Voglia Dio che abbiano ragione loro. Che chiudere l’Italia serva davvero a ridurre l’epidemia del Covid19 e lo stato d’eccezione passi in fretta. Ai nonni e ai padri chiesero di andare in guerra, a noi di rimanere sul divano. Il sacrificio è accettabile, va affrontato con una parola inconsueta da mezzo secolo: disciplina. Sino a ieriera vietato vietare. Da oggi il Sessantotto – contagio ben più potente e persistente del Corona Virus- va in soffitta. Vietare si può, forse si deve e la personalità autoritaria, con buona pace degli autentici untori della nostra civiltà, i professori della Scuola di Francoforte, è invocata dal popolo per affrontare l’emergenza. Misure forti, chiedono tutti: eccole. Se saranno efficaci, lo scopriremo vivendo, o morendo. Epperò… continuiamo a non credere alle versioni ufficiali: mentre i concittadini si dotano di mascherine e si mettono più o meno disciplinatamente in fila davanti a farmacie, supermercati e banche, il non detto prevale sulla verità. Un barlume di sincerità è uscito dalla bocca di un illustre virologo; abbiamo imparato a conoscerli per nome e a sperare che siano stregoni, sciamani, non semplici scienziati alla ricerca di terapie. Le misure pesanti sono state chieste, diremmo invocate dai clinici e dagli operatori della sanità. Il sistema non è in grado di reggere se il contagio avanza. Mancano posti letto, strumenti, strutture.
Si potrà, in qualche modo, uscire dal tunnel del presente contagio, ma domani un altro problema, un ulteriore dramma ci crollerà addosso se non cambieremo il sistema e riprenderemo in mano il nostro destino. Il mondo-mercato è un inferno, il bene comune non è una partita doppia, banchieri e padroni universali sono nemici dei popoli. I loro servitori politici, un giorno, dovranno essere trattati per ciò che sono: collaborazionisti del nemico. In queste settimane è servito chi, con l’espressione furba e lo sguardo di chi ha capito tutto, si vanta di non occuparsi di politica e di economia. Sono la politica, l’economia e la finanza a occuparsi di noi. Al tempo del virus, il potere lavora con più lena, certo che il suo sporco lavoro riuscirà. La sanità italiana è al collasso: in pochi anni, per il dogma dell’austerità e la riduzione della spesa, hanno chiuso decine e decine di ospedali, i posti letto sono drasticamente diminuiti e il sistema si chiama “azienda sanitaria”. Azienda: deve fatturare, non curare. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia èun paese farsesco, dove la situazione è sempre grave, ma non seria. Decreti di enorme impatto sulla vita di tutti vengono improvvidamente rivelati da portavoce governativi del calibro di Rocco Casalino, un reduce del Grande Fratello televisivo. Se sono in ginocchio Lombardia e Veneto, le regioni più produttive e serie della nazione, si trema all’idea della propagazione del contagio al Sud, dove i Pronto Soccorso sono devastati da mascalzoni in cerca di vendetta per la morte di un giovane rapinatore. Il desiderio più vivo è davvero di blindarsi in casa muniti di provviste, specie di camomilla a prova di telegiornale, e riprendere in mano l’amato Tolkien, Il signore degli anelli. Dice Frodo Baggins al saggio Gandalf: avrei tanto desiderato che tutto ciò non fosse accaduto ai miei giorni. Anch’io, risponde il membro del Bianco Consiglio che combatte l’Ombra nella Terra di Mezzo, ma non tocca a noi scegliere. Tutto ciò che possiamo decidere è come disporre del tempo che ci è dato. In attesa che la Compagnia dell’Anello parta per combattere gli oscuri signori di Mordor e riconquisti l’Anello del potere, non ci resta che rimanere nei ranghi e sperare in Giuseppe Conte. Il ministro della salute, Speranza di nome, è sparito. Aria di otto settembre, la storia si ripete in forma di farsa dopo la tragedia, come sapeva Marx. Se le dimissioni da cittadino di questa nazione amata e ridicola avessero senso, sarebbe il momento giusto. Sono in fiamme le carceri, i detenuti evadono a frotte perché i decreti governativi limitano le visite. Le sommosse fanno morti e feriti, ma, state certi, i rivoltosi non bramano di abbracciare madri e fidanzate, ma di essere riforniti di droga e pasticche. Hanno assaltato le infermerie e saccheggiato gli psicofarmaci. Nella confusione da epidemia, gli italiani hanno appreso che esiste, tra i tanti enti dannosi, il Garante dei detenuti. Se ne avvertiva davvero la mancanza: burocrazia, uffici, cartigli, un pezzetto di potere. Il conto è a carico di Pantalone. La gente è nel panico: nessuno parla d’altro che del Corona Virus, tra mascherine, distanze di sicurezza, zone rosse e appelli delle autorità. O mentono per difetto, e i contagiati sono ben più numerosi delle poche migliaia segnalate dai bollettini quotidiani, o l’irresponsabilità e l’imperizia gridano vendetta. Il livello delle classi dirigenti è rivelato non solo dall’impotenza- davanti alla natura scatenata, i decreti valgono quanto le “grida” manzoniane, cioè nulla- ma anche delle risse da ballatoio. Perfino i virologi si accapigliano in televisione. Chi ha superato gli “anta” ricorda l’allarme del colera negli anni 70, tra Napoli e la Sicilia. Fu affrontato con maggiore compostezza e minore isteria. Non parliamo della temibile “asiatica” della fine degli anni Cinquanta, con oltre dieci milioni di ammalati. Nell’era virtuale, la realtà sconcerta, non ci siamo più abituati, è dura rendersi conto di non essere spettatori di una fiction televisiva; il male fa capolino proprio nella nostra casa. La menzogna, però, avanza e conquista nuovi terreni. Crolla la Borsa e ci dicono che è colpa del virus. Balle colossali: il popolo impaurito non ascolta più nulla, in un tempo sospeso scandito dal numero dei contagiati, dei guariti e dei deceduti, ma il mondo continua a girare. Il saggio guarda la luna, lo stolto il dito che la indica. La polpetta che stiamo inghiottendo è più avvelenata che mai. Crolla il prezzo del petrolio a livelli mai visti da trent’anni non per pandemia, ma per una guerra dei prezzi e della produzione tra Arabia Saudita e Russia, sullo sfondo del tentativo di togliere dal mercato il gas di scisto americano, i cui costi di estrazione sono molto elevati. Quelli ambientali sono addirittura drammatici, ma nulla importa all’ex Homo deus, bruscamente risvegliato dal contagio.
Bisogna correre, produrre, compravendere. Si intravvede una nuova botta, simile o peggiore di quella del 2008, di cui il Coronavirus è solo il detonatore. Se crolla il petrolio, saltano pezzi del sistema bancario, ma stavolta non servirà a nulla il denaro fiat delle banche centrali. La Cina, al contrario, tra pugno di ferro governativo sul versante sanitario e intervento fortissimo della Banca Centrale, sta tamponando le ferite. Le nostre stanno solo iniziando a sanguinare: il crollo della piazza finanziaria milanese ha lasciato indifferente il governo, che non ha nemmeno tentato di bloccare almeno le vendite allo scoperto. BCE e Banca d’Italia, non pervenute, forse i dirigenti stanno facendo il tampone antivirus. La democrazia è sospesa: referendum rinviato, inevitabile con l’Italia bloccata, le manifestazioni sono vietate per emergenza sanitaria, ma, guarda la combinazione, l’ineffabile governo voluto da Mattarella, proconsole di Bruxelles e dei “superiori”, sta per firmare il nuovo MES, la banca privata dotata di poteri pubblici a cui regaleremo oltre cento miliardi che non torneranno indietro. Le nuove regole ci escludono dal novero dei beneficiari (si fa per dire…) per eccesso di debito, pagheremo i conti altrui, ad esempio quelli tedeschi, dove la DeutscheBank, la più tossica dell’eurozona, perde valore ogni giorno. Gli stessi che affermano, mano sul cuore, di difendere i nonni dal contagio, rassicurano Bruxelles: faremo un po’ di debito per l’emergenza, ma tutto tornerà presto come prima, continueremo a torchiare il popolo, resteremo fedeli a dogmi economici, finanziari e regole smentite dai fatti. Se qualcuno volesse protestare, verrebbetrattato come untore del contagio. Dietro la maschera antivirus, c’è il volto e il ghigno di un potere nemico. Le conseguenze economiche del Coronavirus rischiano di essere letali quanto e più di quelle per la salute pubblica. Si resta a bocca aperta leggendo statistiche inoppugnabili: quarant’anni fa saremmo stati in grado di gestire il quadruplo degli infettati. E’ la stessa logica per la quale nessuno cura il territorio, i ponti cadono, le città si allagano, le frane isolano il territorio, determinando emergenze continue.Gli eventi eccezionali sono tali anche e soprattutto per l’incapacità di affrontarli. Il costo sociale del Coronavirus si potrà capire nel tempo, ma temiamo che sia tremendo. Mentre il ministro Gualtieri, il super tecnico gradito alle cupole europoidi, assicura non agli italiani, ma ai suoi superiori di Bruxelles e Francoforte che tutto va bene, madama la marchesa, milioni di persone cominciano a subire le conseguenze dirette dell’imperizia pubblica. Il turismo è in crisi, il commercio langue, la produzione non potrà reggere. Milioni di lavoratori non garantiti, autonomi e dipendenti, rischiano grosso. Il minimo che ci vorrebbe è uno choc fiscale, richiesto persino da Mario Draghi: “La politica monetaria da sola è insufficiente per far ripartire l’inflazione e la crescita dell’Eurozona. Noi abbiamo fatto il nostro, ora tocca ai governi. La politica fiscale deve diventare lo strumento principale per aumentare la domanda interna.” Non solo meno tasse, serve un programma di investimenti pubblici a lungo termine, in cui la sanità pubblica, la ricerca e la difesa del territorio diventino un grande obiettivo nazionale. Possiamo, forse dobbiamo stare chiusiin casa per un po’, ma dopo tutti ai remi, perché sarà dura, durissima. Non ci saranno vaccini, solo braccia e cervello. L’Italia di ieri ce l’avrebbe fatta, su quella di oggi stendiamo un velo pietoso.
Ma, temiamo, non succederà nulla, non ci sarà nessun sussulto. A mezza voce, già si parla di nuove tasse, l’imposta sul virus. Pagheremo senza lamentarci troppo, felici di aver salvato la pellaccia. Esattamente ciò che vogliono i padroni universali, per i quali le crisi sono benefiche occasioni per mollare la zavorra e lasciare il conto sul solito groppone, il nostro. L’urgenza resta la salute di ciascuno di noi, ma sotto la mascherina virtuosa vediamo una volta di più le solite facce di cera. L’Italia di Pirandello: in Uno, nessuno, centomila, si dice: imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti. Non importa a nessuno, ormai, ma si resta di stucco anche dinanzi al silenzio della Chiesa. Una volta, di fronte al timore, alla malattia che sgomenta, avrebbero invitato alla preghiera, alla conversione, ci avrebbero chiesto di riflettere sulle nostre condottemorali. Oggi, chiudono i portoni, celebrano messe e impartiscono benedizioni in streaming, giusto per dovere d’ufficio, a beneficio degli ultimi fedeli bloccati in poltrona, esortano all’igiene personale. Assicurano, come funzionari qualsiasi di un’ASL spirituale in svendita, che bisogna lavarsi le mani; non lo fece già Ponzio Pilato? Se fosse un titolo di borsa, la Chiesa sarebbe sospesa per eccesso di ribasso. Neppure di fronte alla paura trovano le parole per rivolgersi all’ex popolo di Dio. Frattanto, buon lavoro agli scienziati, un grazie di cuore a chi lotta sul campo, disciplina e pazienza, ma la preghiera di stare in campana: i carnefici travestiti da salvatoricontano sulla nostra paura. Occorre affrontare la maschera – il contagio – e il volto- il potere. Insegna il Mahabharata, poema epico indiano, che ci si può comportare da timorosi sinché il pericolo è lontano, ma vedendo il pericolo vicino, si deve combattere senza timore.
Roberto Pecchioli
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