“ è l’ascesa dell’Uomo – Dio nelle sfere celesti, nella gerarchia dei <<sette pianeti>> per cui tutta l’esteriorità delle cose di natura impallidisce, si estenua, si fa interiormente luminosa, arde infine” (1)
Lo studio e l’ermeneutica circa ciò che fu il Mithraismo romano concerne una serie differenziata di considerazioni rispetto a ciò che fu la sfera misterica nell’ambito della società e della religiosità nella Roma arcaica. Nel quadro di ciò che un Franz Altheim classificava come la potenza universale del Deus Sol Invictus (2), in cui gli adepti di Apollo e di Mithra, di Helios e dei Baalim siriaci si ritrovarono in un archetipo comune, limitare l’analisi nella semplice catalogazione dei Misteri di Mithra in ciò che la storia delle religioni, da Cumont in poi, ha determinato come l’invasione dei culti orientali nella sfera sacrale romana, risulta necessariamente essere un p
Preliminarmente, per chi già conoscesse gli scritti di Arcella, è d’uopo precisare che il volume in riferimento non costituisce una mera ristampa del già noto “I Misteri del Sole” (4) né un mero aggiornamento, limitato a qualche paginetta aggiunta posteriormente. Al contrario, “Il dio splendente” si è subito palesato, durante la nostra lettura come un testo assolutamente innovativo sia nell’ambito delle fonti bibliografiche, con riferimenti importanti, per esempio, alle opere necessitanti in ambito di studio mithriaco come sono quelle di un Turcan o di un Vermaseren, sia per ambiti di ricerca inesplorati nei testi precedenti dell’autore. Nello specifico, ci ha colpito molto il capitolo VIII, in cui viene posto in essere un parallelismo di rara profondità ontologica tra il culto di Phanes, nell’ambito dell’orfismo greco, ed appunto quello di Mithra nell’ambito della sua specificità romana, in cui comunemente emerge il dato dell’Ekfainò, di “colui che porta la luce” (5):
“…Phanes, il dio splendente che, sorgendo dall’uovo cosmico in fiamme (quindi un uovo in combustione, “sacrificato”) e separando le due metà dell’uovo, crea il cielo e la terra e regge il “mondo” in senso cosmico, così come Mithra, uccidendo il toro primordiale, dà vita e ordine all’universo” (6).
Un’altra sfera d’indagine molto interessante emerge nel testo di Arcella: il mithraismo romano, a differenza di quello tipicamente orientale ed iranico, spicca per i suoi forti connotati pitagorici e platonici, in cui l’intera koinè sapienziale d’Occidente, dai presocratici fino a Proclo e Damascio si ritrovano in una perfetta armonia noetica e trasfigurante. Come dimostra il mitreo Felicissimo di Ostia, l’ambito simbolico e pitagorico, così come espresso nel Timeo di Platone, nei riferimenti alle sfere planetarie, alla metempsicosi, alla gerarchizzazione settenaria del rito, così come i centri di vita, le sfere cosmiche e l’armonia musicale, risulta essere un dato di differenzazione rispetto agli altri riti misterici giunti dall’Oriente nella Roma arcaica, tanto da far riprendere all’autore l’espressione, assolutamente pertinente, di “Mithra platonico”:
“si conferma la teoria dei Misteri di Mithra come una formazione misterica nuova ed originale, in cui elementi religiosi preesistenti sono ricollocati in una nuova trama di rapporti – costituiti dal retaggio greco filosofico e misteriosofico nonché da quello della cultura romana – ove ciascuno di essi assume nuovi significati e nuove funzioni” (7).
La disamina di Stefano Arcella, inoltre, risulta essere di ampio respiro nella sua efficace comparazione con altre forme tradizionali, anche volta a destrutturare alcuni luoghi comuni su ciò che fu il destino del culto di Mithra. Se è vero che molti connotati del rito siano stati assunti dal trionfante Cristianesimo (e non viceversa), l’animus profondo che rappresentava l’essenza dell’iniziazione mithriaca si differenziava enormemente dalla superstizione cristiana. Arcella specifica, citando Turcan, come nell’ambito della religione mitriaca fosse escluso il concetto di peccato (8), come, parimenti, specifica come la potenza salvifica del dio solare non rimandasse a qualche Giudizio Universale né a qualche fine dei tempi, accostando l’etica misterica più all’ascesi del Buddha o allo stoicismo romano più che al fideismo cristiano:
“il mondo è già salvo e l’uomo, per replicare tale rigenerazione, deve assumere il dio tauroctono come modello e rinnovare il sacrificio del toro nella sua interiorità” (9).
La predetta riflessione dell’autore, a tal punto, ci consente di riferirci all’ambito attualizzante dell’opera. Mithra, per Arcella, infatti, non è un semplice archetipo sacrale del passato, da ammirare, studiare ed analizzare, ma con nessuno addentellato con la pratica palingenetica attuale, al contrario. L’autore, vicino alla corrente iniziatica di Rudolf Steiner, nella sua versione italiana del Pensiero Vivente (la linea Colazza – Scaligero – Pio Flippani Ronconi), accomuna con serietà e competenza sia filosofica sia in ambito “tecnico – sapienziale” il culto del Nume eroico – solare alla Via Solare del XXI Secolo, quale esplicitazione della forza pensiero che, tramite le pratiche meditative impartite non solo da Steiner, ma anche da Colazza (Leo) nelle monografie del Gruppo di Ur e da Massimo Scaligero, possa e sappia ridestare la Natura Naturante dalla Natura Naturante e, pertanto, abbia la capacità di ridestare nella caverna platonica o dall’antro mithriaco del pensiero pensato il fuoco trasmutatorio del pensiero pensante, autonomo, dominante, magicamente libero. Il principio di forza numinosa, come specifica saggiamente, può essere attivato sia tramite la suddetta ascesi del pensiero sia tramite atti ed azioni di natura teurgica, come già espresso nel passato da sapienti come Proclo e Giamblico, ma con delle precondizioni indispensabili:
“Il rito è una connessione con la trascendenza attraverso azioni, “parole di potenza” e gesti ben precisi, secondo una antichissima Scienza che non lascia nulla al caso. Nelle condizioni generali dell’epoca attuale, un contatto esperienziale coi Numi senza un’opera preliminare e metodica di disciplina interiore individuale può risultare addirittura dannoso, perché il contatto con una Forza sovrasensibile senza una adeguata e preliminare purificazione e rettificazione individuale, può andare a nutrire Potenze naturali extracoscienti, irrazionali che possono prendere il sopravvento se non si è già ridestato e fortificato il Principio Solare nell’uomo” (10).
Il testo analizzato presenta, inoltre, due appendici: nella prima sono riportate le evidenze epigrafiche dei Misteri mitriaci nella seconda metà del IV secolo d.C.; nella seconda, viene analizzato il rito interiore nella riforma spirituale di Zarathustra, anche alla luce degli insegnamenti accademici e sapienziali di Pio Filippani Ronconi. In conclusione, possiamo serenamente affermare di aver letto un autentico gioiello nell’ambito dei recenti studi tradizionali e del mondo antico, in cui Stefano Arcella ha compiuto un’opera meritoria di vivificazione del concetto di Tradizione, tramite cui si evoca e si rafforza delle civiltà antiche sempre il dato attinente all’Eternità, che è quello proprio allo Spirito che nel mitreo cardiaco di ogni uomo è alchimicamente occultato, e mai il dato storicistico, transuente che, seppur culturalmente interessante, non presenta una sua cogenza, cioè un’obbligatorietà, quella dell’attualità all’Io individuale, a cui ogni serio ricercatore deve necessariamente attenersi.
Note:
1 – Julius Evola, La via della realizzazione di sé secondo i Misteri di Mithra, Quaderni di Testi Evoliani n. 4, a cura della Fondazione Evola, Roma, p. 13-4;
2 – Franz Altheim, Il Dio Invitto, Feltrinelli, Milano 1960, p. 146;
3 – Stefano Arcella, Il dio splendente, Edizioni Arkeios, Roma 2019, p. 157, in cui si evidenzia come il culto solare a Roma avesse radici arcaiche, di carattere gentilizio e pre-civico “come nel caso della gens Aurelia e della gens Aelia, con correlativi divieti rituali inerenti all’uso dell’oro”.
4 – Stefano Arcella, I Misteri del Sole (Il culto di Mithra nell’Italia Antica), Edizioni Controcorrente, Napoli, 2002;
5 – Stefano Arcella, Il dio splendente, op. cit., p. 131;
6 – Ivi, p. 133;
7 – Ivi, p. 145;
8 – Ivi, p. 166;
9 – Ivi, p. 167;
10 – Ivi, p. 227.
Luca Valentini
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