Nell’agosto del 1977 moriva Groucho Marx, attore, conduttore televisivo e radiofonico, scrittore, aforista, genio fulminante, il più grande della numerosa dinastia artistica di fratelli ebrei americani di famiglia povera. Ho sempre saputo di essere marxista. Nel senso di Groucho, naturalmente. Arrivo in ritardo, come spesso mi accade nella vita. Infatti, già nel mitico Sessantotto, sui muri di Parigi apparvero scritte del tipo “Je suis marxiste, tendance Groucho”. Gli allegri ragazzotti della Sorbona intendevano dissacrare l’austero Karl Marx, a cui pure si ispiravano, troppo serio e austero per la loro rivoluzione di carta, che voleva mandare al potere nientemeno che l’immaginazione e seppellire gli avversari con una risata.
Groucho, certamente, in materia era più attrezzato di Karl. Forse, tra un evento situazionista, un happening e i primi trip, i viaggi a base di acido lisergico, i sessantottini avrebbero fatto meglio a diventare davvero marxisti della tendenza Groucho. I loro nipotini del terzo millennio, da tempo in cattedra, Groucho l’hanno preso troppo sul serio: pensiamo alla formidabile battuta sull’egoismo, il culto del presente, del successo qui e subito: “che cosa hanno fatto per me i posteri? “La rilanciò un altro attore ebreo di New York, Woody Allen, dissacrante, corrosivo anch’egli, ma senza la carica morale di Groucho unita all’allegria. Allen è un intelligente distruttore interno al sistema, allineato a tutti i luoghi comuni dell’Occidente terminale.
Groucho, fedele al suo nomignolo (brontolone, musone, questo significa il suo nome d’arte) manteneva una carica etica. Era figlio di tempi migliori e sapeva ridere anche di se stesso. Capì della grande depressione del 1929 più di mille intellettuali: “certi miei conoscenti persero milioni. Io fui più fortunato: persi solo duecentoquarantamila dollari. Avrei perso di più, ma quelli erano tutti i soldi che avevo “. Alla fine, Groucho Marx fu uno degli uomini più divertenti del secolo, ma sempre – come certi grandi del passato – sul filo dell’ironia: castigat ridendo mores. La sua autobiografia (Groucho ed io, una sana presa di distanza anche da se stesso!) è un canto di passione per la vita che andrebbe prescritto con ricetta obbligatoria al triste Occidente preda dell’odio di sé, della paura e dell’indifferenza.
Fu probabilmente l’unico comico citato da un monarca. La regina Elisabetta d’Inghilterra, che deve possedere grandi risorse di humour per reggere da quasi settant’anni la sua regale professione, così si espresse alla cerimonia per i suoi ottant’anni: “come una volta Groucho Marx disse: chiunque può invecchiare, tutto ciò che devi fare è vivere abbastanza a lungo”. Groucho tenne duro sino a 87 anni e il suo ultimo spettacolo fu per il giovane Elliott Gould. All’ospedale era pieno di tubi che lo tenevano in vita. Era debole, ma mise le dita sui tubi e li suonò per l’amico come fosse un clarinetto. La sua autobiografia è una specie di esilarante rovescio dell’Enchiridion di Epitteto, il manuale stoico che insegna a sopportare la vita: per quante miserie uno affronti, domani sorgerà nuovamente il sole.
Era un ingegnoso pirata pieno di apparenti stravaganze, capace di trovare rimedio alla noia, alla fame, ai mali del mondo. Fu una specie di Ulisse del XX secolo sbarcato a New York da un cavallo di Troia di intelligenza, umorismo, brillanti invenzioni, scoppiettanti giochi di parole. Meglio, assai meglio delle tremila e più pagine del Capitale del suo omonimo filosofo e rivoluzionario. Si ride con Groucho, ma c’è una morale che non diventa mai moralina o pistolotto moralistico. Certo, vedere all’opera da trent’anni il capitalismo assoluto, dispiegato senza rivali dopo la fine del comunismo e la sconfitte delle ideologie novecentesche, rivaluta il vecchio Karl Marx. Aveva le sue ragioni e forse persino buone intenzioni, ma del senno di poi son piene le fosse.
L’opera di Karl ebbe notevoli intuizioni, ma produsse danni incalcolabili senza risolvere alcuno dei problemi a cui pensava di dare soluzione. Certo, l’austero pensatore, dall’alto della barba fluente e degli studi profondi di una vita intera, non avrebbe mai detto, della sua opera, ciò che riconobbe Groucho della sua: “questo libro è stato scritto nelle lunghe ore che ho passato aspettando che mia moglie si vestisse per uscire. Se non si fosse vestita affatto, questo libro non sarebbe mai stato scritto.” Sublime distacco, una presa di distanza da se stesso da insegnare a troppi “intellettuali dei miei stivali” (copyright di Bettino Craxi).
Il corpus di idee del marxismo “grouchista” è ricco e fiorito, e le sue parole d’ordine, bene intese, servono per tutto, o quasi. E’ un credo libero che invita a diffidare dei santoni, dei sapienti, gli esperti che possiedono la soluzione per tutto e la mettono in vendita, come Dulcamara l’Elisir d’amore. Diffidò i lettori a non dare peso neppure a lui stesso: “le mie idee non valgono un fico secco, e non saranno di aiuto a nessuno “. Oh, se l’omonimo Karl avesse premesso alla sua poderosa opera omnia analoghe avvertenze! Tuttavia, Groucho aveva un elevato senso morale. Il relativismo montante, il cinismo della società del tornaconto ebbe da lui la sanzione della battuta più distruttiva: “questi sono i miei principi: se non le piacciono, ne ho altri “.
In realtà credeva nell’inviolabilità di certi principi. Forse, la migliore spiegazione della distinzione posta da Max Weber tra etica della convinzione ed etica della responsabilità – ovvero del calcolo – sta in uno sketch in cui Groucho in un bar chiede a una ragazza se andrebbe a letto con lui per una somma spropositata. La ragazza abbozza, capisce che è una domanda retorica e risponde affermativamente. Subito Groucho mette sul bancone dieci dollari e la invita a consumare il rapporto. “Per chi mi prende?” si offende lei, ma la controreplica è fulminante: “quello che è lei è molto chiaro; stiamo solo discutendo del prezzo “.
In maniera molto differente da Karl, anche Groucho si interessò di politica, pervenendo a conclusioni sorprendentemente moderne: la politica, disse, è l’arte di cercare problemi, trovarli, fare diagnosi false e applicare poi rimedi sbagliati “. Anticipò di quasi un secolo il male che corrode la democrazia in America e, per estensione, il resto dell’Occidente: “la menzogna è diventata una delle più importanti industrie d’America” Oltre alla biografia, si può capire il senso della vita di Groucho nelle sue lettere, numerose e importanti. Pur essendo quasi incolto, fu instancabile lettore e brillante autodidatta. “Ho sempre rimpianto di aver interrotto la mia educazione in quinta elementare. È piuttosto dura quando ti trovi lì nel gran mondo e cerchi di affettare un atteggiamento sofisticato. La padrona di casa potrebbe snocciolare teorie di Schopenhauer e Kafka. Tu al massimo potresti spingerti alla tabellina del sette”. Intrattenne corrispondenza con il grande poeta Thomas S. Eliot e numerosi altri.
E’ nota una sua concisa lettera alla rivista rosa Confidential. Tacque quando lo accusò di eccessivo interesse per ragazze molto giovani, perché era la verità, ma non si trattenne allorché scrisse che un suo programma televisivo era truccato. In quell’occasione dimostrò di essere un fuoriclasse: non minacciò querele né richiese risarcimenti. Si limitò a due righe: “egregi signori, se continuerete a pubblicare articoli diffamatori contro di me, mi vedrò costretto a cancellare il mio abbonamento “. Ecco perché sono un convinto marxista! Ebbe un teso scontro con la casa di produzione Warner Bros, a proposito del suo film Una notte a Casablanca, che, secondo i produttori, ledeva i loro diritti relativi al celeberrimo Casablanca con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. La risposta di Groucho (un vero marxista!) è un vertice dell’umorismo di ogni tempo contro la rapacità ed arroganza del mondo liberalcapitalista.
Citiamo due brani: “sembra che ci siano vari modi di conquistare una città e di tenerla sotto il proprio dominio Ad esempio, non avevamo la minima idea che la città di Casablanca appartenesse esclusivamente ai Fratelli Warner “Esilarante è la rivendicazione successiva del termine “fratelli”, sul filo dell’ironia sottile, ma anche del concetto “politico “, di proprietà intellettuale, di marchio, esclusiva, privativa industriale, tanto importante ai giorni nostri. “Le signorie vostre rivendicano la loro Casablanca e pretendono che nessuno utilizzi quel nome senza il loro permesso. Che mi dicono di Warner Brothers? Probabilmente, lor signori hanno il diritto di usare il nome di Warner, ma quello di fratelli (Brothers)? E’ anch’esso di vostra proprietà? Professionalmente, noi eravamo Fratelli molto prima di voi. Andavamo in tournèe come Fratelli Marx quando la Vitaphone era ancora un semplice bagliore nell’occhio dell’inventore e comunque anche prima di noi ci furono “fratelli”; gli Smith Brothers, fabbricanti di pastiglie contro la tosse, i Fratelli Karamazov e persino Dan Brothers, centrocampista del Detroit. “
Chi è il vero Marx, dunque: Karl o l’ebreo povero Groucho? La bibbia del marxismo grouchista si trova nei suoi film, ma anche nell’autentica medicina dello spirito della sua sapienza di aforista filosofico in veste di comico. Se siamo preoccupati per l’economia, non resta che attenersi alla modestia, alla frugalità e alla misura raccomandata da Groucho, non da Karl: “figlio mio, la felicità è fatta di piccole cose: un piccolo yacht, un piccolo castello, una piccola fortuna in dollari”. La lezione morale, mascherata dalle battute pirotecniche, sta in sentenze come “l’umanità, partendo dal nulla e a furia di tanto sforzo, è arrivata a raggiungere i più alti livelli di miseria”. American way of life. Ce n’ è anche per se stesso, per i matrimoni falliti: “mi ha sempre sposato un giudice. Devo avere sempre preteso una giuria”.
Il marxismo- grouchismo raggiunge anche il senso ultimo della vita. Gli amanti del cinema ricorderanno Hannah e le sue sorelle, un film di Woody Allen degli anni Ottanta. Il protagonista passa dalla gioia immensa di sapere che non è affetto da un cancro allo stadio terminale, all’abisso profondo di rendersi conto che, anche se non è stato oggi, domani ci sarà un finale. Tenta infruttuosamente con tutte le fedi disponibili (Allen rappresenta un mondo troppo superbo e intellettuale per riuscire a credere in Dio…). Deluso, decide di suicidarsi. Fallisce il colpo, si rifugia in un cinema che proietta La guerra lampo dei fratelli Marx. Il personaggio, Mickey Sachs, alter ego di Allen, comprende che la vita merita di essere vissuta. Al Marx buono bastano pochi fotogrammi per lanciare un messaggio potente: il paragone con il terribile mattone delle oltre tremila pagine del Capitale di quell’altro è impietoso.
I seguaci del ramo sbagliato dei Marx diranno che non ci può essere paragone intellettuale tra Karl e Groucho. E’ vero, ma sino a un certo punto. Carlo è un pilastro della storia delle idee e non si può capire la filosofia, la storia e la politica di un secolo e mezzo senza riservargli speciale attenzione. Tuttavia, chi può negare che causò lutti e tragedie? Groucho, peraltro, ebbe un suo spazio nel mondo intellettuale (ahi, con quale battuta fulminerebbe questa frase!), trattò con Salvador Dalì, con Eliot e molti autori, scrittori e critici. Da uomo di spettacolo, comprese presto il ruolo della televisione, di cui pure fu una stella. Affermò che la TV era una grande invenzione perché ogni volta che qualcuno la accendeva, egli cambiava stanza e si metteva a leggere un libro. Chissà che cosa avrebbe detto delle reti sociali, di Facebook e del pollice alzato del “mi piace”. Da straordinario aforista, sarebbe stato un genio di Twitter: quante sentenze, quante battute definitive avrebbe rinchiuso in centoquaranta caratteri di “cinguettio”.
Per ignoranza o invidia, qualcuno sarà convinto che essere marxisti grouchisti sia cosa triviale. Nulla di più lontano dalla realtà. Anzi, costa molta essere coerenti con i principi di questa anti setta, poiché il suo massimo comandamento è non prendersi mai troppo sul serio, riconoscere i propri limiti. Per farcela, bisogna stare sempre in guardia nei confronti di se stessi, prendere le distanze da Ego. Il nemico principale è la vanità, contro cui insorsero poeti come Ezra Pound e William H. Auden. Scrisse Ezra nei Canti Pisani: Strappa da te la vanità. Come son meschini i tuoi rancori/ nutriti di falsità. /Strappa da te la vanità, / Avido di distruggere, avaro di carità, / Strappa da te la vanità, / Ti dico strappala. “Nessuna vanità, ma l’orgoglio dell’azione: “Ma avere fatto in luogo di non avere fatto/ questa non è vanità. / Avere, con discrezione, bussato / Perché un Blunt aprisse / Aver raccolto dal vento una tradizione viva / o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata/Questa non è vanità. / Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare. “
Auden osservò che l’uomo vuole essere libero e importante. Il dilemma, pensava, è che quanto più ci si emancipa dalla necessità, meno ci si sente importanti. Groucho lo sapeva e noi seguaci marxisti siamo portati a seguire il suo esempio: rinunciare ogni giorno a un po’ della nostra falsa importanza per guadagnarci un briciolo di vera libertà.
Groucho, infine, ne ebbe anche per le promesse di amore eterno, lui che fallì sentimentalmente, ma non credeva nei rapporti “liquidi “della postmodernità che – buon per lui- non arrivò a vedere. Famosi sono i suoi battibecchi con Margaret Dumont, storica partner, vittima prediletta della sue taglienti battute: “Da quando l’ho vista, signorina, ho invano cercato di stare lontano da lei, ma qualcosa in me echeggiava ininterrottamente, come un tam tam nella giungla. C’è qualcosa che vorrei chiederle, signorina: mi può lavare un paio di calzini? “
Marxista, sessista maschilista, forse eteropatriarcale. Quanti anni di carcere chiederebbe per te la psico polizia, amico Groucho, per questa battuta di spirito tanto politicamente scorretta?