10 Ottobre 2024
Politica Società

Il carnevale di Venezia. Un ritorno all’ordine –Claudio Antonelli

Gli studiosi attribuiscono al carnevale un significato “antropologico” che pone tale avvenimento, presente nella cultura di ogni società, ben al di là della semplice ricerca del divertimento da parte della popolazione. Il carnevale, secondo questa interpretazione, soddisfarebbe un “bisogno” individuale e collettivo di ribellione ai ruoli sociali, alle identità stabilite, all’ordine costituito. E difatti il carnevale segna il trionfo della provocazione, della trasgressione, dell’anarchia, della babele, del caos. Un caos utile – ci dicono gli esperti – perché funge da valvola di sfogo per l’intera società.

La gioiosa anarchia, che avviene nel periodo tra la festa dell’Epifania e l’inizio della Quaresima, è però breve e rimane contenuta negli argini della tradizione. Il carnevale è solo una parentesi: dopo questo corto periodo di sospensione delle regole tutto rientra nell’ordine: l’ordine abituale. Quindi il polo opposto al disordine carnevalesco, limitato a un periodo brevissimo del calendario, è l’ordine che invece impera il resto dell’anno.

Per attuare i travestimenti, i camuffamenti e i ridanciani e grotteschi spettacoli, indispensabili ai riti del carnevale, si ricorre ad addobbi, costumi, maschere. E sono proprio i costumi e le maschere, che a Venezia sono all’insegna di una straordinaria eleganza e di una grande raffinatezza, a rivelarci il senso nascosto, assai paradossale, che il carnevale lagunare ha finito con l’assumere in un’Italia dominata dall’anarchia e dal non rispetto delle regole durante l’intero arco dell’anno. Questo senso nascosto è non solo la memoria ma la nostalgia del tempo che fu.  Torno a ripetere: basta dare uno sguardo agli abiti e alle maschere tradizionali del carnevale di Venezia per capire che è impossibile dare a questo carnevale un significato di sovversione e di stravolgimento dell’ordine, con ribellione ai ruoli e alle identità, anche di genere, e con l’accettazione del “Diverso”, e con la sospensione del rispetto degli obblighi sociali e delle gerarchie. Tutt’altro. Il romantico carnevale di Venezia – secondo me – ha assunto ai giorni nostri il significato opposto a quello che i sociologi danno al carnevale, visto come un ritorno al caos. Paradossale ma vero: i personaggi, le maschere, i riti, lo stile… tutto nel carnevale di Venezia rivela un desiderio nostalgico, da parte del popolo, dell’ordine tradizionale, fatto di rispetto delle regole, di ruoli certi, di eleganza, di civismo, di convenzioni sociali. E difatti con la fine del carnevale ogni cosa, in Italia, ritorna non all’ordine ma disordine abituale. Ripeto: il carnevale di Venezia esalta i ruoli stabiliti, la grazia e l’eleganza delle donne di un tempo, e tutte le altre impalcature su cui poggiava l’ordine antico, tra cui la certezza dell’identità personale e sociale degli individui, con abiti, appunto, che pienamente rispecchiano l’identità di chi li indossa.

Oggi il caos, nel teatrino chiamato “Italia”, è permanente, e la confusione dei ruoli, i camuffamenti, le “carnevalate” nella vita e in TV (per non parlare di Internet) scorrono ininterrottamente davanti a noi. La stessa Venezia, ma anche le altre località turistiche della penisola, sono inondate senza sosta da masse di gente che si direbbero partecipino a un carnevale che copre l’intero anno: sono i turisti, stranieri e italiani, vestiti nelle maniere più strane; d’estate è facile scorgere corpi nudi riempiti di tatuaggi fino al collo; uomini con orecchini, anello al naso, e borchiette metalliche infilzate nella pelle; coppie di sposini dello stesso sesso in viaggio di nozze tra i colombi;  donne che in omaggio a una religione fallocratica, impiantatasi ormai anche in Italia e che il santo padre amorosamente tutela, hanno il viso coperto da una sorta di mutanda nera; e, attivi nella ressa, falsi profughi che vendono articoli contraffatti occupando illegalmente marciapiedi e passaggi; e così falsi invalidi che mendicano, biascicando un italiano fortemente accentuato; di sera e di notte non mancano gli ubriachi che svuotano la vescica dove possono; qualcuno addirittura defeca per strada, come faceva a casa sua, prima che gli italiani lo andassero a prendere per portarlo a casa nostra; saccopelisti che dormono all’aperto; zingarelli che riuniti in bande borseggiano a man salva. Tutto questo mentre i soliti vigili urbani, col casco bianco coloniale da operetta, anzi da carnevale – l’eterno carnevale all’italiana – riuniti in circolo chiacchierano beatamente fra loro indifferenti al tutto.

Di fronte a questo caos permanente, durante il vero carnevale di Venezia appare evidente che gli Arlecchino e i Pulcinella e gli arditi cavalieri e le donne che indossano maschere e vestiti esaltanti femminilità e romanticismo e che sono preziose, elaborate, delicate opere d’arte… ebbene appare evidente che questo spettacolo di bellezza, che si contrappone allo stile  sgangherato del vivere d’oggigiorno, esprime, secondo me, non la rivolta contro l’ordine costituito, non il desiderio di un ritorno al caos, non la confusione dei ruoli, non la trasgressione, non il rigetto del principio d’autorità, bensì il ristabilimento – solo immaginato perché ormai impossibile da realizzare – dell’ordine, costituito da grazia, riso, gioia, scherzi e ingenuità di un tempo. Cose ormai tramontate e che forse non sono mai esistite ma che esistono in noi come sogno e rimpianto.

È il ritorno al prima, ma non a quello primigenio e caotico di cui ci parla Mircea Eliade, ma a un tempo storico, non poi troppo lontano, in cui era  assente il carnevale permanente che ha stravolto Venezia e l’Italia tutta.

Il “diverso”, in Italia, non ha bisogno di una maschera da carnevale per essere accettato e sentirsi “normale” e “uguale”. Oggi la sinistra lo applaude.  Il papa argentino, egli stesso carnevalesco nel suo stile “tupamaros”, non si stanca di celebrare chi si camuffa da profugo, proprio come in un carnevale dove ogni travestimento vale (che non sia però un travestimento da soldato romano che fa il saluto “fascista”). Le donne non hanno bisogno di scegliere un costume particolare né di esibire il seno fino ai capezzoli e di circolare languidamente sul Ponte dei sospiri e nelle calli per trasformarsi in prostitute d’epoca. Nel permanente teatrino italico, e quindi al di fuori del periodo del carnevale ufficiale, donne di ogni ceto sociale hanno labbroni al silicone, volti rifatti dal chirurgo, e sono disseminate di tatuaggi tra cui talvolta non manca un’utile freccia direzionale sul fondo schiena indicante il “retto” cammino. E si scosciano voluttuosamente – sedute in TV – mentre isteriche accusano gli uomini di considerarle un bersaglio sessuale…

Sulla scena politica italiana si susseguono personaggi dello spettacolo, vedi Grillo, professionista della risata, e fino a ieri Casaleggio, il suo nume tutelare, oggi scomparso, la cui testa, capelli compresi, era una vera maschera da guru degna di un museo di Venezia. Vedi anche Salvini il forzuto, personaggio degno di un circo, succeduto a quel Bossi, capo delle camicie verdi, la cui frase più celebre è: “Il tricolore lo uso per pulirmi il culo”. Il carnevale permanente ha investito anche il Parlamento, dove molti onorevoli rimpiangono i tempi dell’onorevole Cicciolina che li incitava a godere sottobanco masturbandosi. Oggi gli onorevoli, sottobanco, continuano a fare altre cose anche più indegne ma molto più proficue per loro. Lo stesso linguaggio dei politici (“mattarellum”, “porcellum”, “democratellum”…) si ispira al lazzo e alla pernacchia. Negli innumerevoli talk show televisivi, pieni di “vaff…o”, trionfa lo spirito del carnevale. Le trasmissioni italiane sono quasi tutte incentrate sul ridere, grasso e volgare. La lingua italiana, farcita d’inglesismi comicamente pronunciati, sta diventando una lingua da barzelletta.

Alla distruzione delle frontiere metaforiche, attuata dal carnevale, oggi nella vera vita, grazie alla trionfante religione del mondialismo, si assiste all’annientamento delle frontiere non solo culturali e identitarie, ma anche fisiche di un’Europa ormai ridotta a un colabrodo. In Rete vige un autentico carnevale planetario, con miliardi quotidiani di clic sulle scene più assurde, sconce, ridicole o addirittura criminali, il cui scopo è unicamente di far ridere. Non c’è che dire: la carnevalata del ’68 ha diffuso in tutta l’Europa la passione per il carnevale permanente.

 Credetemi, la funzione di capovolgimento del sistema ossia del rovesciamento della maniera normale di vivere, che antropologi, sociologi, etnografi attribuiscono al “carnevale-istituzione”, si verifica anche per il carnevale di Venezia. Ma si verifica in senso contrario: il carnevale di Venezia segna il capovolgimento del carnevale permanente italiano. È, insomma, un raddrizzamento. Un ritorno all’ordine. L’ordine antico. Si rimettono in auge, anche se per poco, i ruoli tradizionali, abolendo su tutta la linea l’ipocrisia del “politically correct” e la religione degli human rights: le donne ridiventano donne, gli uomini ridiventano uomini, e ognuno esprime attraverso la maschera la propria chiara identità: il pulcinella ridiventa Pulcinella, il voltagabbana ridiventa Arlecchino, i servi sciocchi ridiventano servi sciocchi, i pagliacci tornano ad essere dei pagliacci. E così se vi sono uomini che vogliono “sposarsi” tra loro, possono farlo, durante il carnevale, sotto una pioggia di coriandoli e attraverso una cerimonia nuziale che apparirà a tutti i festanti, anche loro travestiti da testimoni, come una vera carnevalata.

Claudio Antonelli (Montréal)

 Fonte immagine: web

1 Comment

  • Gelsomina 20 Aprile 2024

    Impeccabile lettura dei nostri tempi..

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