Gustav Meyrink è, da tempo, autore di culto per quanti si occupino di letteratura fantastica ed esoterica. Non è di certo casuale che, ad introdurre lo scrittore austriaco nelle patrie lettere, sia stato Julius Evola, che tradusse nella nostra lingua alcuni suoi significativi scritti. E’ ora disponibile, in prima edizione italiana, il volume di Meyrink, La metamorfosi del sangue, edito da Bietti (per ordini: 02/29528929, pp. 170, euro 17,00) per la cura di Andrea Scarabelli e con introduzione di Sebasti
Da quel momento la «brama» di verità si impossessò di lui: all’improvviso, in un attimo (del cui senso successivamente, nel peregrinare tra diverse società dedite alla ricerca esoterica, ebbe contezza, in particolare frequentando, ricorda Fusco, la Società della Fratellanza Ermetica di Luxor), qualcosa in lui si mosse, e comprese che la morte non deve essere pensata quale esperienza della dissoluzione definitiva, ma come: «trampolino verso l’esistenza superiore. E’ un attimo che splende di vivida luce bianca, da cui tuttavia non dobbiamo farci avvolgere, ma che dobbiamo attraversare» (p. 17). L’esistenza superiore non è qualcosa di automatico, ma una realtà che va perseguita a caro prezzo. Quell’esperienza così radicale di crisi si concluse dopo che ebbe udito una voce nella stanza intimare: «Non si attraversa così lo Stige!» (p. 132), a voler suggerire come la volontà di assoluto debba portare ad una liberazione, chiosa Scarabelli: «della vita nella vita» (p. 153).
Anche Evola, intorno ai ventitre anni, visse una fase non dissimile. Se Meyrink la superò grazie alle parole della «Guida velata» che, da quel momento si manifestò in lui, il filosofo romano ne uscì dopo la lettura di un testo buddhista che, guarda caso, contrapponeva, come nel caso occorso allo scrittore mitteleuropeo, l’estinzione corporea alla possibile Vita superiore. Meyrink, come ricordano molte pagine del volume che stiamo presentando, da allora si dette ad una indefessa ricerca: partecipò alla fondazione della teosofica Loggia della Stella Blu e, probabilmente, fu prossimo alla Golden Down. Nel 1923 entrò, tra le altre, nella Antica Chiesa Gnostica di Eleusi e, tre anni dopo, ne la Loggia Bianca. Infine, incontrò la teoria e la pratica dello Yoga, disciplina che pratichò ininterrottamente fino al termine dei suoi giorni, alla ricerca della libertà ed immortalità in vita, che aveva intravisto, nell’attimo «bianco», in quel triste giorno del 1891, nel quale aveva deliberato di lasciare questo mondo. Dopo un incontro con lo scrittore Oskar A. H. Schmitz, ricorda Scarabelli, Meyrink decise di mettere sulla carta le proprie esperienze interiori e nacque quello straordinario mondo onirico messo in scena nei romanzi e racconti. Del resto, se la Cabala rappresenta il cuore vitale del Golem, lo Yoga lo è de La faccia verde.
Lo scrittore, seguendo il consiglio di Schmitz: «inserì nelle sue storie tutte le conoscenze accumulate negli anni di apprendistato dell’Altrove» (p. 139). Dette, pertanto, veste letteraria, alle immagini delle proprie visioni, che si spingevano oltre il velo prodotto dalla fuorviante contrapposizione di soggetto-oggetto, attorno alla quale dibattevano materialisti ed idealisti, da posizioni, solo in apparenza, divergenti. La metamorfosi del sangue, così come il testo L’immortalità, chiariscono che il centro ideale della visione del mondo di Meyrink è di fatto il Risveglio, punto d’avvio di tutte le vie iniziatiche. A determinare la sconfitta del materialismo trionfante, non sarebbe potuta essere la prospettiva idealista, ma la conferma pratico-realizzativa della non esistenza della materia e dell’oggetto, quali categorie e realtà contrapposte al soggetto: «Tutto ciò che ha forma è soggettivo, è visto partendo da me: è bensì reale, ma non in un senso oggettivo» (p. 144). Lo scrittore pensa ad una realtà soggettiva non meno reale, rileva Scarabelli, di quella oggettiva per: «giungere poi a identificare le realtà tanto oggettive che soggettive come altrettanti piani dell’Io» (p. 144). Muovendo da tale prospettiva, Meyrink legge le diverse epoche storiche, ognuna delle quali è caratterizzate da definiti paradigmi gnoseologici, prescriventi l’attivazione di stati determinati dell’Io, piuttosto che altri. Conoscenza antica e moderna vivono in una contrapposizione di modalità gnoseologiche tra le quali non è possibile stabilire una gerarchia di valore, come ha preteso di fare il sapere critico-scientifico. In ciò, viene rilevato nella postfazione, è evidente la prossimità delle tesi di Meyrink , a quelle sostenute in tema da Evola: «Non vi è una realtà finita ed una assoluta, sibbene un modo finito e un modo assoluto di sperimentare la realtà» (p. 146). Le pagine de La metamorfosi del sangue mostrano che Meyrink spese l’intera vita al fine di acquisire lo sguardo assoluto sul mondo. Le sue opere sono la testimonianza di tale cammino, che ha conosciuto sconfitte e vittorie, cadute e subitane ripartenze.
Giovanni Sessa