17 Luglio 2024
Appunti di Storia Controstoria

Cremona, 6 Settembre 1920: Dopo violenti incidenti, viene arrestato Roberto Farinacci. Tutto però era cominciato… (prima parte) – Giacinto Reale

Nel primo paese, in piazza, sono salito su un tavolo, ed ho cominciato a parlare tra urli, fischi e minacce dell’uditorio completamente sovversivo. Pur convinto dell’inutilità di sprecar fiato, proseguo nel mio dire unicamente per una ragione di amor proprio.

Non voglio che si dica che ho preso paura.

(Roberto Farinacci, “Squadrismo”, Roma 1934)

 

Alla riunione di piazza San Sepolcro, il 23 marzo del 1919, Cremona invia tre rappresentanti: Oreste Mainardi, interventista e poeta futurista di Soresina, di orientamento mazziniano-repubblicano, Leonardo Cottarelli che è anch’egli uno dei principali interventisti locali (si allontanerà progressivamente dal fascismo, sino ad essere processato – e poi prosciolto, però, per insufficienza di prove – nel 1937 dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato), e Roberto Farinacci, fondatore del Fascio interventista, interventista-intervenuto e corrispondente de “Il Popolo d’Italia”.

È proprio quest’ultimo il personaggio di maggior spicco, che da qualche anno si va mettendo in mostra nella realtà cremonese. Socialista bissolatiano, il che vuol dire su posizioni “autonome” rispetto al Partito Socialista Ufficiale, fin dagli inizi si è distinto, in un ambiente parolaio, perché “affascinato dall’azione più che dal sottile ragionamento, dalla passione più che dal calcolo” e perché ha condotto, con pochi fedelissimi, una battaglia per l’entrata in guerra tra ostacoli di ogni tipo.

La sua popolarità non viene scalfita dalla malevola accusa che gli viene mossa di non aver fatto seguire alle parole i fatti, evitando il fronte. Querelati gli accusatori, in Tribunale, infatti, verrà fuori che, chiamato alle armi – stante il divieto di volontario arruolamento perché telegrafista delle Ferrovie – il 22 novembre del 1915, fu inviato in zona di operazioni, dopo l’addestramento, il 26 aprile del 1916, in prima linea per quattro mesi (una croce al merito di guerra), fino al rientro d’autorità, come per tutti quelli con la sua stessa qualifica, per assicurare il funzionamento delle linee ferroviarie.

Molti testimoni affermeranno, in Tribunale che si era offerto spontaneamente più volte per operazioni rischiose e aveva sempre mostrato “grande coraggio e sprezzo del pericolo”, per cui la sua vittoria giudiziaria sarà netta, con la condanna del querelato (il gerente de “L’Eco del popolo”, periodico socialista locale) a dieci mesi di reclusione e 835 lire di multa.

Che l’accusa sia campata in aria, lo dimostrava peraltro il – sia pur breve – curriculum politico dell’interessato, uso a coraggiosamente intervenire in contraddittorio, anche da solo, ai comizi socialisti per la neutralità così come farà poi a quelli di chi vuol negare i diritti della Vittoria:

 

Farinacci era noto al grande pubblico perché era divenuto, con indubbio coraggio fisico, un punto di riferimento per chi, senza distinzione di mezzi, avrebbe voluto opporsi all’avanzata socialista e popolare. Girava molto spesso armato di una piccola pistola legata ad una gamba, mostrava sempre un contegno sfrontato, con la mente rivolta verso l’alto, in atteggiamento quasi di sfida, convinto che all’azione bisognasse opporre l’azione, perché ormai “le parole non avevano più alcun significato, né alcun potere persuasivo” (1)

 

Studente svogliato di scuola tecnica e aiuto applicato ai telegrafi, dimostra subito vivo interesse alle problematiche sociali del suo tempo e carattere determinato a portare avanti le sue idee, senza farsi intimidire, anche di fronte ad avversari numerosi e prepotenti.

Dopo l’incontro con Bissolati, la politica diventa il fulcro della sua esistenza. “Oratore politico più che mai popolare”, manifesta, nei comizi, la stessa aggressività che gli è propria nella vita, il che lo rende – se non altro per la coerenza tra parole e comportamenti – ben presto conosciuto e amato.

Per dare più consistenza alla sua azione, fonda un giornale “La Squilla”, nella cui testata affianca un motto di Marx ed uno di Mazzini, che, insieme, valgono più di ogni dichiarazione programmatica.

Il suo inserimento nella realtà di una Provincia essenzialmente agricola è pieno, con la creazione di Leghe Contadine Indipendenti, delle quali assume la Presidenza il 10 maggio del 1919 e che mirano a contrastare l’egemonia del “bolscevismo rosso”, come si dice con riferimento al colore vermiglio delle bandiere marxiste e “bianco”, come viene definito quello di ispirazione cattolica.

In realtà, l’espressione più comunemente usata – e che sarà poi accantonata quando la presenza delle camicie nere fasciste si farà forte – con riferimento alle prepotenze clericaleggianti è “dittatura nera”, con specifico riferimento al colore delle tonache pretesche che guidano e “coprono” anche le violenze .

E, infatti, non sarà un caso se, in provincia di Cremona, in molti Comuni, a fondare e ispirare le Leghe bianche saranno proprio dei sacerdoti, ancor prima della discesa in campo di don Luigi Sturzo.

Il loro capo riconosciuto è, però, Guido Miglioli, Deputato di Soresina, pacifista, e quindi particolarmente inviso a tutti gli interventisti.

Sono proprio i reduci che, guidati da Farinacci, alla fine del 1917, nell’Aula del Consiglio comunale, con una iniziativa proto-squadrista, contestano duramente l’avversario “caporettista” e finiscono in Tribunale, dove però, con atteggiamento di sfida (“Troppo poco abbiamo commesso… meritava di più, meritava di essere spazzato per sempre dalla circolazione”) non esitano a confermare i motivi di una contrapposizione destinata a seguitare nel tempo.

Quando la guerra finisce, un altro elemento, influenzato dalla realtà locale, con una forte componente legata al lavoro della terra, arricchisce la battaglia politica del giovane che, pur conservando affetto e stima per il vecchio maestro Bissolati, è ormai diventato mussoliniano a tutti gli effetti.

Contro la propaganda delle Leghe “bianche”, coordinate dal succitato cristiano-sociale Miglioli, che ormai è il suo nemico principale, Farinacci porta avanti una campagna per la compartecipazione dei contadini agli utili dell’azienda.

Proposta rivoluzionaria che fin dall’origine connota, come si dice – normalmente ma erroneamente – “a sinistra” (meglio sarebbe “in senso rivoluzionario”) il fascismo del Capo cremonese.

Non è questo il luogo per approfondire tale aspetto del politico Farinacci, oggetto anch’esso di una gigantesca campagna di contraffazione. Basti però ricordare che –per restare al periodo della “vigilia” – a lui si dovrà il “Patto colonico” per l’annata agraria 1922-23:

 

Si trattò di un patto avanzato, per molti aspetti, che recepiva conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori e che, se reintroduceva le nove ore di lavoro nei mesi estivi, garantiva salari elevati alle varie categorie contadine (non ultimo, il compenso annuale degli obbligati, nonché la paga oraria per gli avventizi), salari in linea – quando non superiori – a quelli dei patti colonici socialisti precedenti.

Il patto cremonese mostrava di essere all’avanguardia nella previdenza, nella costituzione degli Uffici di controllo e nella gestione della mano d’opera disoccupata.

Il patto era dovuto a Farinacci in persona… (2)

 

Ecco perché appaiono francamente incomprensibili giudizi come quello di Giorgio Bocca, che vede in lui “il cane da guardia della reazione agraria” o di Carlo Silvestri, che lo definisce “esponente del vecchio fascismo reazionario”.

Fuori dal fazioso provincialismo nazionale, sono, invece, le opinioni di Deakin che lo considera “naturale portavoce della sinistra fascista” o Nolte che, senza fronzoli, lo chiama “socialista rivoluzionario”.

La verità è che Farinacci, come molti altri esponenti del fascismo, è uomo “nuovo”, che, pur restando fedele alla provenienza socialista, concilia il nazionale col sociale, distrugge Case del popolo perché covo di anti-italiani, nello stesso tempo in cui propone, come detto, la compartecipazione agli utili nelle imprese agricole, o impone agli agrari recalcitranti un “Patto colonico” all’avanguardia.

È anche da questa apparente contraddizione che nascerà, alle elezioni di novembre 1919, l’appoggio di Farinacci, ormai indiscusso Capo fascista cremonese, alla candidatura dello stesso Bissolati che Mussolini e i suoi avevano vivacemente contestato alla Scala a gennaio.

In quella circostanza, per un soffio, e per pura accidentalità, se vogliamo credere a quanto affermato da Harry Fornari, viene evitata una di quelle “svolte” che avrebbe dato un andamento diverso alla stessa storia d’Italia nei venti anni successivi.

Accade infatti che l’indisponibilità del camion già precettato impedisce a Farinacci ed alcuni dei suoi di partire per Milano a sostegno del loro riconosciuto mentore… e si può immaginare quello che sarebbe successo.

A novembre, perciò, nulla osta all’appoggio elettorale, che non è una autonoma iniziativa, ma è stato autorizzato e sollecitato dal vertice milanese, con una lettera del 25 ottobre:

 

Caro Farinacci,

Leonida Bissolati è soprattutto un combattente ed un alto sostenitore della nostra guerra. Merita quindi ogni nostra solidarietà e tutti i fascisti del Collegio hanno il dovere di concedergliela.

La nostra linea di condotta è precisa: contro i disfattisti rossi e contro i disfattisti neri per il trionfo dei principi nazionali.

Umberto Pasella (3)

 

Egualmente, se non si ha la capacità di superare schematismi e posizioni preconcette, non si riesce a capire come, alle successive elezioni del maggio di due anni dopo, delle quali diremo, la candidatura di Farinacci nel “Blocco” passerà solo per evitare “una lista sbilanciata a destra”.

Il successo schedaiolo sarà il viatico ufficiale per la definitiva affermazione del cremonese, impensabile per coloro che, con lui, l’11 aprile del 1919 partecipano alla riunione per dare vita al Fascio di combattimento in città.

Per ora, comunque, c’è da affrontare la dura battaglia per conquistare il diritto di parola e tenere le piazze, giorno per giorno.

È per questo che Farinacci assume in prima persona – come detto – la Presidenza delle Leghe autonome dei contadini e dichiara “La squilla”, il giornale che aveva fondato, a novembre del 1914, in coincidenza con la battaglia interventista, loro organo ufficiale.

Non può mancare l’appoggio all’impresa dannunziana, con una manifestazione (i presenti sono una cinquantina appena), subito dopo il 12 settembre, che muove da via delle Tre Osterie verso il Politeama Verdi, ma si conclude con il suo arresto, senza che per questo rinunci al nuovo grido di battaglia: “Né le minacce, né le manette, né la galera potranno soffocare il grido di W Fiume !!!”

È, comunque, consapevole della difficoltà della lotta che lo attende, per la straordinaria superiorità numerica e organizzativa dell’avversario che si appresta a combattere.

Popolari e socialisti avranno, alle elezioni di fine anno, un successo sicuro ed indiscutibile nell’intera provincia. Su 133 Comuni, i primi otterranno la maggioranza in 56, mentre i socialisti prevarranno in 75, e potranno contare, nello stesso tempo, su 8.000 aderenti al Partito Socialista, e 30.000 iscritti alle Leghe. La capacità di mobilitazione “bianca” può essere valutata sulla presenza di 18.000 contadini ai comizi di Miglioli in soli due centri.

Di contro, gli aderenti al Fascio (frattanto ufficialmente ri-costituito l’11 agosto con Farinacci segretario) saranno solo 155 a fine anno.

Per questo, al Congresso di Firenze, dove comunque non manca di mettersi in mostra nelle battaglie di strada con i sovversivi che vogliono impedire i lavori, egli non si perita di chiedere aiuto. Lo fa richiamando il “carattere mite” dei Cremonesi, e proponendo che alla prossima manifestazione del 21 settembre nella sua città i camerati delle zone limitrofe partecipino numerosi, magari pure “in buon gruppo, con qualche camion da Milano o da Pavia”.

La sua sincerità e determinazione fanno buona impressione, così che viene chiamato a far parte del Comitato Centrale del neo-nato movimento, e può buttarsi a capofitto, col suo stile, nella campagna elettorale, in appoggio a Bissolati.

Scampa per un soffio a dure lezioni (e forse peggio) che gli avversari gli vogliono impartire quando, con pochi altri, si presenta a sostenere i comizi dell’anziano leader socialista a Cremona, Scandolara Ripa d’Oglio, Robecco e Sesto Cremonese.

Proprio la necessità di garantirsi la sopravvivenza seleziona il gruppo dei suoi normali accompagnatori in questo periodo. Probabilmente è con alcuni di loro che si presenta, il 10 novembre, a Milano, dove è stato richiesto anche il suo aiuto per il primo (che resterà unico) comizio della lista fascista.

In un contesto narrativo malevolo oltre misura, resta vivida l’impressione che la cosa farà, ancora nel dopoguerra, su Eno Mecheri, futuro “maddaleno pentito” del fascismo:

 

Da Cremona era venuto Farinacci, con quattro individui a tutti sconosciuti. Ai fascisti venuti di fuori era stato stabilito un rimborso spese di trenta lire per la cena e il pernottamento. All’atto della corresponsione di questa somma, Farinacci insorse per reclamare per i suoi uomini una somma maggiore: cento lire al posto di trenta, adducendo a motivo che non si trattava di fascisti, ma di “quattro pellacce” capaci di tutto. Chi scrive, avendo l’incarico del pagamento, si rifiutò, come, per la verità, si rifiutò anche lo stesso Segretario Generale Pasella.

Allora Farinacci si rivolse direttamente a Mussolini e solo per l’intervento di questi, ai quattro “bravi” farinacciani venne corrisposta l’esosa diaria pretesa. (4)

 

Non sappiamo quanto autentica sia questa versione (che comunque testimonia di una certa familiarità tra il futuro Duce e il Capo cremonese), e perciò, per completezza, aggiungiamo quella del protagonista:

 

Mi reco a Milano con un fortissimo gruppo di squadristi: Mussolini deve parlare in piazza Belgioioso e per la stessa ora i socialisti si sono dati convegno in piazza del Duomo. Per ordine ricevuto dalla Segreteria del Partito, siamo armati sino ai denti.

Il nostro comizio elettorale riesce imponente. Prendiamo accordi con gli Arditi, qualora i sovversivi tentino di raggiungere piazza Belgioioso, di metter mano ai Thevenots, al primo segnale di un razzo.

Tutto però procede tranquillo, né alcuna molestia di viene fatta, quando, incolonnati, attraversiamo il centro di Milano. (5)

 

Insomma, si può ben dire che nell’emergente squadrista cremonese i presupposti e la “stoffa” per una brillante “carriera” ci siano già, anche se appare francamente esagerato il ritratto di uno dei primi seguaci:

 

Finissima sensazione della realtà, intuizione rapida ed esatta di uomini ne cose, percezione esatta del momento, e senso tempestivo dell’azione, volontà energica e pronta all’azione, ingegno forte e realistico, mente libera da pregiudizi di scuola e sgombra da idee e imparaticci che spesso hanno virtù di forza inibitoria, intelligenza aderente al reale e nemica delle vaporose astrazioni, coscienza pura, coraggio a tutta prova, entusiasmo sincero, vibrante e comunicativo per la causa della risurrezione d’Italia, disinteresse assoluto e disprezzo per il denaro, ecco le doti eminenti del giovane Capo del fascismo. (6)

 

Alcune di queste qualità sono indispensabili per la stessa sopravvivenza, in una città e provincia nella quale il ricorso alla violenza è abituale. “Dio lo vuole” per i seguaci di Miglioli e “fare come in Russia” per i socialisti sono le parole d’ordine che animano combattivi “consigli di cascina”, rustica imitazione dei “consigli di fabbrica”, e aggressivi “ciclisti rossi” organizzati in “squadrazze” che “metodicamente” (come scriverà il prefetto Bertone al Ministero) impediscono ogni attività politica agli avversari.

L’esempio della – vincente – altrui intransigenza convince Farinacci che quella è l’unica strada. Anche per avere un assoluto controllo sui suoi uomini, si dimette e impone agli altri le dimissioni dalle preesistenti Associazioni della Lega patriottica, del Fascio Antibolscevico e del gruppo di Rinnovamento, e chiude “La Squilla”, dando vita ad un nuovo giornale “fascista”, “La voce del Popolo sovrano”.

Poco gli importa se ironicamente gli avversari cominciano a chiamarlo “Mussolini in centoventiquattresimo”. La determinazione a vincere la lotta contro gli avversari e lo Stato che tollera le loro prepotenze guida il suo cammino.

Intuisce che, dopo le delusioni del 1919, nell’anno successivo toccherà a lui porre le basi per il capovolgimento della situazione a Cremona e per le sue personali fortune.

L’uomo ha fiducia in sé stesso e nelle sue capacità, è alieno da atteggiamenti vittimistici, e in possesso di qualità insospettate da chi ama gli stereotipi di certi biografi armati solo di mala volontà e capaci di titoli suggestivi quanto fantasiosi: “La suocera del regime” (Harry Fornari), “Lupo vigliacco” (Sergio Vicini – Paolo A. Dossena), “Il superfascista” (Romano Canosa), “Il più fascista” (U. Alfassio Grimaldi- Gherardo Bozzetti), “L’antiduce” (Roberto Festorazzi).

Intendo alludere alla capacità ironica ed autoironica del personaggio. Eccone un esempio:

 

Milano, 18 novembre 1919,

appena scendo dal treno tre agenti mi afferrano e mi immobilizzano.

“Chi è lei?” mi viene chiesto.

“Roberto Farinacci” rispondo senza fatica.

“Cosa viene a fare a Milano?”

“I fatti miei”.

La risposta non va a fagiolo. Mi aprono il portafoglio per avere le sicure generalità, e trovano la mia tessera di membro del Comitato Centrale dei Fasci. Un agente grassotto interviene:

“Siete stato lei, allora, che hai sparato l’altra sera in via S. Damiano?”

“Ma che lei, voi, tu d’Egitto! Io mi trovavo a Cremona”.

Il terzo agente mi mette allora le mani nelle tasche della giacca e dice agli altri di aver trovato un coltello fuori misura.

Protesto energicamente, cerco di dimostrare che quel coltello, buono soltanto a togliere il fango attornio alle scarpe, mio è stato messo in tasca in quel momento. Vengo impacchettato e portato a S. Fedele, dove si fanno consegnare la cravatta, la cinghia dei pantaloni e le stringhe delle scarpe, come se avessi voglia di suicidarmi in camera di sicurezza. Nessuno si è accorto che, fermata il  polpaccio della gamba destra, sotto i pantaloni, nascondo un’ottima rivoltella.

Verso le due di notte vengo rimesso in libertà e accompagnato alla stazione per prendere il primo treno per Cremona. Il funzionario di servizio, prima di farmi lasciare S. Fedele, mi raccomanda, in tono ironico, di non viaggiare più con coltelli in tasca! (7)

 

FOTO 1: Farinacci

FOTO 2: Squadristi di Cremona

 

NOTE

  1. Giuseppe Pardini, Roberto Farinacci ovvero della rivoluzione fascista, Firenze 2007, pag. 23
  2. Ibidem, pag. 92
  3. In: Roberto Farinacci, Squadrismo, dal mio diario della vigilia, Roma 1934, pag. 25
  4. Eno Mecheri, Chi ha tradito?, Milano 1947, pag. 121
  5. Roberto Farinacci, cit., pag. 34
  6. Paolo Pantaleo, Il fascismo cremonese, Cremona 1931, pag. 39
  7. Roberto Farinacci, cit., pag. 39

 

2 Comments

  • walter venchiarutti 4 Settembre 2020

    Mi servirebbe una precisazione. Mi risulta nuovo il nome di Oreste Mainardi indicato come “interventista e poeta futurista di Soresina di orientamento Mazziniano-repubblicano” mentre sono a conoscenza di un Enzo Mainardi poeta e pittore futurista e padre del conosciuto etologo Danilo Mainardi, nato Ticengo ma vissuto a Soresina. Le sarei grato qualora mi potesse fornire ulteriori informazioni sul personaggio da Lei indicato.

  • giacinto reale 7 Settembre 2020

    Ho trovato il nome in “Fascismo anno zero” di Franzinelli, che lo dice presente negli elenchi Sansepolcristi del 1929 e 1932, cancellato nel 1942 perchè defunto.
    Francamente di più non so dirle…non escludo un errore, non essendo nuovo Franzinelli a simili abbagli

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