10 Ottobre 2024
Cultura & Società

Metafisica e civiltà – Livio Cadè

“Siamo arrivati a concludere che per poter vivere ancora in comunità ordinata gli uomini devono ritrovare la coscienza del fondamento metafisico della loro esistenza … Per sentire che la spiritualità è fondamento indispensabile di ogni etica, di ogni fiducia e responsabilità e di ogni senso del diritto e dell’umanità, l’uomo deve ritrovare la coscienza di essere un individuo che vive di grazia e aspira alla redenzione. Questa convinzione finisce per imporsi a chiunque studi la civiltà.”

Se mettiamo in controluce queste parole, che Huizinga scrive nel ’43, vedremo emergere un implicito sillogismo: l’uomo è un essere metafisico – ogni civiltà si fonda sull’uomo – ogni civiltà ha fondamenta metafisiche. Non potremmo accettare la conclusione se non partendo dalla premessa che l’uomo ha con l’universo, col proprio destino, con la morte, una relazione metafisica. Da questo dipende l’ordine della comunità, il suo avere un’anima. Alienarsi da tale fondamento significa precipitare nel disordine, decadere da comunità ordinata a semplice società o associazione di convenienza.

C’è stato un tempo in cui l’uomo pensava spiritualmente. Allora il suo pensiero rifletteva l’integralità del suo essere. La dimensione orizzontale della vita, in cui egli lavorava, educava i figli, combatteva e moriva, intersecava la verticalità della Parola, della Presenza che illuminava la caligine del mondo. Neppure le guerre, le carestie o le pestilenze, potevano cancellare le tracce di un disegno provvidenziale. Il finito dell’uomo si dilatava ad accogliere l’infinito di Dio, la storia era un riflesso dell’eternità. Il dotto, il re e il semplice contadino erano uniti dalla fede in questa trascendenza cui dovevano obbedienza e rispetto. Le questioni economiche e scientifiche, o il progresso tecnologico, occupavano nella cultura uno spazio irrilevante. Non per questo quegli uomini erano dei sognatori o difettavano di senso pratico. Si potrebbe dire che beneficiavano di una doppia radice, una carnale e terrena, l’altra spirituale e metafisica. Quest’uomo sospeso tra terra e cielo, era partecipe in egual modo dell’orrore e della bellezza. È a lui che dobbiamo le creazioni più sublimi dell’arte, della filosofia, del diritto, della poesia, dell’architettura. L’uomo moderno, lasciando la via metafisica per la razionalità scientifica, non è certo diventato più razionale o pacifico. Ha però smarrito la coscienza di quel fondamento da cui rampollano l’ordine e la bellezza del mondo.

Per l’uomo di oggi, ‘metafisico’ è ciò che lo allontana dalla concretezza dei fatti. In un mondo in cui la scienza avoca a sé la giurisdizione del reale, i valori ‘spirituali’, scientificamente indimostrabili, appaiono irreali e vengono confinati ai margini della vita, come in misere riserve indiane. La spiritualità, ritenuta incapace di produrre beni concreti e di riferirsi a fatti reali, è vista come sogno, genere di consumo voluttuario e socialmente superfluo. Quindi, se Huizinga ha ragione nel porre la metafisica a fondamento di ogni civiltà e se la scienza implica un rifiuto della metafisica, allora si può dire che è la scienza stessa a determinare il declino di una civiltà.

Di fatto, un processo cosiddetto illuministico ha determinato un’eclissi della metafisica, come un sinistro sole nero. A ciò corrisponde un profondo squilibrio perché, se l’uomo religioso nell’interpretare il mondo cercava di armonizzare fede e ragione, l’uomo scientifico non ammette coscientemente che la polarità del razionale. La fede è divenuta in lui un’ombra maligna, il doppio misterioso che lo accompagna e lo porta a credere ingenuamente in un mondo fatto solo di eventi misurabili. Ai suoi occhi, lo spirito, che elude ogni misura, non può dunque esistere. La psiche è ridotta a groviglio neurologico, l’essere coincide con un corpo deperibile che il tempo annichilisce. I vecchi scrupoli relativi al destino dell’anima si convertono in ossessione biologica e sanitaria. L’uomo non si preoccupa più di indimostrabili aldilà ma, con la fede di una beghina medievale, crede ai farmaci, agli esami diagnostici, come a nuovi sacramenti. Se un tempo non si discuteva la parola di Dio, apodittico oggi è ciò che è “scientificamente dimostrato”.

Questo rapido rannuvolamento dell’orizzonte metafisico ha segnato un tramonto dell’arte, della vita morale, dei valori. La scienza dei ‘fatti’, dei fenomeni, non può dire nulla sul ‘valore’, su ciò che per sua natura è inattingibile alla razionalità scientifica. Per questo, nel momento in cui diviene un inconscio dogma metafisico, o un idolo culturale, la scienza inaridisce le energie spirituali di una civiltà, condanna i suoi sensi etici ed estetici a una progressiva atrofia e degenerazione. Perché l’opzione che si pone alla coscienza moderna è quella di sottoporre anche il bene e il bello ad analisi scientifica, ossia di tradurne in quantità la qualità, il che ne distrugge l’essenza. O di considerarli espressioni di una soggettività irrazionale o di convenienze sociali.

Il pensiero scientifico non può conciliarsi con ideali etici senza entrare in contraddizione con sé stesso. La metafisica può concepire una società basata sull’amore e sulla libertà. Il modello scientifico, se coerentemente applicato, porta alla negazione di ogni pietas. In una cosmologia fatta di numeri, forze e determinismi, non v’è atto, per quanto efferato, che non si possa giustificare con l’indifferente amoralità delle leggi naturali, e nulla che possa fondare l’idea di libertà. Ogni tentativo di dare all’etica basi puramente razionali, ignorando le sue radici metafisiche, porta al collasso dei suoi stessi principi. Non sorprende neppure che l’affermarsi di un certo pensiero scientifico, statistico, proceda parallelo a quello di regimi democratici appiattiti su relazioni numeriche e il cui esito è una plutocrazia, cioè una dittatura di forze finanziarie inoppugnabili quanto la forza di gravità o elettromagnetica. I nostri valori estetici, etici e giuridici, il nostro dibattere sul significato del bello o della dignità, del rispetto o della giustizia, si rivelano allora i relitti di un passato metafisico, la cui logica è in radicale conflitto con la logica della scienza, anche se di tale dissidio non ci accorgiamo. Non possiamo essere etici e scientifici nello stesso tempo. Possiamo oscillare tra etica e scienza, cambiando d’abito secondo le circostanze, senza poter ricomporre la loro frattura. L’unico modo per uscire dall’impasse è recuperare una intuizione metafisica, che saldi scienza ed etica in un’unica Totalità o Fondamento.

Il pensiero moderno conosce solo l’ombra dell’uomo. Cercare l’Uomo reale, espressione di un cosmo metafisico, essere “che vive di grazia e aspira alla redenzione”, significa tornare a pensare spiritualmente. Ma noi oggi rifiutiamo l’idea di dipendere da una ‘grazia’ su cui non abbiamo alcun controllo, né pensiamo vi sia una redenzione cui aspirare. Il concetto di peccato ci scandalizza come una sorta di oscenità intellettuale. La nostra libertà, i nostri desideri, sono per noi fattori di progresso e, nel nostro culto di miti laici e democratici, non vediamo alcuna necessità di rifondare le strutture del sacro “per poter vivere ancora in comunità ordinata”. L’economia, la scienza, la tecnica, sono le fondamenta su cui, senza alcun bisogno di prospettive metafisiche, poggiamo la nostra illusoria sicurezza.

Dunque, se la necessità di una coscienza metafisica “finisce per imporsi a chiunque studi la civiltà”, temo che, osservando il nostro secolo, lo storico futuro non vi vedrà alcuna civiltà degna di tal nome. Oppure vi vedrà una pseudo-civiltà fondata metafisicamente sulle sue stesse ideologie anti-metafisiche. Di fatto, come non possiamo non essere umani, non possiamo non essere metafisici, solo avere una buona o una cattiva metafisica. La nostra società, sforzandosi di essere anti-dogmatica e di emanciparsi da antichi tabù, ha solo prodotto nuovi dogmi e tabù. Sforzandosi di essere concreta, si è circondata di astrazioni e smaterializzazioni vertiginose. Intelligenze artificiali, forme di comunicazione virtuali, teoremi sociali, fanno ormai evaporare il mondo a noi noto, le nostre naturali interazioni con la vita, la sessualità, la famiglia, diventano volatili fantasmi. E il denaro, bene mondano per eccellenza, è diventato un simulacro della trascendenza. Forse solo in queste forme alienate l’uomo riesce oggi a esprimere la sua natura metafisica. Senza saperlo, cerca un invisibile oltre nei riti di questa neo-religione laica, nella sua stessa caducità, nelle sue potenti illusioni.

2 Comments

  • lorenzo merlo 4 Agosto 2021

    Livio, più che fede, per riferirsi alla dimensione metafisica che siamo, che ci crea e con la quale creiamo, direi estetica.
    La conoscenza attraverso il sentire, tende a rivelare alla coscienza il legame col cosmo.
    Mi pare che il dogma tenda ad essere più presente nel concetto di fede.
    Poi c’è la fede in ciò che sentiamo, che a sua volta diviene luce virginea quanto sgombra da ciò che sappiamo.

    • Livio Cadè 4 Agosto 2021

      “Luce virginea sgombra da ciò che sappiamo” è una bella definizione di ciò che intendo per fede, intuizione del mistero che non ha niente da spartire col dogma.

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