di Gianluca Padovan
Da circa un secolo si scrive, si disegna e si divulga la lieta novella del “topo-animale-simpatico”.
Soprattutto nei decenni post-atomici abbiamo assistito, ma abbiamo anche subito, l’apoteosi del topo, ma io direi del ratto, che impersona l’essere umano sbobinandoci le sue mirabolanti imprese.
In primo luogo mi chiedo per quale pernicioso motivo si voglia a tutti i costi sostituire all’essere umano un animale per insegnare, innanzitutto ai più piccini, come dovrebbe comportarsi l’essere umano stesso. E ciò facendoci dispensare da una bestia lezioni di “bon ton”, storielle a sfondo lacrimosamente morale e via discorrendo.
Un tempo si utilizzavano talune figure animali, tanto disegnate quanto raccontate, per dileggiare o smascherare figure di potere lesive per la vita del popolo. Oppure, semplicemente, per fare dell’umorismo senza prestare il fianco alla denuncia e alla conseguente frusta o, peggio, al “tratto di corda”. Allora tanto il mezzo quanto il fine erano palesi per ognuno. Oggi non altrettanto e la gente corre a frotte alle labbra d’animali da cui pendere.
Grazie soprattutto al nostro retaggio agricolo sappiamo cosa sia il topo. Il “topino campagnolo” non disturba eccessivamente, seppure in grandi quantità possa saccheggiare intere dispense, oppure inquinare i magazzini delle sementi e via discorrendo. Comunque il topo fa parte della comunità campestre a quattro zampe, riscontrabile anche in città.
Si può invece constatare che non tutti sappiano che cosa sia il ratto. Di fatto, topo e ratto non sono l’identico animale chiamato con nomi differenti e il secondo non appartiene all’originario bestiario europeo.
Il ratto mi suscita un istintivo moto di ribrezzo. Ma non perché sia repellente, anzi, a vederlo bene presenta un musetto simpatico e magari pure dotato d’un barlume d’intelligenza. Mi ripugna perché è portatore di così tante malattie che nemmeno ve l’immaginereste.
In città, ma pure in campagna, abbiamo il “ratto nero”, detto meno comunemente “ratto dei tetti”, ovvero il Rattus rattus. Originario del sub continente indiano, è penetrato in Europa portandovi, ad esempio, i germi della peste. S’incontra inoltre il “ratto delle chiaviche”, detto comunemente “topo delle fogne”, ovvero il Rattus norvegicus, chiamato anche “surmolotto” o “pantegana”. A dispetto del nome scientifico latino il suo areale originario era compreso tra la Cina del nord e la Siberia del sud.
È inutile negare che gli impianti fognari siano l’habitat preferito della pantegana: albergo già pronto, temperatura costante, rifiuti organici in abbondanza. Inoltre non ha avversari che ne contrastino la proliferazione e l’espansione.
Stando a talune indagini parrebbe che le pantegane prediligano le architetture d’epoca e difatti s’insediano preferibilmente nelle fognature costruite con i mattoni. Più difficilmente albergano tra le moderne opere in calcestruzzo e cemento armato. In ogni caso i ratti e i topi proliferano soprattutto nelle aree degradate e tra gli accumuli di materiale in abbandono (che dovrebbero essere trasportati nelle apposite discariche). In ogni caso posso assicurarvi d’aver incontrato nel sottosuolo di alcune città tanto il Rattus rattus quanto il Rattus norvegicus.
Milano, ad esempio, è abitata dai ratti, tanto grigi quanto neri. Nessuno si sarà messo a contarli, ma se volete avere qualche stima sulla consistenza della comunità potete digitare sul mefistofelico web le seguenti parole-chiave: “Milano ratti sottosuolo”. In ogni caso qualcheduno calcola che a Milano vi siano 3-4 “topi-ratti” per ogni abitante. Parliamo quindi di circa 4,5-6 milioni di simpatici quadrupedi con la coda lunga e glabra.
Perché il ratto suscita ribrezzo? Secondo me perché la sua figura è legata all’ancestrale e al contempo ben presente ricordo di un mortifero batterio, quello della peste. La peste è una malattia infettiva contagiosa, con grave sintomatologia acuta che determina un alto tasso di mortalità, manifestandosi in “peste bubbonica” o in “peste polmonare”. È causata dal batterio Yarsina pestis, che viene trasmesso all’essere umano sia dalle pulci del “ratto nero”, sia da altri animali. Anche la pantegana ospita pulci portatrici della peste, ma queste non si “attaccano” all’essere umano, o almeno così ci assicurano i testi scientifici. Ma io, personalmente, non rimango affatto “rassicurato”.
Rimane lecito domandarsi quanto ci si possa ritenere al sicuro in un contesto invaso dai roditori. Ma nessuno si domanderà quanto possano essere al sicuro i roditori in un contesto infestato dagli umani.
Personalmente mi preoccupa di più constatare come i fumetti, i cartoni animati e taluni racconti per bambini e adolescenti, con protagonisti i topi, abbiano riscosso tanto successo e ancora oggi vadano per la maggiore, o quasi. Il topo e il rattone saranno anche simpatici (forse), ma senz’ombra di dubbio non sono i nostri “animali da compagnia”.
Gabellare per innocuo, simpatico, o peggio colto e morale un sordido ratto mi pare una devianza culturale pericolosa, una deriva ben più perniciosa della stessa insorgenza batterica.