse qualcosa c’è. Negli anni ’80 la casa editrice Nord, allora probabilmente la più importante casa editrice specializzata in fantascienza, decise di creare una rivista di narrativa e critica i cui numeri riprendevano il formato volume libro anziché quello tipico di una rivista, perché considerato più facilmente vendibile, una rivista da libreria e non da edicola, che si chiamava “La collina” (Il nome della testata era ispirato al titolo di un saggio di Edgar Pangborn, Il mondo oltre la collina, dove questo saggista americano spiegava l’idea che il fantastico affonda le sue radici nell’epoca in cui gli uomini conoscevano solo due tipi di realtà, il villaggio e i suoi immediati dintorni, e il mondo oltre le colline, il fuori, la foresta, che in mancanza di conoscenze la fantasia popolava di meraviglie e terrori).
Nonostante l’impegno profuso dalle edizioni Nord, questa rivista la cui direzione fu affidata a Inisero Cremaschi, non andò oltre il quinto numero. Dal punto di vista politico, come era nello stile della Nord il cui editore, Gianfranco Viviani, “non voleva grane” di quel tipo, “La collina” quanto meno simulava un’imparzialità super partes. In concreto, Cremaschi apparteneva a una variante della sinistra allora minoritaria e oggi diventata assolutamente dominante a causa della scomparsa di quella apertamente “rossa” operaista e sovietizzante, vale a dire la sinistra “al caviale” radical-chic. Nonostante l’approccio “soft”, Inisero Cremaschi ebbe uno scontro piuttosto vivace – è indovinate un po’ – con Fabio Calabrese, ed è probabilmente una storia che merita di essere raccontata. In quegli anni negli Stati Uniti era in corso una specie di rivolta interna degli autori di fantascienza contro il genere fantascientifico stesso. Costoro si erano resi conto di vendere e guadagnare di meno dei loro colleghi che si occupavano di letteratura generalista (mainstream, “corrente principale” si dice negli USA), e attribuivano il loro minor successo al fatto che i loro libri apparivano in collane di fantascienza e/o portavano l’etichetta “fantascienza” stampigliata in copertina (o meglio, all’inglese Science Fiction), sorse così la tendenza a sostituire “Science” con “Speculative” Fiction.
Da tre quarti di secolo a questa parte, tutto quello che avviene negli Stati Uniti trova pronti imitatori da noi, anche se in questo caso mancava completamente lo scopo, perché in Italia, eccezion fatta per i nomi più grossi e reclamizzati, a meno di non essere un Alberto Moravia o un Umberto Eco, nessuno vende abbastanza copie dei suoi libri, fantastici-fantascientifici o meno, da poter campare scrivendo narrativa. In questo caso, l’imitatore era proprio Inisero Cremaschi che aveva deciso sulle pagine de “La Collina” di tradurre Speculative Fiction con “neofantastico”, termine che come surrogato di fantascienza trovai orribile, e lo scrissi apertamente in un articolo su “THX .1138”. Il risultato fu una furibonda telefonata di Cremaschi a Vittorio Catani (che come editore della fanzine aveva una responsabilità molto relativa) che, appena alzata la cornetta, si sentì riempire di improperi e insulti senza avere nemmeno il tempo di capire il perché. Una cosa che dovevo ancora imparare a fondo, è che questi radical-chic sono tutti senza eccezioni tipi molto suscettibili con l’implicita convinzione di essere dei padreterni. Non ho mai capito perché, invece di prendersela con l’incolpevole Catani, Cremaschi non si sia rivolto a me: aveva il mio numero di telefono e l’indirizzo di posta (a quei tempi non c’erano le e.mail), perché nel 1978 avevo partecipato col mio racconto Sheila all’antologia Universo e dintorni da lui curata per la Garzanti. L’avesse fatto, e in termini civili, avrei forse potuto spiegargli che non intendevo giudicare orribile né il materiale narrativo apparso su “La Collina” né il suo lavoro di curatore, ma esclusivamente il termine “neofantastico” come surrogato di fantascienza.
Soprattutto, mi parve che “neofantastico” non facesse altro che annacquare i contenuti del genere fantascientifico nel tentativo di dargli una “dignità letteraria”, cosa di cui mi pare non ci sia molto bisogno in un Paese dove il fantastico viene perlopiù interpretato sulla base della triade Calvino-Buzzati-Arpino, a cui al massimo si aggiunge – ben che vada – Landolfi, e in cui soprattutto la propensione alla lettura di libri, fantastico-fantascientifici o meno, rimane una tendenza “di nicchia”. A questo riguardo, si possono aggiungere un paio di cose: prima di tutto che il movimento della Speculative Fiction negli Stati Uniti è progressivamente rientrato, man mano che gli autori implicati si sono resi conto che togliere la dicitura Science Fiction dalle copertine dei loro libri non serviva a incrementare le vendite, anzi produceva l’effetto inverso, perché questi testi finivano per essere evitati anche dal pubblico minoritario ma affezionato dei lettori di fantascienza. Quanto al neofantastico italiano, è semplicemente sparito insieme a “La collina”. La seconda cosa da aggiungere è che anni dopo ebbi modo di leggere la Guida alla fantascienza di Isaac Asimov, e il piacere di constatare che il “buon dottore” non si era espresso riguardo alla Speculative Fiction in termini più gentili di quelli usati da me. Ad esempio, faceva notare che Science Fiction è spesso abbreviata in Sci-Fi. Se sostituiamo Science con Speculative, diventerebbe Spe-Fi, in pratica uno sputo.
Spesso si sente dire che la fantasia eroica è “di destra” e la fantascienza è “di sinistra”. Si tratta di un’opinione che io non condivido se non in una misura molto parziale. Se prendiamo ad esempio i romanzi di Tolkien (ma questo discorso non vale per tutti gli autori di heroic fantasy), troviamo un sottofondo di valori e concetti tradizionali incompatibili con una mentalità di sinistra: una conoscenza di tipo sapienziale, un’etica cavalleresca basata sui principi di fedeltà e onore, un senso sacrale dell’esistenza, la contrapposizione tra bene e male percepita in termini netti che non ammettono compromessi. Quanto poi tradizionalismo e destra siano termini sovrapponibili, in realtà è un discorso completamente diverso nel quale ora non vorrei entrare. Ma che la fantascienza sia “di sinistra”, questo è tutto un altro paio di maniche. Senz’altro è impossibile collocare “a sinistra” opere come Fanterie dello spazio di Robert Heinlein, o tanto meno la feroce dissacrazione dell’utopia comunista operata da George Orwell in 1984. Diciamo tuttavia che quella che vi ho sbrigativamente citato è perlopiù l’opinione corrente. Un’idea esattamente opposta fu espressa da Antonio Scacco che attribuiva la fantascienza “a destra” e la fantasy “a sinistra”. Ma chi è Antonio Scacco? Un docente dell’università di Bari che ha cercato di crearvi una cattedra di fantascienza e perlomeno laureato diversi studenti con tesi sulla fantascienza, è stato autore, insieme con Vittorio Catani ed Eugenio Ragone di un libro di saggistica sull’argomento, Il gioco dei mondi, ha creato e diretto una fanzine, “The Future Shock” alla quale ho collaborato anch’io fino a quando certe differenze di impostazione ideologica e culturale non sono diventate fin troppo evidenti.
Per capire il senso della posizione espressa da Scacco riguardo alla fantascienza e alla fantasy, io penso che la sua concezione politica-ideologica-culturale possa essere riassunta in tre parole: cattolica, conservatrice, atlantista, cioè proprio un esponente di quel tipo di destra che ci spinge a pensare “Ma allora le nostre idee sono tutto meno che di destra!” Nel contesto di questa mentalità, si capisce bene l’attribuzione “a destra” della fantascienza, essa fa tutt’uno con l’ammirazione del progresso scientifico e tecnologico “made in USA”. Naturalmente, ed è il caso di sottolinearlo, capire un punto di vista non significa essere d’accordo con esso. La missilistica moderna, lo sanno anche i sassi, è nata in Germania, nell’isola baltica di Peenemunde, il Saturno 5 che ha portato gli uomini sulla luna, e tutti gli altri missili che hanno sfrecciato attraverso i cieli negli ultimi tre quarti di secolo, portando nello spazio satelliti ed esseri umani, sono figli, nipoti e pronipoti della V2 tedesca della seconda guerra mondiale, e i programmi spaziali americani ben pochi passi avrebbero potuto fare senza Werner Von Braun, ma in generale tutti i progressi scientifici e tecnici che si sono verificati e si verficano negli Stati Uniti sono dovuti a immigrati europei, soprattutto a partire dagli anni ’60 quando il livello dell’istruzione superiore fu drasticamente abbassato per permettere ai ragazzi di colore di arrivare al diploma.
Per quanto riguarda la fantascienza, avviene un po’ la stessa cosa: a parte il fatto che essa nacque come genere distinto e riconoscibile per opera di un immigrato lussemburghese, Hugo Gernsback, quasi tutti gli autori importanti del genere sono immigrati di prima o seconda generazione. E la fantasy, Scacco la colloca a sinistra solo per un discorso di simmetria? Per la verità, questa idea di una “fantasy di sinistra” qualche pezza d’appoggio la troverebbe. Negli anni ’70 Il signore degli anelli diventò una specie di bibbia degli hippie californiani, costoro interpretavano la lotta dei protagonisti contro l’oscuro potere di Sauron come rifiuto anarcoide di qualsiasi forma di potere. Era, superfluo dirlo, una lettura del tutto scorretta e falsata dell’opera di Tolkien, dove invece al potere brutale di Sauron basato sulla forza si contrappone il potere legittimo nella doppia forma sacrale incarnata da Gandalf e civile e militare incarnata da Aragorn (nello spirito della tradizione indoeuropea, bisogna dire). A intorbidare le acque, poi ci si sono messe le autrici femministe, Ursula Le Guin, Marion Zimmer Bradley e svariate altre.
Per capire però quanto costoro siano lontane dal genuino spirito del genere, basta considerare l’odio (parlare di avversione è troppo blando) che costoro hanno dimostrato verso l’altro grande della heroic fantasy, Robert E. Howard, da loro considerato l’epitome del maschilismo, e il suo eroe, il barbaro Conan. Io pubblicai diversi anni fa sulla rivista “La soglia” un articolo in difesa di Conan di cui vi consiglierei la lettura, dovrebbe essere reperibile on line. In realtà, Scacco, prigioniero di una visione rigidamente progressista-scientista fa coincidere il concetto di fantasy con quello di anacronismo. Esplici come nel caso di Tolkien, sottintesi in quello di molti altri, l’heroic fantasy contiene elementi di pensiero tradizionale, ma tradizione non significa anacronismo, bensì principi atemporali cui è possibile rifarsi in qualsiasi momento storico, e assolutamente incompatibili con una concezione di sinistra.
Io ho l’impressione che Scacco abbia avuto un’intuizione importante, ma l’abbia resa in modo distorto: la sinistra è anacronistica, e lo era già ben prima della caduta dell’Unione Sovietica nel 1991. Già allora la pretesa dei “compagni” di essere progressisti, come spesso si definivano (e continuano a definirsi) era infondata e ridicola, se pensiamo che da almeno vent’anni praticamente tutta l’innovazione scientifica e tecnologica di cui potevano disporre i Paesi comunisti dipendeva da ciò che il KGB riusciva a rubacchiare in Occidente. Il comunismo si dimostrava un grande distributore di oppressione e miseria ma anche di sterilità intellettuale. Marx ha scritto: “Il mulino a braccia ci da il sistema feudale, il mulino a vapore ci da il sistema capitalistico”. Prescindiamo dal fatto che nell’epoca feudale si usavano mulini ad acqua e a vento, e che per tornare alle mole a mano bisogna risalire al neolitico. Il problema è che “i compagni” sono rimasti all’epoca del mulino a vapore, a quella di un generale pauperismo delle società occidentali. Credono di essere progressisti, ma in realtà hanno la testa girata all’indietro di centoottanta gradi.
Fabio Calabrese