12 Ottobre 2024
Eneide Punte di Freccia X Mas

Eurialo e Niso

di Mario M. Merlino
Nel libro IX dell’Eneide Virgilio narra la vicenda tragica di due giovani troiani, Eurialo e Niso. Nell’accampamento, di notte, essi vegliano e si confidano intorno ai loro sogni, alle speranze, alla vocazione di gloria che batte nel loro animo. Hanno seguito Enea nel suo peregrinare fino alla costa italica; ora attendono il giorno per essere al suo fianco e partecipare alla battaglia contro i Rutuli guidati da Turno. La giovinezza li rende impazienti tanto che a Niso, fra i due il più grande e ardimentoso e forte, viene l’idea di sfruttare le ombre della notte per penetrare nel campo avverso e fare strage. Così avviene. Sebbene Niso vorrebbe andare da solo, troppo giovane e inadatto gli appare il compagno, Eurialo, in nome di quell’’amore’ (il poeta utilizza questo termine) che lo lega e che rende alta e nobile l’amicizia (parola qui che nulla ha della banalità con cui si utilizza oggi) gli si accompagna. Avvistato dai nemici a causa della lucentezza dell’elmo, che lo tradisce al chiarore della luna, egli viene circondato e ucciso, nonostante che Niso sia tornato indietro e si sia gettato nella mischia per salvarlo, consapevole di perire a sua volta.
Virgilio si inserisce direttamente nella narrazione: ‘Fortunati ambidue!…/ …finchè impero e lingua/ avrà l’invitta e fortunata Roma’. Al Louvre un gruppo marmoreo dello scultore Jean-Baptiste Roman li raffigura nel mentre stanno soccombendo e rendendo così i versi immortali anche nella forma plastica. Perché nell’estremo sacrificio in nome dell’amicizia vi è il presupposto di quelle virtù civili che fondano una comunità la educano e ne danno il senso. Questo fa il poeta, questo nell’Ottocento fa lo scultore…
Ho avuto la fortuna di ascoltare e leggere e poi, a mia volta, narrare ‘la cronaca di una amicizia’, che in fondo può rappresentare un Eurialo e Niso nel XX secolo. Vivendo, però, nel tempo in cui gli dei e gli eroi si sono ritirati per lasciare il posto alle jene e agli sciacalli in veste di partigiani del bene e del male, morale sancita dall’ideologia o da qualsiasi altra forma di mistificazione, essi sono stati abbandonati alla dimenticanza dopo essere stati vittime dell’obbrobrio e dell’infamia…
Piero Menichetti e Vittorio Morandini, btg. Lupo – XMAS, III compagnia, diciotto anni da compiersi al fronte, lungo il fiume Senio, in buche di neve e fango, una amicizia nata e formatasi in soli quattro mesi, di cui Vittorio ne ricordava le date: 25 dicembre 1944 – 25 aprile ’45, aggiungendo ‘che pure dura da sessant’anni’. (Da alcuni anni anche Vittorio se n’è andato dopo aver combattuto, con animo sereno e irridente, uno di quei mali che non perdonano). E mi tornano a mente le ultime pagine di Gilles, dove Drieu la Rochelle descrive un piccolo gruppo di volontari europei che si arruolano nella Falange durante la guerra civile di Spagna. E’ nel pericolo che si genera in loro un cameratismo che sa andare oltre le diversità di usi interessi nazionalità linguaggi…
Qualcuno, poco dopo mezzogiorno del 25 aprile, gridò dalla sponda del Po verso i marò, che si erano attestati oltre il fiume, durante la ritirata: ‘Siamo italiani, veniteci a prendere!’. Partigiani, probabilmente della Cremona. Gonfi come piche d’aver conseguito la vittoria con l’ausilio di altri tanto da indossarne la divisa; sguinzagliati simili a cani da caccia dal nuovo padrone; portatori della libertà di esprimere il marcio che ne connotava l’animo e le fattezze e che hanno sparso a piene mani tanto che il fetore lo percepiamo tuttora… Come può Piero immaginare che sia una trappola? Troppo leale pulito nel volto (possiedo una sua foto scattata nella caserma Montegrappa di Torino), altra razza dello spirito… Spingono una barca. Arrivano i primi colpi. Gli altri marò si buttano in acqua, chi nuotando verso la riva, chi riparandosi dietro il bordo di legno. Piero, che non sa nuotare, si accuccia d’istinto sul fondo della barca, rimanendo però esposto ai colpi che arrivano. Lo ammazzano. Vittorio ne recupererà il corpo, il tempo di adagiarlo sul terreno, di dargli una carezza, di nuovo in marcia per poi arrendersi alle truppe neozelandesi alle porte di Padova.
Ritornato dalla prigionia volle, insieme alla mamma di Piero (la quale, essendo egli orfano di entrambi i genitori, lo prese in casa lo fece studiare lo accudì come fosse quell’unico figlio che era scappato per andare ad arruolarsi), trarre le spoglie dalla terra dove era stato ricoperto per dargli sepoltura nel piccolo cimitero d’un paesino vicino. Per vent’anni. Una mano anonima dalla grafia femminile scrisse sulla tomba ‘Firenze dorme’, sconosciuto gesto di commossa poesia. Proprio Piero aveva regalato all’amico un braccialetto su cui era inciso: ‘Vittorio, sii sempre degno dei morti che onori’. Noi sappiamo che il monito è stato preservato integro, mantenuta la promessa… E noi?

2 Comments

  • giacinto reale 23 Agosto 2013

    “Giorni fa, tornando dalla Romagna Toscana, ho avvertito che se avessi dovuto morire sul camion della spedizione, vicino ai compagni, tra i canti della giovinezza, non avrei fatto la peggiore delle morti”
    (Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano”, Milano 2010)

  • giacinto reale 23 Agosto 2013

    “Giorni fa, tornando dalla Romagna Toscana, ho avvertito che se avessi dovuto morire sul camion della spedizione, vicino ai compagni, tra i canti della giovinezza, non avrei fatto la peggiore delle morti”
    (Mario Piazzesi, “Diario di uno squadrista toscano”, Milano 2010)

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