11 Ottobre 2024
Simbolismo

Le carte da gioco – Luigi Angelino

Quando pensiamo alle carte da gioco, ci vengono in mente i cartoncini a forma rettangolare, o rotonde in alcuni Paesi orientali, adoperate per praticare giochi collettivi che solitamente si basano su regole precise. Una serie completa di carte viene chiamata comunemente “mazzo”. Sul lato principale di ogni carta, denominata “fronte” o “faccia”, sono riportate figure o segni che la differenziano dalle altre, mentre sull’altro lato, indicato come “dorso” o “retro”, di solito è delineato un motivo astratto, molto spesso con uno specifico valore simbolico. Se vogliamo addentrarci in una breve panoramica sull’origine delle carte da gioco, è necessario premettere che non si possiedono fonti certe. Le prime testimonianze dei  giochi di carte si fanno risalire alla Cina intorno al X secolo, qualche decennio dopo la straordinaria invenzione della carta. E’ curioso osservare che i primi mazzi di carte cinesi avevano il nome di “carta moneta”, articolate in tre semi Jian o Qian (monete), Tiao (stringhe di monete), alludendo al foro centrale presente su ogni moneta cinese,  Wan (diecimila) e rappresentate da ideogrammi con numerali da 2 a 9 per ciascun seme. A queste si aggiungevano tre carte singole, una sorta di assi o jolly: Qian Wan (Migliaia di Diecimila), Hong Hua (Fiore Rosso) e Bai Hua (Fiore Bianco). Qualche studioso ritiene che le prime carte fossero proprio denaro reale e che fungessero nel contempo sia da mezzo per giocare che da posta scommessa (1). Il più antico mazzo di carte da gioco in nostro possesso è, però, di tutt’altra provenienza geografica, si tratta  del famoso Muluk wa-Nuwwab di fattura araba, conservato nel Museo Topkapi di Istanbul, collocato tra il XIII ed il XIV secolo (2). Tale serie di carte è formata da 56 lamine intarsiate in oro, suddivise in 4 semi (coppe, spade, denari e bastoni), a loro volta comprendenti 14 pezzi, di cui 10 numerali e 4 figure. Nel Medio-Oriente il gioco delle carte, importato dalla Cina, si sarebbe poi diffuso in Italia e in Spagna, per poi in espandersi nell’intera Europa. Secondo alcune ricostruzioni storiche, uno dei primi giochi in uso sarebbe stato il naibi, in italiano volgare antico, o naipes in spagnolo. Il termine deriverebbe dall’arabo na’ib che può essere tradotto in “rappresentante del re”, una delle figure che facevano parte del mazzo e corrispondente più o meno al jack o al fante di successiva consolidazione. Per altri studiosi, invece, il nome indicherebbe proprio la figura del re. Seguendo una teoria alternativa sull’origine della carte moderne, esse sarebbero state adoperate, per la prima volta, proprio in Spagna e da qui esportate nel mondo arabo.

L’inventore sarebbe stato un certo Nicolao Pepin (3), per cui il termine naipes si spiegherebbe come una contrazione delle sue generalità. Un filone minoritario sostiene che le carte da gioco sarebbero state portate in Spagna dai mercanti dei Paesi Bassi, legando il nome naipes al termine fiammingo che significa appunto fante, come la carta da gioco. Altrettanto plausibile è l’ipotesi che le carte da gioco siano nate in Italia, peraltro il Paese che vanta la tradizione artistica, nella lavorazione dei vari mazzi, più intensa. L’appellativo naibbe, seguendo quest’ultima teoria, potrebbe non essere altro che la storpiatura del nome della città di Napoli, dove sarebbe nato il primo gioco di carte codificato, da cui poi si sarebbe diffuso nel nord Italia e nel resto dell’Europa. Accanto alle precitate ipotesi, ritenute maggiormente attendibili, ne propongo una terza, meno affidabile dal punto di vista storico, ma senza dubbio affascinante e ricca di spunti significativi. Questa ricostruzione ricollegherebbe l’origine delle carte da gioco all’antico Egitto e all’Esodo degli Ebrei dopo la fuga nel deserto, che avrebbero portato con sé la tradizione calendariale del Paese dei faraoni.  E’ stato osservato che un mazzo di carte “francesi” comprende 52 carte, a similitudine delle 52 settimane dell’anno, mentre sommando i punti delle singole carte, si ottiene il numero 364, al quale aggiungendo “la matta”, si arriva a 365 come il totale di giorni in un anno. Poichè la scienza astronomica egizia non ignorava che un anno è composto da poco più di 365 giorni, richiedendo la rotazione bisestile, in molti mazzi sarebbe stata inserita anche una seconda “matta” (4). Sempre seguendo questa interessante ipotesi, i 4 semi rappresenterebbero le 4 stagioni, mentre le 13 carte di ciascun seme indicherebbero i 13 mesi lunari della consuetudine cronologica ebraica. In una parziale variante di tale teoria, i 4 semi starebbero a raffigurare i quattro elementi della cosmologia antica: terra, aria, acqua e fuoco, che si sarebbero trasformati con il passare del tempo e con il cambiamento delle contingenti condizioni politiche e sociali.

Vi è poi una teoria che sostiene la derivazione romana dei semi delle carte, in particolare dai lingotti chiamati aes signatum, composti da minerale e da rame o bronzo con forma rettangolare, sui quali veniva incisa, tra le varie figure, anche una spada, un bastone ed una coppa. Da questi lingotti si producevano le monete denominate “assi” che poi è il nome attribuito alla carta con il numerale “1”, nota per la sua funzione bivalente, potendo essere sia la carta con minor valore che di maggior valore nell’ambito di una “scala”, secondo le regole di molti giochi (5). Le carte da gioco iniziarono a diffondersi rapidamente in Europa alla fine del quattordicesimo secolo. I mazzi di carte europei più antichi risultano quello chiamato “Italia 2”, a cui si attribuisce una datazione che oscilla tra l’ultimo decennio del Trecento ed il primo del Quattrocento, attualmente conservato al Museo Foumier de Naipes di Vitoria, in Spagna, e lo Stuttgarter Kartenspiel (Mazzo di Stoccarda)  prodotto nel 1430 (6). Nello stesso periodo storico cominciarono a diffondersi i Tarocchi, formati dall’unione dei mazzi di carte con l’aggiunta di 22 raffigurazioni denominate “Trionfi”, inizialmente  realizzati per le famiglie nobili dell’Italia settentrionale, come i Visconti di Milano e gli Este di Ferrara. I Tarocchi, tuttavia, per la loro particolare simbologia e per il loro complesso significato richiedono una trattazione a sé stante. Nella seconda metà del quindicesimo secolo, ogni area geografica europea modificò le figure delle proprie carte da gioco, cercando di raffigurare le famiglie reali ed i rispettivi vassalli, cavalieri e servi, includendo più o meno tutte le classi sociali. La maggior parte degli storici ritiene che nelle carte da gioco vi fu la definitiva trasposizione iconografica delle classi sociali dell’ultimo periodo medioevale. Le coppe ed i cuori rappresentavano il clero, le spade e le picche i nobili, i denari ed i quadri indicavano i mercanti, mentre i bastoni ed i fiori si riferivano ai contadini. Come accennato in precedenza, i semi delle carte napoletane (coppe, denari, spade e bastoni) sono più antichi, mentre quelli delle carte francesi (cuori, quadri, picche e fiori) nacquero all’incirca nel 1480, soppiantando altri simboli

mitteleuropei come la foglia, la campana o la ghianda. Le figure riportate sulle carte subirono vari cambiamenti nella forma e nella denominazione, presentandosi dapprima come personaggi interi, poi solo con la rappresentazione dal busto in su. In Francia, in particolare, si diffusero mazzi di carte ricchi di riferimenti ad eroi storici o di origine fantastica. La città della Normandia, Rouen, diventò uno dei centri di produzione di carte da gioco più prolifici, esportando i suoi manufatti anche nella vicina Inghilterra. Nelle botteghe di Rouen (7) nacquero le antenate delle carte francesi che conosciamo attualmente, giocando sulla corrispondenza con personaggi di elevatissimo spessore storico: i re di picche, cuori, quadri e fiori diventarono rispettivamente Davide, Alessandro Magno, Giulio Cesare e Carlo Magno; i fanti, seguendo il precitato ordine dei semi, richiamarono Ettore principe di Troia, Etienne de Vignolles, Uggeri il Danese e Giuda Maccabeo (in alcuni mazzi sostituito con il Lancillotto della Tavola Rotonda); interessante è anche la simbologia delle regine la dea Pallade/Atena, le bibliche Rachele e Giuditta, Argine di origine sconosciuta (forse l’anagramma dello stesso termine regina). All’inizio della diffusione dei mazzi, il re era la carta a cui si attribuiva un valore maggiore, ma dalla fine del quindicesimo secolo si cercò di valorizzare la carta con il numerale 1, l’asso, che diventò la carta più pregevole. Questa tendenza raggiunse l’apice con la Rivoluzione francese, quando l’asso diventò il simbolo del riscatto delle classi deboli contro i soprusi della nobiltà e dei regnanti. L’utilizzo sistematico della “matta”, jolly o joker in inglese, seppure abbia avuto frammentarie origini precedenti, si stabilizzò nel XIX secolo negli Stati Uniti per il gioco chiamato Euchre. Gli esperti ritengono che il nome derivi da juker, l’antico nome aslaziano del già citato gioco importato dall’Europa centrale nel Paese oltreoceano. Non è chiara la corrispondenza tra il joker delle carte da gioco ed il Matto, uno degli arcani maggiori dei Tarocchi (8). Riferendoci alla tradizione italiana, il mazzo più antico e famoso è sicuramente quello delle carte napoletane, articolato, come nel resto dell’area geografica mediterranea, nei semi delle coppe, delle spade, dei denari e dei bastoni. Come abbiamo già detto in precedenza, i semi erano ricollegabili ai quattro ceto sociali dell’avanzato periodo medioevale: le coppe per i sacerdoti, la spade per la nobiltà, i denari per la borghesia ed i bastoni per i lavoratori manuali. Nel loro significato più esteso le coppe sono associate al mondo dei sentimenti, delle amicizie e dei rapporti sociali in genere; le spade, invece, indicano aspetti legati alla giustizia, ai tradimenti ed alle sofferenze di varia natura; i denari implicano l’attività commerciale, gli elementi economici ed i beni materiali nella loro accezione più ampia; infine i bastoni simboleggiano il lavoro, la forza di volontà ed anche la sensualità primitiva.

Le carte napoletane sono eredi di una simbologia esoterica antichissima, legata a culti pagani, uniti a rituali cristiani, in una originale fusione a metà strada tra il mondo materiale e quello ultraterreno. Il seme dei denari (la ricchezza), tondeggiante e luminoso, richiama la tradizionale immagine del Dio Sole, proveniente dal culto elioteista dell’antico Oriente, figlio dei culti Egizi di Ra (9), che proprio a Napoli fiorirono a partire dall’ultima parte del Medioevo. Il seme della spada (il potere) coinvolge l’antico dio Ares/Marte, portandoci nel campo della ferrea volontà realizzatrice e della carriera lavorativa. Le coppe (l’amore) sono associate al seno della donna e ai culti di Bacco con i relativi piaceri conviviali. Il bastone (il vigore) è inequivocabilmente legato all’ancestrale culto di Priapo, che celebrava la potenza del fallo maschile. Non a caso all’inizio del XIX secolo nell’Italia meridionale iniziò a diffondersi l’usanza, per i capi della malavita, di tatuarsi sul corpo un asso di bastone, quale segno di riconosciuto prestigio, consuetudine che prosegue a tutt’oggi.

Una delle carte più particolari del mazzo napoletano è il tre di bastone: essa è l’unica tessera dove compare il volto di un mostro che ride, il Gatto Mammone, uno dei personaggi noir più stravaganti della cultura popolare. Si pensa che essa voglia ricordare la Guardia Cittadina (10), ex criminali, mercenari ingaggiati dopo l’arrivo di Garibaldi, per tutelare gli interessi del neonato Regno d’Italia. Questi giravano in gruppi di tre, impugnando bastoni, indossando una coccarda rossa sulle giacche ed ostentando sorrisi beffardi dietro grandi baffi. Di particolare rilievo simbolico appaiono anche altre carte, come il cinque di spade che presenta scene di semina, l’asso di denari raffigurato come un’aquila a due teste, mentre in tutte le altre carte dello stesso seme, i denari sono indicati a forma di stelle. Il cavallo di spada si differenzia dagli altri, in quanto è delineato come un moro col turbante in testa e la scimitarra in mano, volendo quasi indicare l’estensione della simbologia del mazzo a tutto il mondo allora conosciuto. A determinate carte, poi, in alcuni giochi è riconosciuto un particolare valore, come il “sette bello” che nella scopa e nello scopone scientifico da sola vale “un punto”, richiamando l’importanza numerologica del numero 7 ed il dieci di denaro che, nel sette e mezzo, è indicato come “matta”, in quanto può assumere la posizione di qualsiasi altra carta. Un riferimento a parte merita l’asso di coppe, raffigurato simile ad un’anfora, con due manici e coperchio, dipinto di tre colori (dorato, rosso, blu), con una figura mitologica (forse Bacco) incisa sul penultimo bordo. L’asso di coppe rappresenta la gioia, il calore umano, la casa e l’armonia familiare, ispirando sensazioni di benessere e di stabilità. Dal punto di vista esoterico, l’asso di coppe è associato al principio della fecondità femminile ed al “sacro graal”, inteso come dispensatore di benefici e di abbondanza. Molto interessante è anche il significato del due di coppe, implicante l’unione carnale e spirituale. Questa carta rievoca il mito dei Dioscuri (11), Castore e Polluce, i due gemelli uniti in maniera indissolubile. Nel verso diritto la carta ha un significato positivo, potendosi collegare all’amore, all’amicizia ed alla fratellanza, mentre al rovescio assume una valenza negativa, preludendo anche ad una dolorosa separazione.

La cartomanzia partenopea ha un’antichissima tradizione, discendendo direttamente dai Tarocchi e, per la precisione, dagli Arcani Minori, dei quali si persero alcune “lame” (l’8, il 9 ed il 10), bilanciati con la donna, il cavaliere ed il re. Nella cultura napoletana la divinazione delle carte era associata alle cosiddette “fattucchiere”, le cartomanti napoletane che si consideravano detentrici dei significati segreti e misteriosi celati nei simboli delle carte. Queste anziane donne, portatrici di una sapienza “pratica” e non “teoretica”, tramandavano la loro conoscenza per via orale, rivelandola a pochi eletti, per lo più parenti stretti. Seguendo un antico rituale, le vecchie fattucchiere “purificavano” il mazzo di carte da adoperare, che diventava di loro uso esclusivo, vietando a tutti gli altri di toccarlo. La stesura del mazzo di carte personale, inoltre, doveva avvenire sempre sulla stessa tovaglietta per tutta la durata della vita della sua proprietaria. I messaggi divinatori delle carte napoletane potevano variare a seconda della loro posizione, diritto o rovescio, oppure in relazione alla loro diversa combinazione, metodo di associare due o tre carte.

In Italia vi sono molteplici varianti regionali dei mazzi di carte, con caratteristiche specifiche, anche se i quattro semi sono sostanzialmente simili a quelli adoperati per le carte napoletane. In particolare, le carte bergamasche presentano figure a due teste, mentre sull’asso di bastoni è presente il motto “VINCERAI” e l’asso di coppe, a forma di fontana, richiama l’emblema degli Sforza. I denari sono denominati “ori” e l’asso di questo seme è rappresentato come un grande cerchio giallo e arancione, richiamando in maniera evidente l’astro del nostro sistema planetario. Le carte bolognesi e quelle trevigiane si presentano strette e lunghe, derivando direttamente dalle carte dei Tarocchi, mentre quelle bresciane sono le uniche italiane ancora esistenti nella versione a 52 carte, utilizzate per giocare a “cicera bigia”, un tipico trastullo della provincia bresciana (12). Le carte genovesi e milanesi hanno i semi delle carte francesi, con figure a linea di divisione diagonale con ispirazione tratta dall’antica usanza dei mazzi di origine belga. Di grande tradizione sono le carte piacentine, importate probabilmente sotto l’occupazione francese da soldati che adoperavano un mazzo di carte di fattura spagnola. Le carte piacentine presentano notevoli similitudini con un mazzo spagnolo, disegnato da Phelippe Ayet alla fine del sedicesimo secolo, presentando la particolarità di tutte le figure in piedi, a differenza delle altre usanze regionali. Come le genovesi, anche le carte toscane sono a seme francese, diffuse in tutta la regione, tranne che nella zona di Firenze, dove si utlizzano le “fiorentine”. Queste ultime sono le più grandi d’Italia, con un formato di 67/101 mm. Le toscane e le fiorentine sono state più o meno uniformate, nelle raffigurazioni delle specifiche carte, verso i primi dei Novecento, conservando alcune denominazioni locali come quelle del “gobbo” e del “regio” per il fante ed il re, oppure “mattoni” o “denari” al posto di “quadri”. Nell’Italia nord-orientale il mazzo di carte più diffuso è quello trevigiano, comprendente i tradizionali semi italiani.  I mazzi più antichi, risalenti al XVIII secolo e conservati nel Museo Corrier di Venezia (13), contano 52 carte, mentre attualmente i mazzi in uso sono indifferentemente composti da 40 o 52 carte. Una delle più simpatiche caratteristiche delle carte trevigiane è il motto riportato su ogni asso, consuetudine consolidatasi nel corso del diciottesimo secolo. Sull’asso di coppe è scritto: per un punto Martin perse la cappa; sull’asso di bastoni: se ti perdi tuo danno; sull’asso di spade: non ti fidar di me se il cuor ti manca; ed, infine, su quello di denari: non val sapere a chi ha fortuna contra.

Nella parte introduttiva abbiamo accennato alla controversa origine delle carte da gioco, vagliando in maniera estremamente sintetica le varie possibilità di sviluppo.  In Europa, nello specifico, i primi mazzi che si diffusero furono a quelli a semi italiani/spagnoli (coppe, spade, denari e bastoni) e quelli a semi tedeschi (foglie, ghiande, campanelli e cuori). Le carte francesi, ossia la tipologia di mazzi che ora domina la scena internazionale, con i semi dei cuori, picche, quadri e fiori, si affermarono solo all’inizio del Seicento, espandendosi velocemente in tutta l’Europa centrale e settentrionale. Alcuni esperti ritengono che le carte “francesi” costituissero un’evoluzione di quelle tedesche e che, nel contempo, avessero risentito gli influssi di quelle italiane e spagnole. Nella carte framcesi, ripercorrendo la già descritta divisione in classi sociali del tardo Medioevo, le coppe sarebbero diventate cuori, i denari sarebbero stati convertiti in quadri, le spade in picche, ed i bastoni avrebbero assunto l’aspetto dei fiori. Nell’epoca della Rivoluzione Francese le figure, legate all’odiata nobiltà, furono sostituite con personaggi connessi alla “libertà” ed alla “uguaglianza”, ma trascorso il decennio del “Terrore”, la pregressa simbologia prese di nuovo il sopravvento. Durante il XIX secolo, si operò la scelta di suddividere in due colori le carte francesi (il rosso ed il nero), consentendo una migliore razionalizzazione dei servizi di stampa.

Se analizziamo il simbolismo più recondito dei semi delle carte francesi, osserviamo che le “picche” sono raffigurate come una “lancia peltata”, ossia come emblema esoterico del principio maschile; i “cuori” alludono sempre al vaso, principio femminile o contenitore di sangue, come portatore della vita; i “quadri”, intesi come gioielli, rappresentano la capacità dell’uomo di affinare la materia, secondo i principi alchemici; i “fiori” delineati come “trilobati” richiamano il simbolo del fleur-de-lys (14), giglio a tre petali, emblema araldico del regno di Francia e di altre casate nobili europee, ricondotto alla tradizione della discendenza dei re Merovingi dall’unione di Gesù Cristo con Maria Maddalena. Non a caso la Chiesa, fin dalla loro comparsa in Europa, ha sempre condannato il gioco delle carte. Un discorso a parte merita il jolly o joker, oltre alla sua dibattuta origine dalla carta del Matto, uno degli Arcani Maggiori dei Tarocchi. Come è noto, il jolly è una carta che di per sé non ha nessun valore, ma che può assumerli tutti, a seconda della volontà del giocatore e delle circostanze contingenti. Il jolly rappresenta il caso ed il caos: può regalare la vittoria in maniera inaspettata, così come può confondere il gioco, capovolgendone l’ordine meditato e non scontato. Il significato esoterico del jolly/joker è comunicato in maniera inequivocabile: sui quattro lati, mancando il seme di riferimento, sono raffigurati quattro piccoli pentacoli cerchiati (i quattro elementi -terra, aria, acqua e fuoco, a cui si aggiunge la quintessenza, lo spirito-; e anche il pentagramma che Venere traccia intorno alla Terra, i cui angoli coincidono con le sue congiunzioni con l’orbita del Sole) (15). Il gioco delle carte, a prescindere dalla numerosa tipologia esistente, simboleggia la vita dell’uomo e dell’universo, il microcosmo ed il macrocosmo, l’uno in posizione di complementarietà con l’altro. Ciò è dimostrato dal fatto che la distribuzione della “mano” di carte è del tutto aleatoria: prima di cominciare, non possiamo sapere quali carte ci toccheranno e non possiamo prevedere l’esatto andamento del gioco.  Ogni partecipante in misura diversa conosce le regole, ma nessuno ha la visione chiara di ciò che capiterà. Quando il giocatore deve “pescare” una carta dal mazzo, subisce passivamente il suo destino, mentre quando ne deve “scartare” una, è obbligato a compiere una scelta precisa, come avviene nella vita reale, dove in maniera consapevole od inconsapevole, siamo di continuo chiamati a prendere coscienza della nostra situazione, cercando di portare ordine nel caos. In tal modo, nei diversi giochi, le “armonie” basate sulle similitudini (carte uguali, ad esempio tris di assi o di re e così via) o sulla progressione (scale di carte dello stesso seme) rappresentano la ricerca interiore dell’equilibrio e della crescita spirituale. Non sempre la riuscita del gioco dipende dalle “belle carte” e dal caso, che pur hanno un ruolo importante nello svolgimento della “mano”, ma anche dalla concentrazione e dalla lungimiranza di ogni singolo partecipante. Possiamo concludere dicendo che qualsiasi gioco di carte rievoca il motto di sallustiana memoria, Faber est suae quisque fortunae (ognuno è artefice del proprio destino).

Note:

(1) Cfr. Salvatore Spoto, Le carte da gioco-Storia e mistero, Editore Logart Press, Roma 1998;

(2) In realtà si tratta di tre mazzi incompleti, probabilmente elaborati nel XIV secolo e provenienti dall’Egitto;

(3) Si tratta in verità di un personaggio che sarebbe vissuto nel XIV secolo, ma su cui non si possiedono sufficienti fonti storiche;

(4) La derivazione dall’antica civiltà egizia è in particolare riferita ai Tarocchi;

(5) L’ aes signatum cominciò a diffondersi nell’età repubblicana, intorno al IV secolo a.C.;

(6) Cfr.Michael Dummet, Il mondo e l’Angelo. I Tarocchi e la loro storia, traduzione di Mariangela Tempera, Edizione Bibliopolis, Napoli 1993;

(7) In particolare, una delle antiche serie di carte prodotta a Rouen è famosa per i personaggi delle chansons de geste raffigurati;

(8) cfr. nota nr. 6;

(9) Il Dio Ra rappresentava una delle divinità più importanti dell’antico Egitto, identificato con il sole di mezzogiorno. Si riteneva che governasse su tutto il mondo conosciuto;

(10) L’idea di stipulare un accordo con la malavita, nella persona del potente boss Liborio Romano,  fu di Cavour, per garantire un accenno di stabilità nell’Italia meridionale;

(11) I Dioscuri, Castore e Polluce, identificati come figli di Zeus, furono presenti nella mitologia greca, etrusca e romana. Protettori dei naviganti, essi furono associati, per ovvi motivi, alla costellazione dei Gemelli;

(12) cfr. nota nr. 1;

(13) Si tratta di uno dei Musei più rappressentativi della città lagunare, situato nei pressi di Piazza San Marco;

(14) cfr. Michel Pastoureau, Une fleur pour le roi, in Une histoire simbolique du Moyen Age occidental, Le Seuil, 2004, edizione italiana in Storia e Società, traduzione di R. Riccardi, Edizioni Laterza, Bari 2005;

(15) Cfr. Monica Casalini, Il pentagramma. Simbologia e utilizzo nei millenni, Anguana Edizioni, Vicenza 2012.

 

Luigi Angelino

3 Comments

  • Francesco Colucci 6 Ottobre 2020

    Articolo molto interessante, esaustivo e ricco di spunti. Complimenti. Mi si faccia dire però che l’origine dei Tarocchi non è databile alla prima metà del XV° secolo ma dev’essere in realtà molto più antica, come attestano le testimonanze ritrovate in numerosi documenti alcuni dei quali risalenti addirittura al 1200. Anche la teoria comunemente diffusa che situa l’origine dei Tarocchi nell’Italia Settentrionale è messa in discussione da molti studiosi e da alcune ricerche recenti, secondo le quali i Tarocchi sarebbero nati in realtà del sud della Francia, e da qui successivamente importati in Lombardia e nel resto del Nord-Italia. Il fatto che i mazzi più antichi pervenuti sino a noi, come i mazzi Visconti-Sforza, il mazzo Sola-Busca o i cosidetti “Tarocchi del Mantegna”, abbiano fatto parte del corredo dei giochi di corte non significa automaticamente che i Tarocchi nel loro assieme siano stati realizzati esclusivamente ad uso e consumo delle classi nobiliari. E’ molto più probabile, invece, che tale tipologia di carte fosse già largamente diffusa in ambito popolare e tradizionale e che versioni particolarmente pregiate dei mazzi dei Tarocchi siano state successivamente realizzate per conto di committenti prestigiosi che già ne conoscevano l’esistenza e ne apprezzavano i significati estetici e simbolici. Uno studio approfondito dei Tarocchi dimostrerebbe poi che sia le 22 lame degli Arcani Maggiori che le 56 carte degli Arcani Minori costituirebbero un unicum formato da 78 carte, strettamente correlate tra di loro da un articolato sistema di rimandi simbolici, numerologici ed esoterici. Anche i citati riferimenti alla simbologia relativa ai Merovingi e a Maria Maddalena sono perfettamente rispecchiati negli Arcani Maggiori dei Tarocchi, tanto che vari autori vi leggerebbero in essi la trasposizione abilmente codificata delle vicende già riportate in alcuni Vangeli Apocrifi secondo i quali Maria Maddalena, sposa di Gesù, dopo essere sfuggita alle persecuzioni contro i cristiani in Asia Minore, sarebbe approdata a Marsiglia per continuare la sua opera di apostolato e di diffusione della dottrina cristica originale. Ancora oggi i mazzi dei Tarocchi tradizionali vengono chiamati “marsigliesi”. Nel medioevo il culto di Maria Maddalena si diffuse particolarmente nella zona della Provenza, nel Rodano e in generale in tutto il meridione francese, le stesse zone da cui poi trasse origine l’eresia dei Catari. Non essendo questo il luogo per dilungarsi in un’analisi storica di tutte queste complesse e in parte oscure vicende, resta comunque il fatto che l’origine dei Tarocchi e delle carte da gioco in generale rimane ancora avvolta in un fitto mistero. Probabilmente sono state numerosissimi, nel corso dei secoli, gli intrecci e le contaminazioni che hanno portato alla inclusione delle carte da gioco comuni, i “naibbi” d’origine araba, all’interno della struttura dei Tarocchi, così com’è possibile il contrario, e che cioè le 52 carte da gioco che utilizziamo ancora oggi costituiscano una versione semplificata e per così dire “volgare” di un sistema simbolico e pittografico che faceva parte di un “codex” assai più articolato e straordinariamente complesso, il quale celava al proprio interno, stratificati l’uno sull’altro, i contenuti e i significati di una gnosi o di una dottrina religiosa riservata a un gruppo ristretto di adepti. Nessuna documentazione o testimonianza scritta è purtroppo sopravvisuta per tramandarcene la storia completa, quindi le diverse teorie interpretative possono basarsi solo s’una attenta e approfondita analisi iconologica dei pochissimi mazzi di carte da gioco originali tutt’ora esistenti.

    • Luigi Angelino 6 Ottobre 2020

      Grazie mille per il significativo approfondimento. Infatti ho specificato che i Tarocchi richiedono una trattazione a sé stante. La stessa etimologia del termine è peraltro, come è noto, antichissima. Il legame dei Tarocchi con l’Italia settentrionale si riferisce solo alla loro diffusione in età moderna.
      Buona serata

  • Francesco Colucci 9 Ottobre 2020

    La maggior parte degli studiosi, basandosi su approfonditi comparazioni e confronti a livello documentaristico e inconografico, fa risalire l’origine dei Tarocchi all’epoca medioevale o alto medioevale, ma indubbiamente essi sono altresì ricchi di simbologie e di rimandi riconducibili al mondo romano e tardo-ellenistico. Non è neppure da escludere la loro derivazione da giochi di carte di origine araba o indo-persiana. E’ molto probabile che il disegno delle lame dei Tarocchi sia frutto di una sorta di complesso sincretismo tra diverse culture e sistemi simbolici, giunto poi a cristallizzarsi in una struttura iconografica e numerologica attentamente codificata. E’ infatti curioso constatare che tra i mazzi quattrocenteschi e le carte dei Tarocchi stampati e utilizzati ancora oggi, ad oltre 600 anni di distanza, le differenze siano tutto sommato marginali. L’origine “egiziana” dei Tarocchi è stata invece in buona parte smentita: tale teoria sorse in realtà in Francia nel corso del ‘700 ad opera di alcuni esoteristi appartenenti ai circoli occultisti e rosacrociani, come Antoin Court dé Gebelin o il Conte di Mellet, che in spergio ad ogni serio tentativo di analisi etimologica e semantica, pretesero di trovare nel sistema dei Tarocchi la traduzione di alcuni antichi codici sacri geroglifici, noti come il “Libro di Thot”. Non mi dilungo oltre perchè, come giustamente ha detto lei, l’affascinante storia dei Tarocchi richiederebbe una lunga e approfondita trattazione a parte, che spero di poter presto leggere su queste pagine.

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