Alessandro Orlandi ci offre, nel suo ultimo testo “Genius Familiaris, Genius Loci, Eggregori e forme pensiero-Culto degli antenati nel mondo antico e trasmissione iniziatica”, un interessante parallelo tra quella che, a prima vista, potrebbe sembrare materia di stretta appartenenza all’ambito storico-religioso romanistico, rappresentata dalla tematica delle divinità minori di ambito familiare della religio romana, quale appunto il Genius Familiaris ed il Genius Loci, annesso all’intero ambito del culto degli antenati ed il problema della trasmissione iniziatica, a sua volta connesso con quello delle cosiddette “Eggregore” o “forme-pensiero”. Un testo non lungo ma che, in linee brevi e concentrate, riesce ad offrire al lettore una panoramica più che esaustiva, su una tematica i cui risvolti sono tali e tanti che, a riassumerli e cercare di chiarirli in unico ambito testuale, si fa un lavoro di non poco conto.
Orlandi parte dall’ambito della cultualità romana e più specificamente, sulla festa dei “Ludi saeculares” che, celebrata ogni 110 anni dai Romani, segnava la fine di un ciclo di generazioni e l’aprirsi di un altro. Per l’occasione, veniva aperto il Mundus, un sacrario sotterraneo sulla riva sinistra del Tevere che, edificato ai primordi dell’Urbs, oltre ad avere il compito di contenere un esemplare di tutto ciò che sarebbe servito in seguito alla vita della città, era anche una porta sulla dimensione infera, tra il mondo visibile e quello invisibile dei Mani, parallelo a quello di superficie, all’interno del quale era seppellito un altare dedicato a Dite e Proserpina. La funzione di vero e proprio varco dimensionale del Mundus, ci riporta alla concezione propria della religione romana, ma anche delle religioni dell’ambito politeistico in genere,volta a sottolineare l’importanza della invisibile connessione che legava la dimensione dei vivi a quella dei Mani o defunti, anche attraverso tutta una serie di divinità connesse, quali Lari,Penati ed altre ancora che, strettamente legate all’ambito familiare o domestico che dir si voglia, tendevano a valorizzare quel “ghenos”, quella stirpe, di cui il “pater familias” era principale tutore e che, dell’intera “gens” e successivamente della “communitas” e della “res publica” intera rappresentava l’ineludibile e fondamentale tassello, nel contesto di un Ordine Cosmico, all’interno del quale, ogni elemento, era fatalmente interconnesso.
Conseguentemente a questo stato di cose, si fa strada una riflessione incentrata sul concetto di “Eggregore”, ovverosia quelle forme-pensiero che risultanti da un intenso lavoro mentale collettivo (o anche singolo, sic!) amplificato e mediato da una figura di “medium” o “capo-catena”, finiscono con il vivere di vita propria, in virtù dell’adempimento di quelle istanze, per cui sono evocate. Il termine “Eggregora” proviene dal greco antico “ἐγρήγορος”, il cui antico significato di «guardiano», sembra essersi poi confuso con quello di «gregario», o «seguace passivo di un gruppo». A detta di varie scuole di pensiero esoteriche, le “Eggregore” possono esser create inconsapevolmente da un pensiero ossessivo. In questo caso, si parla di forme-pensiero “elementali”, attinenti all’ambito della mitologia, quali per esempio le Lamie ed altre ancora, in grado di assumere anche una valenza negativa nei riguardi di una qualsivoglia persona alla quale possono sottrarre energia vitale, in una vera e propria opera di “parassitaggio” animico.
Dal termine greco di cui sopra, discende anche “grigori”, presente nella letteratura religiosa israelitica, per indicare quelle entità, da cui sarebbe discesa la razza dei “Nephilim”, il corrispondente dei nostri Giganti o Titani. Di “Eggregore” si continua a parlare in vari testi della tradizione ebraica, quali i “Septuaginta”, il “Libro dei Giubilei” ed in particolare, in quel “Libro di Enoch”, dal nostro autore citato quale riferimento-principe. Il tutto senza però, dimenticare tutte le altre tradizioni, Hindu ed Islamica, tanto per citarne due, ove queste entità sono abbondantemente presenti e di cui, in questa sede, non trattiamo, per evitare un’eccessiva ridondanza del nostro testo, sicuramente a discapito del lettore. Senza voler ripercorrere quanto sulle “Eggregore” è stato scritto da autori dell’occultismo moderno, come Eliphas Levi, Helena Petrovna Blavatskji, Annie Besant, Giuliano Kremmerz, Rudolph Steiner ed altri ancora, va detto che in tutto questo, ritorna prepotente il tema della capacità dell’umano pensiero di creare in modo autonomo, delle connessioni invisibili con eventi, situazioni, stati d’animo del presente e del passato.
Tutto questo non può che riportarci all’idea di “archetipo dell’inconscio collettivo” così come sviluppata da C.G.Jung e che costituisce una, ma non la definitiva, tra le risposte che all’intera questione si possono dare. Tutto il problema sta in un metodologia divulgativa errata, spesso imperniata su interpretazioni di spiritismo caciaronesco ed a buon mercato, che fecero dire a Rene Guenon che quella delle “Eggregore”, era una realtà legata al puro ambito sensoriale e sensitivo, ben lontano, quindi, dai fini e dalle modalità di una vera e propria iniziazione. Ma, il giusto e doveroso impeto rigorista di Rene Guenon, sembra non tener conto, invece, di quel substrato spirituale che, costituisce l’anima autentica di un popolo e che ha la propria sede, nei plurimillenari sedimenti di quell’inconscio collettivo, che funge da vaso collettore tra il microcosmo umano ed il macrocosmo dell’universo intero.
Ecco allora che, una coscienza singola o collettiva può animare e dar luogo a vere e proprie forme-pensiero, autonome che, ben al di là delle primeve intenzioni dei propri creatori possono andare. Quello che anima l’attuale Globalismo è una forma di Pensiero-Pensante, di matrice Tecno-Economica, i cui effetti nefasti, sinora, nessuno è riuscito a fermare. Generato dalla riflessione e dallo stato d’animo di generazioni di pensatori, il Pensiero-Pensante Tecno-Economico, oramai procede autonomamente, solo alimentato dalla inesauribile, umana, cupidigia. Alcuni sostengono che, ad oggi, una casta di Superiori Sconosciuti muova le sorti del pianeta, creando delle negative entità eggregoriche.
Creare Eggregore significa, pertanto, creare dal nulla delle entità di natura trascendente, con la sola forza del pensiero, lasciando aperta e più che mai insidiosa, la domanda sull’origine del trascendente, sulla sua diretta scaturigine. Da una parte, l’idea di una autonoma dimensione del trascendente increata, nel ruolo di “motore” dell’universo, più o meno immobile, più o meno attivo nel creare e determinare i destini dell’uomo e dell’universo intero. D’altra parte, la suggestione di una dimensione trascendente, quale diretta emanazione dell’interiorità umana. Un divino che sgorga dalle più profonde scaturigini dell’animo di quell’uomo che, in tal modo si fa supremo arbitro e creatore dell’universo intero e la cui realtà, pertanto, finisce con il divenire unicamente frutto di una personale ed illusoria costruzione operata ab nihilo, da quel Chaòs che circonda l’individuo.
Lo stesso Ermetismo, è interamente percorso dalla tentazione dell’identificazione dell’uomo con il divino (vedi Meister Eckhart…), che va, da un punto di vista più eminentemente filosofico, riproponendosi nell’hegeliana idea di “autoctisi”, ovverosia della creazione dell’uomo da parte di un Dio che questo atto compie, al fine di prender coscienza di sé stesso, in virtù della coincidenza tra Spirito Assoluto e Spirito Individuale. Quella medesima, paradossale coincidenza, che ritroviamo nel “ta tvam asi/tu sei quello” di induista memoria. E così, ciò che è proprio di un ambito prettamente metafisico e trascendente, finisce con il trasferirsi nell’ambito dell’umana egoità, scatenando una volontà di potenza, dalle imprevedibili conseguenze.
E comunque sia, l’interrogativo su quale sia quella giusta tra le due vie permane aperto, accompagnato dall’idea che, ambedue possano in verità, solamente costituire le due facce di un’unica, complessa e multiforme realtà. Ed a questo punto, in noi tutti, si fa più chiara ed evidente la comprensione ed il significato recondito della prisca tradizione romana che, nell’immagine di Giano/Janus, primeva divinità romana, non per nulla, sorta agli inizi della storia d’Occidente, rappresenta l’irrinunciabile ambiguità costitutiva di quest’ultimo di cui, i due volti del Dio, fissi nella loro catatonica atemporalità, ne sono la più fedele e coerente rappresentazione.
UMBERTO BIANCHI