Ricominciamo la nostra rassegna da poco oltre la metà di febbraio.
A tenere banco in questo periodo è la discussione attorno a un articolo pubblicato su lescienze.it, la versione on line de “Le Scienze” in data 13 febbraio, e il meno che si possa dire, è che il suo contenuto è letteralmente esplosivo. Si è già parlato altre volte di quella che potremmo chiamare l’introgressione africana. Detto in parole più semplici possibile, nel DNA dei neri africani vi sono le tracce di un’ibridazione con una specie umana non sapiens o addirittura ominide sconosciuta, di cui non si sono ritrovati resti fossili e che per questo motivo è stata chiamata “specie fantasma”.
“Le scienze” ci dà ora la notizia di un recentissimo studio compiuto da Arun Durvasula e Sriram Sankararaman dell’Università della California, Los Angeles (la celeberrima UCLA), già pubblicato su “Science Advances”. I due ricercatori hanno analizzato il DNA di un campione di 405 individui appartenenti alle etnie Yoruba e Mende dell’Africa occidentale. Finora si sapeva che i geni “fantasma” rappresenterebbero l’8% del DNA dei neri subsahariani, ma questo 8% è un dato statistico che non esclude scostamenti anche notevoli da un individuo all’altro. Ora grazie a questa ricerca possiamo avere le idee più chiare in proposito, sappiamo che il range della variazione può andare dal 2 al 19%.
Si può anche segnalare il fatto che, sempre rifacendosi all’articolo di “Science Advances”, la notizia di questa nuova scoperta era già stata data il giorno prima, il 12 febbraio, in un sito in lingua inglese, inverse.com in un pezzo a firma di Sarah Sloat, ma non è che ciò sposti più di tanto le cose.
Quel che sorprende in modo particolare, invece è il fatto di trovare la notizia in bella evidenza su “Le scienze” che si presenta da sempre come una roccaforte dell’ortodossia dominante sedicente scientifica sulle nostre origini, infatti questa introgressione è la prova provata della falsità dell’Out of Africa, della “teoria” dell’origine africana della nostra specie: se quest’ultima fosse vera, infatti, tracce magari minime di quest’introgressione si troverebbero anche in qualche altro gruppo umano che non siano i neri africani o popolazioni di recente origine africana come gli afroamericani. Invece, come abbiamo visto nella sedicesima parte, in base a quanto riferito da una ricerca pubblicata ultimamente su “The Cell”, una lievissima traccia di Neanderthal (lo 0,3%) si troverebbe anche nei neri africani, e risalirebbe a una migrazione avvenuta circa 20.000 anni fa (epoca in cui probabilmente di neanderthaliani puri non ne esistevano più), dall’Eurasia all’Africa, e non il contrario.
E guardatela questa bella gente che l’immigrazione oggi ci porta in casa: possono essere non sapiens fino a un quinto del loro patrimonio genetico. E poi hanno il coraggio di venirci a dire che le razze umane non esistono.
È di questo periodo l’uscita di un nuovo libro di Mauro Biglino, scritto a quattro mani con Cinzia Mele: Gli dei baltici della Bibbia, l’Israele che non ti aspetti. Come già aveva fatto Felice Vinci per le vicende omeriche narrate nell’Iliade e nell’Odissea, Biglino e la Mele spostano gli eventi narrati nell’Antico Testamento nel Baltico, tra Finlandia, Norvegia, Svezia e Danimarca, e lo fanno in un modo molto simile, attraverso l’analisi dei toponimi che a loro dire corrisponderebbero a quelli biblici più di quelli che troviamo oggi in Medio Oriente.
Ora, a questo riguardo vorrei essere franco: la collocazione nel Baltico delle vicende omeriche è una tesi che non persuade del tutto, e rispetto alla quale il nostro Ernesto Roli ha sollevato consistenti obiezioni, tuttavia mi sembra molto più plausibile di questa nuova trovata di Biglino, per un motivo piuttosto semplice: sappiamo che gli Achei, come le altre popolazioni di ceppo indoeuropeo (Italici compresi) si sono insediati nell’Europa mediterranea provenendo da nord (c’è un discorso al quale non ho ancora avuto modo di accennarvi, e mi propongo di farlo in uno dei prossimi capitoli di Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, sulla connessione che esisterebbe fra gli Achei e il monumento megalitico di Stonehenge), ma togliere gli Ebrei dal contesto semitico-mediorientale loro proprio, mi sembra molto meno credibile.
Sembra che negli ultimi tempi sia emersa una tendenza a spostare a nord tutto quanto, sarà che, come vi ho raccontato nella quindicesima parte citando Beyond the North Wind di Christopher McIntosh e Hilmar Orn Hilmarsson, “Il Nord è tornato con un desiderio di vendetta”, ma addirittura il grande Federico II di Hohenstaufen, stupor mundi, ci ha stupito una volta di più diventando Federico di Svezia, come se la Svevia non fosse già abbastanza settentrionale rispetto a noi.
In questo caso, però, non si è trattato altro che di un marchiano errore contenuto nella targa affissa nel municipio di Parma a ricordo della battaglia di Parma del 12 febbraio 1248, di cui il sindaco della città emiliana, Federico Pizzarotti ex grillino, si è dovuto pubblicamente scusare. Si potrebbe una volta di più fare un commento feroce su questi sinistri che per decenni, avendo praticamente il monopolio di tutte le istituzioni culturali, sono riusciti a far credere alla favola della loro eccellenza intellettuale al punto da generare in noi un senso di inferiorità, e che oggi che le loro esternazioni sul web permettono di capire effettivamente il loro livello culturale, scopriamo essere ignoranti come capre, ma stendiamo un velo pietoso o, se preferite, un vello peloso.
Torniamo a Biglino. Io approfitterei della circostanza dell’uscita di quest’ultimo libro per precisare ulteriormente il mio pensiero riguardo a questo autore, come diversi di voi mi hanno varie volte richiesto. Io direi che l’interpretazione “spaziale” o “astronautica” della bibbia non costituisce un’originalità: in questo Biglino è stato preceduto dallo scrittore azero Zecharia Sitchin e anche dal nostro Peter Kolosimo, e non si tratta a mio parere di un’ipotesi molto credibile, tuttavia l’importanza di Biglino che, ricordiamolo, è un biblista che ha lavorato a lungo per il Vaticano, è proprio quella di mettere in evidenza il fatto che la presunta parola di Dio è un testo confuso e oscuro che lascia la porta aperta alle interpretazioni più disparate, e che la Chiesa cattolica ha ampiamente manipolato per i suoi fini.
Ricordiamo che le versioni “canoniche” della bibbia si basano sulla traduzione latina di san Girolamo della traduzione greca detta “dei settanta” dell’originale ebraico, dunque si tratta, bene che vada, di traduzioni di terza o quarta mano, e che per quanto riguarda il Nuovo Testamento, al concilio di Nicea furono scelti i quattro vangeli come “canonici” dichiarando “apocrifi” e condannando al rogo tutti gli altri in modo del tutto arbitrario. Sappiamo anche che il Vaticano ha ostacolato e sta ostacolando in ogni modo la traduzione e la pubblicazione dei rotoli del Mar Morto nei quali sono riemersi da un oblio millenario brani originali dell’Antico Testamento e dei Vangeli, sì che a distanza di decenni dalla scoperta restano un oggetto misterioso, senza dubbio per non rendere evidenti gli scostamenti della versione “canonica” rispetto ai testi originali.
Mi viene in mente la frase, che poi è il titolo di un libro che in anni che furono ebbe un momento di grande celebrità, del medico Alexis Carrel: L’uomo, questo sconosciuto. L’uomo era uno sconosciuto ai tempi di Carrel e lo è ancora oggi. Quanto meno, si può dire che il poco che sappiamo sulle nostre origini ci costringe ad abbandonare l’immagine semplicistica di un’evoluzione lineare che arriva fino a noi partendo da forme subumane e scimmiesche, in una costante progressione verso il “più umano”.
Se questo può valere come considerazione generale, filosofica potremmo dire, vale ancora di più nella casistica specifica evidenziata dalle ultime ricerche paleoantropologiche.
“Science Advances” del 20 febbraio ha pubblicato un articolo a firma di Alan R. Rogers, Nathan S. Harris e Alan A. Achenbach intitolato (tradotto in italiano) Incroci fra neanderthaliani e denisoviani e ominidi remotamente imparentati.
Neanderthaliani e denisoviani, lo sappiamo, sono stati uomini arcaici nostri remoti antenati che hanno contribuito al DNA dell’umanità attuale in una misura variabile dal 2 al 6%, tuttavia questa sembra essere solo una parte della storia. Secondo una nuova analisi del DNA condotta sui resti umani delle grotte di Denisova nel’Altai, di Vindija in Croazia, di Sima De los Huesos in Spagna, entrambi i gruppi sembrerebbero essersi incrociati con una popolazione di Homo ancora misteriosa che i ricercatori definiscono super-arcaici.
A questo punto, le “specie fantasma” che compaiono nell’albero genealogico dell’uomo attuale sono addirittura tre, considerando quella africana e quella le cui tracce sono state ritrovate nel DNA degli indigeni delle isole Andamane.
Cosa è l’uomo, cosa siamo noi in realtà? Avrei voglia di rispondere una volta di più con una citazione famosa: “Un mistero avvolto in un enigma”.
Il “Daily Mail” del 21 febbraio riporta una notizia sorprendente (l’articolo è di Joe Pinkestone e Jay Randall): in un tunnel minerario nella Siberia nord-orientale nei pressi del villaggio di Belaya Gora è stata ritrovata la carcassa di un uccello in perfetto stato di conservazione, si tratta di una femmina appartenente a una specie estremamente simile alla moderna allodola cornuta, di cui probabilmente è un antenato. Il ritrovamento ha avuto modo di stupire i ricercatori, l’analisi al radiocarbonio ha dimostrato che l’esemplare risale a 46.000 anni fa, tuttavia, come hanno raccontato alla stampa, “sembra morto ieri”.
Non è la prima volta che ci si imbatte in ritrovamenti di questo genere. L’innalzamento delle temperature che rischia di stravolgere gli equilibri ecologici del nostro pianeta, è certamente un fatto negativo e pericoloso, tuttavia presenta almeno il vantaggio che lo scioglimento del permafrost artico ci sta rivelando i resti di una fauna molto diversa da quella che vive oggi nelle regioni in prossimità del circolo polare e ci induce a riscrivere completamente la nostra storia più remota: mammut, rinoceronti lanosi, leoni delle caverne, cavalli, cani.
Tutto ciò ci testimonia che alcune decine di migliaia di anni fa queste regioni oggi ammantate da una spessa cappa di ghiaccio, avevano un clima del tutto diverso e di gran lunga più propizio all’insediamento umano. A questo punto, l’idea di un’origine boreale della nostra specie, così come affermato dalle dottrine tradizionali e testimoniato ad esempio dai Veda, acquista sempre maggiore credibilità, mentre, per svariati motivi che abbiamo visto ripetutamente, quella di una genesi africana barcolla sempre di più.
Come dice un noto proverbio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, proprio a fine febbraio è arrivata una notizia che costituisce una smentita nemmeno tanto indiretta della “teoria” (o bufala) africano-centrica. Il pezzo, a firma di Ashley Strickland è apparso il 25 febbraio sul sito della CNN. Il titolo che vi traduco in italiano, è Antichi uomini vissero contemporaneamente alla massiccia eruzione vulcanica di 74.000 anni fa.
Di che si tratta, e perché questo dato dovrebbe (anche se sappiamo che una volta di più le vestali della vulgata ufficiale delle nostre origini faranno finta di nulla) mettere in crisi la favola africano-centrica? L’Out of Africa ha sempre avuto un problema: in tutto il Vecchio Mondo, diciamo attorno ai 100.000 anni fa esistevano varie popolazioni di volta in volta denominate pre-sapiens o sapiens arcaiche di cui sono stati trovati diversi resti soprattutto in Europa: Swanscombe in Inghilterra, Steinheim in Germania, Ceprano in Italia, Petralona in Grecia (e sempre in Grecia il recente ritrovamento di Apidima), per non parlare di Neanderthal e Denisova che hanno lasciato una consistente traccia nel nostro patrimonio genetico.
Se, come sostiene l’Out of Africa, noi tutti discenderemmo da un gruppo ristretto di antenati africani, queste popolazioni che fine hanno fatto? Possiamo credere che, graziosamente, si siano spontaneamente estinte per lasciare spazio al nuovo venuto? Tenete presente che all’epoca non c’erano né PD, né sardine né argentini vestiti di bianco a rimbecillirli propagandando accoglionerie suicide. Possiamo pensare che sia stato il nuovo venuto africano a sterminarle, ma certo questo non fa fare una bella figura a una “teoria” inventata apposta per favorire l’accoglienza in Europa degli invasori provenienti dal Terzo Mondo.
Qualcuno ha avuto una bella idea per togliersi dall’impasse: più o meno tra i 50 e i 70.000 anni fa (ora, come vediamo, la data è stata alzata a 74.000) il vulcano Toba nell’isola indonesiana di Sumatra ha avuto una maxi eruzione. Si è allora supposto che essa sia stata tanto ampia, abbia diffuso nell’atmosfera terrestre una tale massa di ceneri da oscurare il sole per lungo tempo, generando l’equivalente di un inverno nucleare che avrebbe portato all’estinzione tutte le popolazioni umane allora esistenti, tranne un gruppetto di africani dai quali, ci raccontano, tutti noi discenderemmo.
Ora, ci racconta l’articolo pubblicato dalla CNN, una ricerca archeologica condotta da un gruppo di ricercatori guidati da Chris Clarckson dell’Università del Queensland nel sito di Dhaba nell’India centrale ha riportato alla luce strumenti litici che testimoniano un’ininterrotta occupazione del sito a partire da 80.000 anni fa, dal che è facile intuire, vista la distanza non eccessiva tra l’India e l’Indonesia, che l’eruzione del Toba ha avuto un impatto molto minore di quel che le si è voluto attribuire, e non è stata certo una catastrofe planetaria.
Prendiamo atto volentieri di questa ulteriore riprova, ma che la storia della catastrofe planetaria in seguito alla maxi-eruzione vulcanica fosse una bufala priva di fondamento inventata a sostegno della favola out-of-africana, lo sapevamo già, infatti, come ricorderete nell’isola indonesiana di Flores, quindi ancora più vicina a Sumatra di quanto lo sia l’India centrale, sono stati ritrovati i resti degli hobbit, Homo floresiensis, una forma nana (nanismo insulare) di erectus, quindi sicuramente una popolazione molto antica, che è vissuta fino a 30.000 anni fa, 20.000 anni dopo la datazione più bassa della presunta catastrofe globale.
Ma soprattutto, è ragionevole pensare che un cataclisma planetario porti una specie – la nostra – sull’orlo dell’estinzione senza lasciare alcun segno visibile sul resto della vita animale e vegetale? Quanto meno, si può dire che i sostenitori dell’afrocentrismo sono privi del senso del ridicolo.
Questo è quel che ci offre il mese di febbraio. Io penso che i sostenitori dell’afrocentrismo si guarderanno bene, come sempre, dal prendere atto delle evidenze sempre più chiare che smentiscono l’Out of Africa, ma noi siamo sempre qui, con la coscienza di batterci contro questa menzogna non tanto in nome di un concetto astratto di verità, ma soprattutto per difendere il futuro, nostro e dei nostri discendenti.
NOTA: Nell’illustrazione: a sinistra “Le scienze” di febbraio 2020. Questa roccaforte dell’ “informazione scientifica” democratica e “politicamente corretta” presenta oggi la sorprendente ammissione che i neri subsahariani possono avere fino al 19% di DNA non sapiens. Al centro Gli dei baltici della Bibbia, l’Israele che non ti aspetti, di Mauro Biglino e Cinzia Mele, a destra l’imperatore Federico II, stupor mundi che ci ha stupiti una volta di più quando il comune di Parma l’ha trasformato in Federico “di Svezia”.
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