In un impeto di reminiscenze giusnaturalistiche ed illuministiche, il segretario pro tempore della Lega ha citato, nel corso dell’ultima seduta in Senato, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, solennemente approvata il 4 luglio del 1776, a Filadelfia, dai rappresentanti delle tredici colonie britanniche in America settentrionale. Il senatore si è soffermato sulla prima parte della Dichiarazione, che enuncia i principi su cui essa si fonda. In particolare, appare degno di considerazione il richiamo a
Certo, potremmo discutere a lungo delle implicazioni storiche di un diritto a perseguire la felicità inserito nell’atto fondativo di una nuova entità statuale, geneticamente sorta in contrapposizione agli antichi ordinamenti europei, ad una concezione verticale, gerarchica ed assiale del potere; tuttavia, non è questo il punto fondamentale del discorso. Insomma, non stiamo cercando di connettere il segretario della Lega ad una sorta di neoilluminismo, nell’ambito di una bizzarra analisi del pensiero politico contingente. Quello che qui interessa, piuttosto, è rilevare come la narrazione politica e simbolica sovranista, della quale il segretario leghista è indubbiamente autorevole esponente, non perda occasione per ribadire il proprio indissolubile legame con la visione atlantica e del potere e della società. Una visione che assume inscindibilmente la veste dell’individualismo di matrice anglosassone, che è cosa del tutto opposta al valore riconosciuto alla persona ed alla sua dimensione sin dagli albori del pensiero greco. Tuttavia, c’è un altro aspetto da tenere in considerazione: la fotocopia può apparire per lungo tempo simile all’originale, ma mai identica; inoltre, ad un certo punto l’inchiostro può stingere e fare in modo che tutto appaia scadente e dozzinale. Proprio per questo, si avverte l’esigenza di interrogarsi sul fatto se figure come il leghista sappiano di che cosa parlano; se siano coscienti del significato delle loro parole; se, di tanto in tanto, vi colgano almeno qualche contraddizione.
Il senatore ha citato il diritto al perseguimento della felicità: già questo, aiuta a comprendere la profonda differenza di significato che tale termine ha assunto, nel corso della storia statunitense, rispetto ai modelli che si sono affermati in Europa. Perseguire significa tener dietro con costanza ed ardore: reca in sé il seme del conflitto, quasi a voler ricordare che lo stato di natura teorizzato da Thomas Hobbes lascia pur sempre una traccia di sé, anche quando vi si esce attraverso un patto di tale entità. Al contrario, la millenaria storia europea tratta la felicità in termini di ricerca, ossia in una prospettiva che presuppone il rapporto con una dimensione altra e profonda, di cause e principi non riducibili al mero scontro tra forze umane.
Peraltro, soggiungono altri motivi di riflessione: tra i motivi ideali che animano il discorso sovranista, spesso rimarcati da alcune realtà politiche che fanno riferimento a quella che, un tempo, si poteva definire area nazionalrivoluzionaria, vi è il rifiuto, almeno verbalmente, delle logiche liberiste che hanno determinato l’agire sociopolitico continentale almeno a partire dalla fine della contrapposizione del mondo in blocchi: è quantomeno curioso investire in questa critica rifacendosi proprio alle culture che, del liberismo, rappresentano la matrice. Si tratta, in ultima istanza, di meri giochi dialettici. In realtà, il sovranismo non è altro che la forma contingente del perenne tentativo del mondo atlantico di disgregare definitivamente l’Europa; forma contingente, appunto, perché collocata a fianco di altre, che pure sembrerebbero apparire contrapposte al sovranismo stesso; ma la fonte è la medesima. Tutto questo, comunque, ribadisce con forza che non è possibile un approccio nei confronti dell’agire politico che prescinda da chiari riferimenti culturali, coscienti o meno. Il segretario della Lega, i suoi riferimenti non li lesina proprio. Certo, stavolta ha dovuto volgere lo sguardo al di là dell’Atlantico; siamo sicuri, tuttavia, che presto tornerà a parlare anche dell’unica, vera democrazia del Vicino Oriente, l’altro suo grande modello (benché la medesima democrazia non sembra nutrire lo stesso entusiasmo nei confronti del leghista stesso: del resto, in Europa, ha l’imbarazzo della scelta quanto a fedeli sostenitori). Per concludere, un punto fermo, restando sempre nell’ambito dei simboli: ai tempi di Legnano, tra il Carroccio ed il Barbarossa, avremmo senz’altro preferito il Barbarossa.
Marco Zenesini
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