Il mondo nordico ha in sè la naturale capacita di suscitare un fascino e un magnetismo (soprattutto negli europei) come pochi altri riescono. Le grandi epopee cosiddette “vichinghe” e la mitologia norrena continuano infatti ancora oggi a trasmettere la potenza di un mondo antico che, nonostante i secoli, non si è mai spento; proprio come se fossero delle braci che sotto la cenere seguitano ad ardere e basta un soffio per ravvivarle. Se per rendercene maggiormente conto volessimo usare come metro di misura uno dei termometri del mondo moderno, ossia il cinema e la tv, allora la questione apparirebbe subito chiara. Basti pensare alla notevole produzione dei vari film della Marvel su Thor, oppure alle serie tv tipo Vikings per farsene velocemente un’idea. Ma va anche detto che in questo settore le manipolazioni e le mistificazioni sono all’ordine del giorno, come è inevitabile che sia per la stessa natura del suddetto termometro. Diventa quindi difficile doversi districare tra ciò che risulta inerente al mito, ai testi e alle fonti e ciò che invece viene inventato di sana pianta; ottenendo così nell’immediato come risultato confusione e ignoranza abissale su un tema che invece avrebbe un bagaglio formativo e didattico notevole da trasmettere. Tanto è vero che – se si appartiene a quella numerosa schiera di individui che vorrebbero apprendere semplicemente per osmosi, anzichè leggere, studiare e fare seria ricerca, fosse anche come autodidatti – si potrebbe avere l’incrollabile certezza che Thor sia un ubriacone, che Loki sia suo fratello e che il guardiano dell’arcobaleno Bifrost – Heimdallr -, il cui appellativo principale nel mito è “Il Bianco“, sia una divinità dai tratti afroamericani. Ma sorvoliamo su questi dettagli, perchè le cose stanno molto diversamente da così e a volte sono anche più articolate di quello che si vuol far passare, perchè più profonde, e concentriamoci maggiormente sull’importanza che potrebbe avere oggi riscoprire e recuperare la mitologia nordica. Per tentare di raggiungere questo scopo salteremo a piè pari lunghe e noiose spiegazioni (che però sarebbero necessarie), provando a concentrarci direttamente su quella che è in assoluto la figura più complessa e multiforme del pantheon nordico: il dio Odino.
Cominciamo allora il nostro viaggio proprio dal nome del dio, poiché nella mitologia nordica il “Nome” ha un’importanza fondamentale e designa già in partenza la funzione stessa che dovrà svolgere chi lo detiene; sia esso spada, anello, albero o appunto divinità. Comprenderne il significato e l’origine, ci permette di penetrare la vera essenza di chi lo possiede. Il nome “Odino” deriva da una radice indo-europea che è WAT (oppure WOT). Da questa radice derivano tutta una serie di parole in anglosassone, in gotico, in antico alto tedesco, in medio alto tedesco e in latino che indicano il “furore” e “l’ispirazione divina”. In protogermanico per esempio, per la stessa divinità, ci troveremo davanti al nome “Wotan”; ossia, “il furioso” o “colui che è in preda alla furia e all’estasi”.
In queste imprese è affiancato da vari animali totemici: due enormi lupi (Geri e Freki), un destriero a otto zampe in grado di solcare i cieli (Sleipnir) e due corvi che sono di particolare interesse ai fini del nostro discorso: Huginn – Pensiero e Muninn – Memoria. Detto ciò, cominciamo ad avere un quadro abbastanza completo della figura di Odino, ma, in un certo senso, si potrebbe quasi dire che non abbiamo ancora detto prticamente nulla. E infatti ora viene il bello. Non è minimamente immaginabile affrontare in questa sede tutti gli eventi che lo coinvolgono nel mito ma, per avere una comprensione ancora più profonda di questa divinità, bisogna analizzarne almeno quattro:
– Mimir e la fonte della conoscenza (di cui accennavamo all’inizio);
– il risveglio della Volva (la veggente) nell’Hel (“il mondo di sotto”) e le sue profezie;
– la morte del figlio Baldr;
– e in ultimo (ma non per ultimo), l’auto impiccagine rituale alla quale si sottopone appendendosi all’Yggdrasill.
Analizzeremo sommariamente nell’ordine i primi tre, per concentrarci sull’ultimo. In uno dei suoi tanti viaggi, Odino si spinge fino nello “Jotunheimr” (la terra dei giganti), luogo parecchio pericoloso per un dio degli Asi. Una volta qui, raggiunge “Mimisbrunnr” – la fonte della conoscenza custodita da suo zio Mimir – che sgorga proprio in uno dei tre luoghi conosciuti in cui affondano tre delle molte radici dell’Yggdrasill. Vuole attingere all’acqua della fonte per berne un sorso e accrescere la sua conoscenza. Lo zio gli chiede qualcosa in cambio e lui gli dona un’occhio strappandoselo; d’altro canto la legge di base di tutti i misteri iniziatici che appartengono alla mitologia nordica è “un dono per un dono”. Più sarai pronto a donare, maggiore sarà ciò che avrai in dono. Beve, taglia la testa di Mimir (alla quale continuerà a chiedere consigli e ad interrogarla sulle più disparate questioni) e se la porta via insieme al calice con il quale ha attinto al pozzo. Successivamente (ma lo scorrere del tempo nel mito ha un andamento tutto suo particolare, percui potrebbe essere avvenuto anche prima, o addirittura nello stesso momento) lo ritroviamo ad affrontare un viaggio nell’Hel, il mondo di sotto (un pò come l’Ade della mitologia greca, tanto per intenderci), dove risveglia dal sonno dell’oltretomba una Volva – una veggente – e la interroga sulle origini del cosmo, di tutto il creato, degli dèi, degli uomini e del futuro che attende l’universo e tutti loro.
La Volva lo accontenta e, partendo dal Vuoto Primordiale che pervadeva il Cosmo all’inizio del tempo, chiude il suo racconto con la descrizione del “Ragnarok”: quando il computo del tempo stabilito per la durata di questo ciclo giungerà al suo termine, una battaglia apocalittica investirà tutti i mondi conosciuti, i legami di sangue verranno meno e i fratelli si ammazzeranno tra di loro, finché sulla piana di Asgard ogni dio combatterà con la sua nemesi e perirà. Mostri di ogni sorta – lupi, draghi, serpenti, giganti, etc. – si scontreranno con Odino, Thor, Tyr, Freyr, gli dèi tutti e le schiere di tutti i guerrieri raccolti sui campi di battaglia dall’inizio del tempo dalle Valchirie e radunati nel Valhalla. All’ultimo, giungerà un gigante di fuoco di nome Surtr che incendierà tutto il mondo. Ma quando le fiamme si saranno estinte, la terra riemergerà e tornerà ad essere verde e bella, le messi cresceranno rigogliose e all’ombra di un bosco sacro si saranno messi in salvo un uomo e una donna insieme ai figli di Odino e di Thor; questi ultimi ritroveranno tra l’erba gli scacchi d’oro con i quali giocavano tutte le mattine gli Asi (simbolo del ripristino di un nuovo ordine), le Rune (le chiavi di accesso alle leggi dell’Esistenza) e il Mjollnir, il martello del dio Thor (arma usata per difendere l’ordine dal caos e simbolo di fertilità). Infine tornerà dal regno dei morti Baldr, figlio solare e luminoso di Odino che detiene i segreti delle Rune. Lo so che stiamo andando parecchio per le lunghe, ma ci siamo quasi. Fate ancora un piccolo sforzo e seguitemi fino alla fine.ì Anzi, stringiamo proprio: il terzo evento assolutamente da tenere in considerazione è proprio la morte di Baldr, figlio di Odino e divinità solare, che viene ucciso tramite un inganno ad opera di Loki. Non riuscendo in nessun modo a farselo restituire da Hel (colei che regna nel mondo di sotto), Odino prima di incendiare la prima funebre sussurra nell’orecchio del figlio i segreti delle Rune che nessuno può udire, perché sa (grazie alle profezie della veggente) che Baldr tornerà per governare nella prossima Era. Ed eccoci finalmente giunti a quello che può essere considerato il vero cuore sciamanico, iniziatico ed esoterico di tutta la mitologia nordica: la conquista delle Rune da parte di Odino tramite auto-impiccagione rituale. Ci troviamo di fronte ad uno degli argomenti – quello delle Rune – più controverso, bistrattato e desacralizato in assoluto negli ultimi anni da parte di filologi, newager, santoni improvvisati e sciamani dell’ultimo minuto. Ormai abbiamo visto di tutto, mancano solo le Rune aromatizzate all’origano per condire le pizze del Conad e siamo al completo. Purtroppo non confido che il trend migliori, ma, a maggior ragione, diventa nostro compito occuparci di divulgare correttamente il mito, perché il mito è la porta d’accesso ad una conoscenza superiore. Cosa che, detta francamente, in effetti potrebbe aiutarci a migliorarci molto come esseri umani e Uomini.
Inizialmente abbiamo individuato le peculiarità che caratterizzano questa divinità: l’Estasi e il Furore. Peculiarità che vanno intese come potenza metafisica e capacità di intercettare le manifestazioni del “Sacro” provenienti da altri mondi, mondi che sono anche al di fuori dello schema cosmico delimitato dall’Yggdrasill e dai suoi nove regni. Facendo leva su queste caratteristiche e sui requisiti che solo lui detiene, Odino si reca presso un altro dei luoghi conosciuti dove affonda la seconda radice dell’albero cosmico e che si trova in Asgard. Una volta giunto lì, si appende a un ramo a testa in giù e vi rimane per nove giorni e nove notti, senza poter consumare né cibo né bevande di sorta. Nella stanza 138 dell’Havamall (carme contenuto nella raccolta di antichi poemi epici nordici conosciuta come Edda Poetica, o Canzoniere Eddico) è lo stesso Odino che parla e ci dice:
“Lo so che sono stato appeso
al tronco scosso dal vento
nove intere notti,
da una lancia ferito
e ascrificato a Odino,
io a me stesso
su quell’albero che nessuno conosce
dove dalle radici s’erga.”
E ancora subito dopo nella stanza 139:
“Con pane non mi hanno saziato
né con corni potori:
in basso spiando guardavo.
Trassi su le Rune
gridando le trassi
e ricaddi di là.”
Odino, sacrificando se stesso a se stesso, alla fine stabilita per il supplizio autoinflittosi, scorge sul fondo del pozzo, dove affonda, la radice dell’Yggdrasill le Rune; ne comprende il significato e con un ultimo sforzo, gridando, le corde che lo imprigionano al ramo si sciolgono e lui riesce ad afferrare i sacri simboli che custodiscono i segreti dell’Universo e dell’Esistenza tutta. Ma non le trattiene per sè: le dona agli uomini con il monito di usarle secondo i suoi insegnamenti. Chiaramente bisogna essere consapevoli che tutti gli argomenti toccati meriterebbero un approfondimento, ma, per arrivare finalmente in fondo al nostro ragionamento, quello che abbiamo ci basta. Possiamo quindi concludere che Odino, nonostante la sua complessità e il carattere sfuggente delle sue azioni, è una divinità profondamente generosa. Ciò che lo muove, al di sopra di tutto, è la necessità impellente di mettersi in vantaggio sugli eventi svelatigli dalla Volva per poter preparare al meglio il rifiorire dell’Età dell’Oro che tornerà alla fine del Ragnarok. Lui, e solo lui, ha tutti i requisiti per riuscire nell’impresa e si fa carico di questo pesante fardello, che non può condividere con nessun altro. Con la conquista definitiva della conoscenza attraverso il possesso delle Rune, egli è finalmente diventato il dio supremo della magia e della guerra, è sia poeta/mago che guerriero. Egli è ciò che incarnavano i Rex del passato: sacerdote e aristocratico combattente. E se è vero che esistono misteriosi e profondi rapporti tra la poesia e l’attività guerriera (come testimoniano tutte le antiche tradizioni, anzi più si rimonta lontano nel tempo alle radici della Tradizione, tanto più tendono a coincidere), allo stesso modo esistono misteriosi e profondi rapporti tra poesia e memoria; tra memoria e conoscenza, e infine tra conoscenza e verità. E la verità non può essere creata o inventata, ma può solo essere ritrovata e ricordata. Tenere vivi i legami con la Memoria Ancestrale, con il passato, con gli antenati, attraverso il sangue e la memoria, è l’unico modo possibile per attingere alla conoscenza, che è verità. E se questa legge è valida per il padre degli déi, figurarsi se possiamo anche solo immaginare che non lo sia per noi mortali.
Ecco dunque che alla luce di questa analisi, emerge tutta la forza rivoluzionaria della figura di Odino: proprio come uno sciamano che si sacrifica e dedica tutto se stesso per risanare il proprio popolo, lui impiega tutte le proprie energie per opporsi ad un ordine che sta ormai decadendo in un caos autodistruttivo, per fornire a chi verrà dopo le chiavi per tornare al punto d’origine e ad un assetto primordiale. Il mito, infine, svolge anche una funzione pedagogica e formativa per un individuo appartenente ed aderente ad una determinata Weltanschauung, visione del mondo e della vita che riunisce donne e uomini in comunità di popolo.
Nota bibliografica : per chiunque fosse interessato ad un approfondimento, si suggerisce l’ottimo testo di Mario Polia, “Furor: guerra, poesia e profezia“, edito da Il Cerchio-Il Corallo, 1983 (copertina evidenza nell’articolo).
Valerio Avalon
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