12 Ottobre 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, trentaduesima parte – Fabio Calabrese  

Riprendiamo la nostra analisi dell’eredità ancestrale, e vediamo cosa ci riserva il mese di luglio dopo l’intenso momento iniziale che abbiamo visto nelle parti precedenti. Può sembrare strano, ma è sempre l’area di Stonehenge e dintorni, la piana di Salisbury che verrebbe da pensare sia ormai una delle più esplorate e setacciate al mondo, a riservare nuove sorprese.

Bene, abbiamo visto che le cose non stanno esattamente così, almeno secondo il portale di archeologia “Ancient Origins” che, come abbiamo visto nella trentesima parte, il 4 luglio ha pubblicato un articolo di Ashley Cowie che ci ha resi edotti che l’analisi cristallografica ha rivelato che la famosa pietra d’altare centrale del monumento non proviene dalle Praseli Hills gallesi come finora si era ritenuto, ma la sua origine è sconosciuta, tuttavia non ci fermiamo a questo.

Sempre su “Ancient Origins” un articolo di Andrew Collins ci informa che attorno a Durrington Wall (un vasto terrapieno circolare che si trova a 2 miglia – 3 chilometri da Stonehenge, e si suppone racchiudesse la “città dei vivi” laddove Stonehenge rappresentava la “città dei morti”), è stato recentemente scoperto un anello di pozzi ciascuno profondo 5 metri e con 10 metri di diametro. Finora ne è stata scoperta una ventina, ma gli archeologi sospettano che ce ne siano circa 50.

Questa struttura risalente al tardo neolitico (ma alcuni pozzi potrebbero essere più antichi), che è stata chiamata Durrington Shafts, con un diametro massimo di 2,31 chilometri, potrebbe essere la più vasta struttura preistorica mai scoperta non solo nelle Isole Britanniche ma in tutto il mondo.

Ne “Le scienze” di luglio 2020 abbiamo un articolo di Giorgio Manzi che ci informa sulle Ultime notizie riguardanti Noi e i Neanderthal. Non si tratta di un lavoro che annunci ritrovamenti, del tutto nuovi, ma di un quadro riassuntivo riguardanti le ultime scoperte su questi nostri “antichi cugini” e almeno in parte antenati.

Oggi sappiamo che, come ci ha rivelato la scoperta di Abri du Marais, che costoro erano in grado di intrecciare fibre, di produrre corde, forse tessuti. Sappiamo che visse a lungo contemporaneamente agli uomini di Cro Magnon di tipo anatomicamente moderno, come hanno dimostrato i ritrovamenti avvenuti nella grotta bulgara di Bacho Kiro, ma questo non è tutto, perché la somiglianza delle tecniche impiegate nella produzione di strumenti dagli uni e dagli altri, fa presupporre l’esistenza di scambi culturali fra gli uni e gli altri. Quanto più li conosciamo questi antichi uomini, tanto meno essi ci appaiono dei bruti scimmieschi, ma piuttosto esseri umani simili a noi.

Purtroppo, non ci sono da registrare soltanto eventi positivi di nuovi ritrovamenti, ma anche brutte notizie di danneggiamento di siti archeologici e testimonianze del nostro passato, per fatalità ma più spesso per vandalismo o incuria, per non parlare della furia iconoclasta recentemente scatenata dai cosiddetti “Black Lives Matter” che, con la scusa dell’antirazzismo, si stanno rivelando essere la versione occidentale dei talebani o di Al Qaeda.

Torniamo a citare sempre “Ancient Origins”, che in data 8 luglio riporta un comunicato del “Daily Mail” che ci informa che nella notte di domenica 5 è andata bruciata in un furioso incendio la grande quercia a foglia bianca che si trovava vicino al castello di Eastnor nell’Herefordshire.

Non si tratta di un albero qualsiasi, ma di una grande quercia vecchia di 500 anni ritenuta sacra e nota anche come la quercia del solstizio estivo, visitata ogni anno da migliaia di seguaci della religione druidica, e punto di fulcro per le celebrazioni del solstizio d’estate, quando veniva ornata di ninnoli, bandiere di preghiera (questo è un uso più buddista che druidico, ma non sottilizziamo!) e nastri colorati.

I vigili del fuoco si sono prodigati per ore contro le fiamme, ma alla fine è rimasto solo un ceppo carbonizzato. Non si esclude per nulla che l’incendio sia stato doloso. Il “Daily Mail” parla esplicitamente di “attacco di odio”.

Agli effetti di quello che possiamo considerare una vera e propria forma di terrorismo, si uniscono quelli dell’incuria e del vandalismo. L’11 luglio un articolo di Ed Wheelan ha riportato sempre su “Ancient Origins” un’altra notizia di quelle che fanno ribollire il sangue. Nei pressi di Swansea nel Galles meridionale esisteva un tumulo dell’Età del Bronzo, circondato da un terrapieno rialzato con un diametro complessivo di 15,24 chilometri, noto col nome gaelico di Tor Clawdd Mawr. Bisogna purtroppo dire esisteva perché recentemente un gruppo di giovinastri ha usato la struttura come una pista per gare motociclistiche, provocandole danni irreparabili. Cosa dire? Incommentabile!

A queste notizie provenienti dall’Inghilterra, si deve purtroppo aggiungere quella proveniente dalla Francia, dell’incendio che nella notte tra il 17 e il 18 luglio ha devastato la cattedrale di Nantes, pressappoco a un anno di distanza da quello che ha colpito la cattedrale parigina di Notre Dame, con la differenza che mentre quest’ultimo sembra essere stato dovuto a cause fortuite, questo di Nantes è probabilmente doloso.

Un anno fa circa Notre Dame mi capitò di rispondere su facebook a certi idioti “pagani” che si felicitavano per il rogo di Notre Dame, dimenticando che queste cattedrali gotiche, oltre che chiese cristiane, sono capolavori dell’architettura e dell’arte europea. Spero oggi di non dover sentire commenti simili, perché è ormai evidente che sono i simboli della civiltà europea a essere sotto attacco.

Il 12 luglio, un articolo di Giampiero Muzzi su “Reccom Magazine” riporta la nostra attenzione sulle impronte ominidi scoperte a Creta due anni fa. Queste orme fossili, estremamente simili a quelle umane, risalgono a 5,6 milioni di anni fa, e potrebbero essere state lasciate da una creatura come il Graecopithecu Freibergi, il nostro El Greco che ha fatto tanto infuriare democratici e antirazzisti, perché la sua stessa esistenza contraddice l’Out of Africa.

Queste impronte che sono in assoluto le più antiche impronte umane o di una creatura simile all’uomo mai rinvenute e sono di due milioni di anni più vecchie delle famose impronte africane di Laetoli, sono state studiate da Gherard Gielinski dell’Istituto Polacco di Antropologia, che ha riunito un team internazionale di esperti fra i quali si è messo in evidenza Per Ahlberg dell’Università di Uppsala.

Le conclusioni cui è giunto il team di esperti sono unanimi: Queste impronte potrebbero rivoluzionare completamente la storia delle origini della nostra specie, perché sono la prova che milioni di anni fa l’Europa era popolata da ominidi più antichi di quelli africani.

Tuttavia, ha spiegato Ahlberg:

“La comunità paleoantropologica tradizionale non ha praticamente reagito, ha semplicemente deliberatamente ignorato la faccenda perché non si adatta alla narrativa prevalente”.

E’ qualcosa che abbiamo già visto altre volte: le prove che contraddicono l’ortodossia “democratica” e “antirazzista” dell’Out of Africa si ignorano, si fa finta che non esistano, quando non si cerca deliberatamente di distruggerle. Le stesse impronte cretesi, qualcuno, per fortuna non riuscendo a fare molti danni, ha cercato di eliminarle a colpi di scalpello, per non parlare del caso del professor Poulianos che ha scoperto l’enorme antichità di un altro fossile greco, l’uomo di Petralona che avrebbe ben 700.000 anni, e che assieme alla moglie ha subito un attentato nella loro casa. Le armi della democrazia sono sempre le stesse: la censura e la violenza.

E’ ancora “Ancient Origins” del 13 luglio con un articolo di Ashley Cowie a darci notizia di una nuova scoperta avvenuta in Inghilterra a Wellwick Farm vicino a Wendover, avvenuta durante i lavori per la costruzione di una nuova linea ferroviaria. Si tratta di un circolo cerimoniale dell’Età del Ferro, risalente a 4.000 anni fa costituito da una serie di buche in cui dovevano essere alloggiati pali di legno, del diametro di 65 metri, non dissimile dal Woodhenge che è stato ritrovato nel Wiltshire non distante da Stonehenge, dove sono stati trovati vari reperti che attestano che la zona è stata intensamente abitata dal neolitico all’età medioevale, fra di essi un raro anello dell’Età del Ferro. In epoca romana l’abitato principale si sarebbe spostato a Wendover, ma Wellwick Farm rimase importante come luogo di sepoltura.

L’articolo di Ashley Cowie si incentra soprattutto su una scoperta che sembra aver traumatizzato gli archeologi: il ritrovamento dello scheletro di un uomo che deve aver subito una morte violenta, era stato sepolto a faccia in giù con le mani legate dietro la schiena. Assassinio, esecuzione o immolazione di una vittima sacrificale? Sappiamo che gli antichi Britanni praticavano una giustizia alquanto sommaria, di cui è un esempio la sepoltura del giovane ladro rinvenuta da Darwill e Weinwright a Stonehenge, un ragazzo verosimilmente ucciso durante un tentativo di furto. Nel cimitero è stata ritrovata anche una sepoltura di età romana che doveva essere quella di un personaggio di rango, i cui resti sono stati ritrovati in una bara foderata di piombo e con tracce del rivestimento più esterno di legno.

L’età romana è certamente più vicina a noi della maggior parte delle epoche di cui andiamo perlopiù trattando, e specialmente per quanto riguarda l’Italia, non sembrerebbe doverci riservare alcuna sorpresa. Eppure, non è così. Il 14 luglio un sito piuttosto insolito per le notizie di archeologia, “Stile-Arte” ha riportato la notizia del ritrovamento da parte di ricercatori di una ditta privata, la ditta Malvestio s.n.c., di una statua sepolta di età romana nella località veneta di Altino. La statua raffigura un personaggio maschile che indossa un berretto frigio, ed è accovacciato con un’espressione di dolore sul volto. Il particolare del berretto frigio fa pensare che questa statua fosse collegata al culto di Attis e Cibele, che si diffuse nella Roma imperiale del II secolo.

Tuttavia, questa scoperta è solo un antipasto rispetto a ciò di cui ci ha resi edotti il giorno seguente un articolo di Franco Borea anch’esso comparso su di un sito che di solito non dedica all’archeologia un’attenzione estrema “Focus Tech” (infatti qui si voleva soprattutto mettere in evidenza la tecnica del georadar che probabilmente nei prossimi anni rivoluzionerà la ricerca archeologica).

In questo caso, grazie a questo strumento, sarebbe stata individuata alle porte di Roma nientemeno che un’antica città scomparsa, si tratterebbe dell’antica Falerii Novi, oggi diventata di fatto una sorta di Pompei sotterranea.

Sarebbero stati individuati, secondo quanto raccontano Millet, capo del team che ha eseguito lo studio e Daniele Maras della soprintendenza di Roma responsabile del sito, “abitazioni, edifici pubblici, templi, terme e tubature per l’acqua”.

Benissimo, ma è difficile che questo genere di ricerche possa sembrare più di un’esercitazione teorica fino a quando non è possibile mettere le mani su qualche reperto.

Il 17 luglio sempre su “Ancient Origins”, un articolo di Ed Wheelan ci parla della scoperta sotto la collina di Navan Fort vicino ad Armagh, Irlanda del nord, di una struttura che potrebbe essere il più vasto tempio sotterraneo dell’Europa del nord. La scoperta è stata effettuata da ricercatori dell’università di Aberdeen (Scozia) che avrebbero mappato l’area con una tecnica di radiometria magnetica (cioè sempre il georadar), rivelando il complesso sotterraneo senza spostare un ciottolo. Navan Fort era da tempo indicata dalle tradizioni locali come una delle cinque capitali cerimoniali dell’Irlanda preistorica. Naturalmente, ne sapremo di più se e quando si comincerà a scavare.

Ancora il 17 luglio c’è da segnalare, sempre sulle pagine di “Ancient Origins” un articolo di Alcia McDermott su Doggerland, l’Atlantide britannica che si trovava là dove oggi c’è la zona di bassi fondali nota come Dogger Bank, e che è stata sommersa con la fine dell’età glaciale, quando la deglaciazione ha liberato grandi quantità d’acqua che hanno innalzato il livello dell’oceano. A quanto pare l’inabissamento di Doggerland non è stato affatto graduale, ma sembra abbia coinciso con uno spaventoso tsunami causato dalla frana di Storegga, almeno è questa la conclusione a cui sono giunti i ricercatori attraverso lo studio dei sedimenti marini.

Sempre il giorno 17, il nostro amico Michele Ruzzai ha pubblicato su “Ereticamente” un ampio articolo che si presenta come recensione del mio libro Alla ricerca delle origini, da poco editato dalle edizioni Ritter. In realtà, ci avverte Michele in premessa:

Integrerò con qualche riflessione a margine, dal momento che una mera ripetizione dei temi toccati da Fabio Calabrese sarebbe ben poca cosa rispetto alla lettura diretta del suo libro”.

A conti fatti, queste riflessioni a margine sono di un’ampiezza imponente, e rivelano Michele Ruzzai per quello che realmente è, un autore con una notevole conoscenza riguardante le tematiche ancestrali, e devo dire la verità, leggere la sua recensione mi ha fatto soprattutto riflettere su quanto nel mio libro avrei potuto approfondire di più.

La seconda cosa che mi è venuta in mente leggendo la recensione, è stata che, con pochi ritocchi, queste “riflessioni a margine” avrebbero potuto costituire la tematica di un articolo indipendente. Devo dire la verità, avevo appena finito di pensarlo, che ho visto che Michele ha pubblicato su “MANvantara”, il gruppo facebook da lui curato, proprio un articolo siffatto: Ario-Uralici, Ario-Atlantici e Ario-Europei: il ciclo giapetico?

Bene da un lato, male dall’altro, perché un articolo come questo poteva essere tranquillamente ospitato su “Ereticamente” che può contare un “bacino d’utenza” di lettori di gran lunga superiore a quello dei gruppi facebook, e non è che, nonostante la qualità dei suoi interventi, la firma di Michele Ruzzai sulle nostre pagine la vediamo proprio spessissimo.

Un’altra cosa alla quale mi sentirei di obiettare, è proprio quel “ciclo giapetico”. Michele ha scelto come figura simbolo della grande espansione degli indoeuropei (o ario-europei, come preferisce) sul nostro continente, questa figura ibrida che nasce dalla giustapposizione della figura del titano Giapeto della mitologia classica con quella di Japhet, figlio di Noè in cui si è voluto vedere l’antenato degli indoeuropei, basata su di un’assonanza probabilmente casuale. Ora, a mio parere, occorre sempre tenere presente che riscontri storici della reale esistenza dei personaggi biblici, non ce ne sono.

Una conclusione è difficile da trarre: in questo luglio non molto caldo dal punto di vista meteorologico, la pista delle tracce dei nostri antenati ci appare più “calda” che mai, e noi proseguiamo le nostre ricerche.

NOTA: nell’illustrazione, il tumulo di Navan Fort vicino ad Armagh (Irlanda del nord), al disotto di esso c’è forse il complesso templare sotterraneo più vasto del nord dell’Europa antica.

1 Comment

  • Michele Ruzzai 5 Ottobre 2020

    Caro Fabio, ti ringrazio molto per la menzione. Sul tema di un mio scritto più “autonomo” rispetto al contesto della recensione al tuo libro, posso solo dire che mi riprometto, spero non troppo in là, di sottoporre alla gentile Redazione di Ereticamente un ciclo di articoli che ruoteranno attorno a Herman Wirth, che però non si limiteranno solo alle sue deduzioni ma spazieranno sui temi più generali delle nostre origini boreali e della Preistoria in chiave, ovviamente, non afrocentrica (alcuni cenni: Evola, Guenon, Warren, Tilak, Cavalli Sforza, Prenordici, Cro-Magnon, Indoeuropei, ecc…ecc…). E’ uno scritto che ho iniziato diversi mesi fa partendo da alcuni elementi esposti da Wirth, ma che con il tempo ha ampiamente superato la dimensione di un articolo (in media 3-4.000 parole), per arrivare a un testo che, almeno ad oggi, sfiora le 50.000… Quindi c’è materiale a sufficienza per una buona dozzina di articoli. Ma, ovviamente, sempre previo benestare della Redazione di Ereticamente. Però non essendo, come te, felicemente in pensione, il tempo è tiranno e quindi procedo molto lentamente: ma credo comunque di aver superato i 3/4 del tutto, quindi confido che non passerà troppo tempo.
    Un caro saluto.

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