17 Luglio 2024
Natale di Roma Tradizione Romana

Sull’Arcano dell’Urbe – Luca Valentini

Ma ora Apollo Grineo e gli oracoli della Licia
mi ordinano di raggiungere la grande Italia;
questo il desiderio, questa la Patria” (1)

Domani si celebrerà il 2773° Natale di Roma, MMDCCLXXIII A.U.C, e le consuete manifestazioni pubbliche di tante associazioni che negli anni passati hanno reso omaggio alla nascita di quella che serenamente possiamo definire essere stata la più grande civiltà della storia, per potenza militare, per profondità religiosa, per potestà del proprio ordinamento giuridico, per bellezza del patrimonio artistico e civile, quest’anno non potranno aver luogo per le limitazioni conseguenti alla quarantena imposta a seguito della pandemica da Covid-19. Qualcuno si è ingegnato, come i fraterni amici dell’Associazione Tradizionale Pietas, coordinata dall’archeologo Giuseppe Barbera, e domani pomeriggio alle ore 16 tramite i canali facebook e youtube si svolgerà una videoconferenza – a cui è stata cor

tesemente invitata la nostra persona, quale relatore, e la Redazione tutta di Ereticamente – sul tema affascinante della tradizione gentilizia ai giorni d’oggi. Ma le ristrettezze di movimento, pur bypassata tramite un uso intelligente della tecnologia, offrono allo studioso ed all’appassionato di materie inerenti le dimensioni dello Spirito un’opportunità imperdibile, quella di ricanalizzare la propria visione del Sacro verso una direzione centripeta e non centrifuga, e, nel caso di specie, di ritrovare il fondamento sapienziale dell’Aeternitas Romae nella sua essenza atemporale, poco legata al culto della polvere, delle ceneri e del stantio cerimonialismo. Tale data fu fissata da Varrone su indicazione di Lucio Taruzio, astrologo di estrazione pitagorica (2), che in verità indicò la data anteriore del 9 Aprile, in cui si sarebbe verificata un’eclisse di Sole. L’ambito essenziale della Romanità deve, pertanto, essere assolutamente espunto da una dimensione temporale o storicistica, ma essere assunta sub specie interioritatis, in un’ottica di perennità trascendente e simbolica del dato empirico o archeologico. D’altronde, lo stesso Tito Livio con la famosa espressione

Non ho intenzione né di confermare né di respingere quelle leggende precedenti la fondazione – o il progetto della fondazione – di Roma, più consone ai discorsi dei poeti che a resoconti affidabili di fatti realmente accaduti”(3),

altro non volle esprimere l’impossibilità di consegnare il tramando tradizionale romano ad una sterile ambivalenza tra catalogazione temporale e annichilimento mitico o fantastico. L’animo profondo e ancora vivente di tale tradizione, allora, può essere ricollegato a due visuali, che non si negano vicendevolmente, ma che si completano organicamente. In primis, vi è quanto espresso da Julius Evola (4), secondo cui la civiltà romana, sorta in piena età oscura quale forma eroica di restaurazione primordiale, raggiunse il proprio apice nella costituzione di uno Stato e nella personalità del suo primo Imperator, Augusto, in cui si rimanifestò ontologicamente l’autorità spirituale di Apollo – Sole, cioè l’idea di un’ecumene universale:

una fides superiore, legata appunto al principio sovrannaturale incarnato dall’Imperatore o dal <<genio>> dell’Imperatore e simboleggiato altresì dalla Victoria come quell’ente mistico, rivolgendosi alla cui statua il Senato giurava fedeltà”.

Quanto, poi, tale universalità sia assolutamente differente dal moderno globalismo di ispirazione cristiana e liberale si evince da preziose pagine di Arturo Reghini dedicate proprio all’universalità romana ed a quella cattolica:

Bisogna assolutamente che anche in Occidente esista ed abbia socialmente il suo posto una vera gerarchia spirituale, esperta nelle scienze sacre; altrimenti invece di civiltà occidentale si dovrebbe parlare di barbarie” (5).

Vi è, inoltre, l’interpretazione filosofica, che tramite il “De re publica” di Cicerone ci conduce direttamente alla concezione platonica dello Stato, intendendo l’intera storia di Roma come una manifestazione tangibile dell’Olimpo realizzatosi sul piano fisico, un’incarnazione vera e propria del principio uranico, che andrebbe a farci interpretare ancora con più consapevolezza le successive parole di Tito Livio:

Sia concessa questa scusa all’antichità, di rendere, mescolando le vicende umane a quelle degli dei, più sacri gli inizi delle città; e se a qualche popolo è giusto concedere di rendere sacre le proprie origini e di rimandare agli dei come capostipiti, il popolo romano ha una tale gloria di guerra che, innalzando il potentissimo Marte a padre suo e del suo fondatore, i popoli della terra sopportano pazientemente anche questa convinzione tanto quanto ne sopportano il dominio “ (6).

L’Aeternitas Romae, pertanto, può essere intesa come l’espressione di una visione del mondo non crepuscolare, una schietta, libera e magica adesione virile ad una filosofia delle vette, quelle interne, quelle interiori, che si realizza concependo l’aggettivo “romano” non come una determinazione di una forma storica o pseudo-religiosa, ma come una qualità dello spirito, anche come una scelta di campo attuale, nel presente, nella vita quotidiana e nell’educazione dei propri figli. L’idea di Roma è l’idea che il suo Natale possa essere vissuto ritualmente, cioè riattualizzato in attualità e cogenza, ogni giorno, ad ogni nuova alba che si consacra e si saluta, una libera adesione ad una spiritualità afferente alla Tradizione eroica e primordiale, che sappia rendere perennemente attuale una visione che non appartiene al tempo, non appartiene, per assurdo, neanche agli Dei, ma è di esclusiva pertinenza di coloro che tramite la lotta sotto le insegne di Marte ed il Sacro, sotto la tutela di Giano e Minerva, possano essere Uomini che vivono e muoiono come Dei, come l’Aquila Mithriaca che sola può guardare fissa il Sole, secondo tre principi fondamentali: quello del Fas/Jus, il diritto sacrale romano, quello della Pietas, quale predisposizione di calma e di dignitosa venerazione verso i Numi, e quello della Salus, la salute pubblica quale virtù sacralizzante e venerata come una Divinità.

Tutto ciò è stato già realizzato, è stato già simbolicamente indicato. Non casuale, infatti, è la doppia interpretazione che si assegna al Sulcus Primigenius, quadrato o circolare, ma come ci indicano attenti studiosi come Kerenyi (La religione antica nelle sue linee fondamentali), Casalino (Il nome segreto di Roma) e Baistrocchi (Arcana Urbis), quadrato e circolare allo stesso tempo, quadrato come il solco segnato da Romolo, circolare come l’aedes di Vesta, vero centro dell’Urbe, secondo le ultime scoperte archeologiche di Andrea Carandini (Il Fuoco Sacro di Roma). L’unione dei due simboli è, quindi, il mandala orientale, ermeticamente la famosa “quadratura del cerchio”, la fissazione, la realizzazione in terra della dimensione sovrasensibile, la manifestazione degli Dei nella storia, Roma come Città degli Dei, la tradizione romana quale viatico sapienziale per la rimanifestazione del Nume dentro di sé, così come prescritto dall’Oracolo di Delfi, lo stesso oracolo che consentì a Marco Furio Camillo, “secondo fondatore di Roma”, di conquistare Veio, dopo un prodigio sul lago di Albano. Si palesa la concezione misterica dello specchio, della realtà fenomenica quale riflesso anagogico della realtà numenica, in cui Simboli, Deità, la stessa Storia sono gli strumenti dell’Arte, gli alambicchi dell’Opera che intende risvegliare uno stato di coscienza preciso, appunto quello del “Romano”, quale Ente che si incarna in una maieutica di stabilità interiore, di catarsi, di Vittoria:

Con potenza vi comando al cospetto di questo sole, per Giove altitonante e per tutti gli altri Dei che puniranno la vostra infingardaggine e il vostro indugio. Credete che gli Dei non si curino di questo? Ecco le lettere sacre agli Dei…Queste sono le cerimonie con cui crediamo di poter mutare le leggi stesse della natura…” (7) .

Il Natale di Roma possiamo allora concepirlo non come una mera data commemorativa di un passato seppur glorioso, ma un luogo dell’anima appartenente a quell’ “illo tempore”, di cui ha scritto spesso un Eliade, in cui il tempo cede il passo all’Eterno, la storia alla Metafisica, in cui è doveroso saper ritrovare il Centro:

Romolo o, meglio Romo, come giustamente lo chiama Ignis con arcaica etimologia, è l’esponente supremo di questo destino di stirpe, di questa forza: la folgore che sprizza dall’addensarsi delle nubi gravide di incoercibili forze“ (8).

La forza evocata marzialmente, arietina nel suo senso altamente alchimico e trasfigurante, accolta e ridestata tramite la Venus che da Genetrix diviene Victrix, si sintetizza nella Sapienza dei Numi Vetusti, così come espressa nella linea iniziatica occidentale dell’ermetismo italico e napoletano, in quella Deità, Minerva, in cui la Mens, l’Intelligenza di Giove ha, sola, la potestà di agire attivamente sul mondo e sugli uomini, secondo una celebre indicazione virgiliana: ”Mens agitat molem” (9). Si dovrebbe indagare con maggiore profondità, a tal proposito, quanto esposto da Cicerone sull’esistenza di ben 5 differenti rappresentazioni mitiche del dio Mercurio (10), che non solo possono far tornare alla mente la connessione tra tale Nume e l’ambito dei Misteri sia eleusini sia egizi, essendo lo stesso Arpinate a connetterlo con Persefone e con Toth, ma anche alla multiformità del Mercurio dei Filosofi, come espressione della seminazione gioviana ed alchimica del Cosmo. L’idea della sua eternità si assume come continuo superamento del limite naturalistico da cui sorse, è l’espansione ab aeterno del Limes, come ci rammenta l’antropologo Maurizio Bettini (11), divenendo l’Urbs Orbs, la Citta Mondo, Roma Idea Universale Imperitura: è lo sviluppo palingenetico dei Numi Arcani dell’Urbe, che anagogicamente si identificano per ascesa all’Uno del Tutto, che è la Potenza inespressa prima di Giove, prima di Giano, il cerchio universo di Luce che è Axis Mundi nel Pantheon. Roma, quindi, è Libertà, nel suo senso più altamente metafisico, cioè realizzativo. Roma, quindi, non è superstizione, non è ignoranza, non è ipertrofia dell’ego, è, al contrario, la costante pratica della Modestia, la “Occulta Urbe … del buon senso e della Verità”  di Giuliano Kremmerz (12). Roma è Virtù ed Etica. Roma è Vittoria ermetica e trasmutazione del Ferro in Oro. Roma è, infine, secondo l’insegnamento di Elio Aristide, un’entità spirituale che la retorica, l’eloquio non possono che sminuire nella sua radicale essenza, nella vivente perennità:

Cantando le lodi dell’Urbe, oggi e sempre, tutti sminuiscono più che se tacessero, perché col silenzio non la si può far diventare né maggiore né minore di quella che è, e la conoscenza ne resta inalterata, mentre i discorsi raggiungono lo scopo contrario di quello prefisso: con tutte le loro lodi, non riescono a dare un’idea adeguata di quello che ammirano” (13).

Note:

1 – Virgilio, Eneide, IV, 345 – 347;
2 – Plutarco, Vite Parallele, Romolo, 12 – 2;
3 – Tito Livio, praefatio di “Ab Urbe condita”, I, 7;
4 – Julius Evola, Rivolta contro il mondo moderno, parte seconda, 9 capitolo, sezione b “il ciclo romano”;
5 – Arturo Reghini, Tradizione Romana e Scuola Italia, a cura dell’Associazione culturale IGNIS, Crotone 2006, p. 105ss;
6 – Tito Livio, op. cit., I, 8;
7 – Giordano Bruno, Cantus Circaeus, N 193, Opere Mnemotecniche;
8 – Fabrizio Giorgio, Roma Renovata Resurgat, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2011, vol. II, p. 368;
9 – Virgilio, Eneide, VI, 727;
10 – Cicerone, De Natura Deorum, III, 56
11 – Maurizio Bettini – William M. Short, Con i Romani, un’antropologia della cultura antica, Edizioni Il Mulino, Bologna 2014, p. 101ss;
12 – Giuliano Kremmerz, I Dialoghi sull’Ermetismo, in La Scienza dei Magi, vol. III, Edizioni Mediterranee, Roma 2001, p. 66;
13 – Elio Aristide, In Gloria di Roma, Edizioni Roma 1940, p. 65.

 

Luca Valentini

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