Per comprendere il fenomeno del ‘tradizionanismo‘ – termine che preferisco a ‘pseudo-tradizionalismo’ perché più espressivo ed evocativo – e per non confonderlo col tradizionalismo, cui è strettamente imparentato, occorre fare alcune premesse di ordine generale. Essendo implicito il rimando a un’idea di Tradizione, è necessario cercar di chiarire il senso di quest’ultima parola. Essa racchiude un complesso di motivi cosmogonici, metafisici, soteriologici. È una sorta di philosophia perennis, di scienza sacra sui cui fondamenti eterni e immutabili dovrebbero idealmente poggiare tanto le strutture della vita individuale quanto quelle della società. Possiamo dire si tratti di un deposito di verità rivelate che intendono guidare l’umanità verso il summum bonum. Non è facile dire quale sia la natura di questo Bene ultimo, verso cui non solo l’umanità ma l’intero universo faticosamente tende. Alcuni rifiutano di darne una spiegazione, altri lo ricoprono di immagini e di concetti, altri lo rendono oggetto di studi tradizionalistici.
Nell’ultimo secolo v’è stata una vasta fioritura di tali studi. Il tradizionalista sta all’uomo della Tradizione un po’ come il filologo o lo storico della musica stanno al musicista. Non è raro trovare tra queste categorie – storici e filologi – persone sprovviste di orecchio e di abilità musicali. Costoro svolgono un ruolo prezioso, mostrano spesso eccezionali competenze e producono una grande quantità di stimoli estetici e culturali. Tuttavia, non v’è nei loro lavori alcun canto, alcuna armonia. Questo si può dire anche dell’opera del tradizionalista il quale, per quanto profondo conoscitore di simboli e valori spirituali, è spesso privo dei particolari talenti dello spirito.
Per usare una classica similitudine, si può dire che il tradizionalista parli dell’amore senza entrare nella camera nuziale, senza conoscere i segreti di quello ‘sposalizio mistico’ in cui la natura umana, trasfigurata dalla luce di Dio, si deifica anch’essa. Di fatto, solo il mistico può parlare con autorevolezza di questa unione, in cui l’anima gode di una totale intimità con lo Sposo divino. Chi ignora l’estasi di un amplesso metafisico si accontenterà di nebulose congetture, simile, come dice Rumi, a un bambino che vuol comprendere la natura dell’amore sessuale. Questa allegoria erotica ci aiuta a chiarire il senso del ‘tradizionanismo’. Dobbiamo a tal scopo immaginare che il desiderio del divino sia animato da una sorta di libido spirituale che, analogamente all’energia sessuale, conosce progressive fasi di sviluppo. Il ‘tradizionanismo’ sarà allora l’indugiare di questo erotismo metafisico in forme di appagamento infantili.
Se per comodità usiamo la classica suddivisione freudiana, possiamo distinguere nel ‘tradizionanismo‘ tre stadi fondamentali. Nel primo avrà carattere orale, sarà un ‘tradizionanismo’ gastronomico, avido di saperi-sapori tradizionali con cui stuzzica il palato senza nutrire lo stomaco. Nel secondo, dominato da una fissazione anale, prevarranno i tratti rigidi e maniacali. È il ‘tradizionanista’ accademico, cui piace memorizzare, ordinare con scrupolo sistematico, collezionare concetti tradizionali come monete fuori corso, ed evacuare libri. Nel terzo, il ‘tradizionanista’ è attirato da simbologie falliche, dagli aspetti virili della Tradizione, dall’esibizione del potere. Tende al culto degli eroi, della forza, di divinità guerriere. Il ‘tradizionanista‘ si colloca generalmente in uno dei due grandi rami della Tradizione, quello mistico, passivo-femminile, o quello magico, attivo-maschile (adesione illusoria, perché gli difettano sia l’umiltà e la devozione del mistico, sia la ferrea volontà del mago). Più specificamente tende però a iscriversi a una precisa corrente di pensiero, come a una tribù o a un partito politico, cercandovi un rinforzo al suo deficitario senso di identità. Dirà quindi di sé: “io sono un x-iano, uno y-ista ecc.”, dove il segno algebrico sta per il nome di un maître à penser o di una certa fede.
Sarebbe necessario, per una miglior comprensione, analizzare le fantasie lucide o inconsce cui il ‘tradizionanista‘ indulge regolarmente, in quanto rivelatrici di un fondo immaginale. V’è per esempio il ‘tradizionanista’ edipico, che sogna di affondare nel seno di Grandi Madri; v’è chi si identifica con un Essere al di sopra del bene e del male, assolvendosi così da ogni senso di colpa; il ‘tradizionanista’ mitomane, convinto di possedere speciali carismi, ambisce a farsi maestro e guida degli altri; il suo necessario complemento, il ‘tradizionanista’ sottomesso e insicuro, cerca figure paterne. Di solito l’impulso metafisico presenta in questi casi tipiche perversioni. Il ‘tradizionanista‘ feticista venera specifici frammenti della Tradizione come reliquie erotiche; quello gerontofilo prova un’eccitazione direttamente proporzionale all’antichità di una dottrina; il ‘tradizionanista‘ necrofilo gode nel dissezionare la Tradizione come un cadavere – “rosicchiando le ossa degli antichi”; nell’apologia della sofferenza di certe ascesi tradizionali troveranno motivo di godimento i ‘tradizionanisti‘ a orientamento sadomasochistico. L’esito più esiziale del ‘tradizionanismo’ è il ristagno narcisistico, in cui la Tradizione è adibita a specchio in cui rimirare sé stessi. La libido si arrotola su di sé, nella presunta autosufficienza di un pensiero che si divinizza da solo, senza bisogno di alcuna trascendenza.
Si può vedere nel ‘tradizionanismo’ una rimozione e sublimazione di conflitti, un tentativo di difendersi dalla vita con i gesti apotropaici della cultura, della memoria. Il ‘tradizionanista‘ soffre di un impasse esistenziale, teme la ruvida concretezza dell’hic et nunc. Cerca rifugio in una elaborata razionalizzazione, nel potere salvifico dell’erudizione. Per tale motivo il ‘tradizionanista‘ diviene spesso un vero esperto, ama la conoscenza pletorica e il rassicurante nozionismo. Gli piace spelare simboli come cipolle, senza arrivare mai a un centro, fare commenti dei commenti, esegesi delle esegesi, sillogi delle sillogi, in uno scivolamento verso livelli sempre più astratti e irreali. Il destino a volte lo scuote, ma i richiami della realtà si smorzano nella sua ovatta ideologica e protettiva. La Tradizione si riduce a galateo metafisico, espressione di bon ton intellettuale. Al termine di questo processo involutivo, degenera infine nel tradizionalmente corretto.
Sterile per sua natura, il ‘tradizionanismo‘ genera solo fusioni simbiotiche con le ombre del passato; evoca gli spettri di una Tradizione che, più se ne parla, più sembra ammutolita e impotente. Da pratica di risveglio, la Tradizione si trasforma in un surrogato delle fiabe che si raccontano ai bambini per farli addormentare. Come certe forme della new-age, dell’orientalismo, dello spiritualismo ecc., anche il ‘tradizionanismo‘ cela, sotto un’ortodossia di facciata, tendenze anti-tradizionali. Amico della lettera e nemico dello spirito, si esaurisce in concetti che non producono alcuna trasformazione interiore. Così, diventa un impedimento tanto a una concreta metafisica dell’individuo quanto a una metapolitica della società. Non crea di fatto alcuna prospettiva liberatoria ma induce nuove dipendenze. Prigioniero di immagini superficiali, il ‘tradizionanista‘ non osa scrutare l’abisso dell’amore divino. Dimentica lo Sposo, che forse arriverà inaspettato nella notte, trovandolo addormentato come le vergini sciocche. Le parole tracciano intorno a lui un cerchio magico da cui non può uscire. Come l’asino legato alla macina, disegna migliaia di circoli ma ritorna sempre allo stesso punto. E girando in quel solco sempre più profondo che lui stesso ha scavato, si illude di trovarsi nel solco della Tradizione.
6 Comments