17 Luglio 2024
Archeostoria

L’eredità degli antenati, trentacinquesima parte – Fabio Calabrese

Ripartiamo dalla seconda decade di agosto, anche se come al solito, è probabile che voi leggerete queste note sulle pagine di “Ereticamente” molto più tardi. “Ereticamente” per fortuna non è “Le scienze” perché questa volta sarà opportuno partire in maniera decisamente irrituale, ma d’altra parte noi sappiamo che le idee, i concetti, i fatti che realmente contano, molto difficilmente riescono a sfondare il muro dell’ortodossia “scientifica”.

Partiamo da qualcosa di irrituale al massimo: nemmeno un articolo ma un filmato su Youtube, nemmeno recente, ma che è stato linkato su di un gruppo facebook, il solito MANvantara il 10 agosto. Una “fonte” così si potrebbe tranquillamente ignorare se non venisse a trattare una questione fondamentale, forse la parola definitiva per quanto riguarda la problematica delle razze.

L’autore del filmato si firma Masaman, e lo stesso documento è del novembre 2018, si trova al link https://youtu.be/zBq4P8Q9ntg. Il titolo (ve lo traduco in italiano) non potrebbe essere più esplicito: Un’unica razza si estinguerebbe presto.

L’autore ci fa riflettere su di un concetto relativamente semplice ma molto importante: tutte le specie di esseri viventi, animali e vegetali sono suddivise in sottospecie, varietà, razze, per la buona ragione che la variabilità genetica è uno strumento indispensabile alla sopravvivenza, esso consente l’adattamento a una pluralità di habitat e a una varietà di risorse, di fare fronte ai cambiamenti ambientali, di sviluppare ceppi resistenti a parassiti e malattie. Una specie priva di variabilità genetica, di differenze razziali, marcerebbe presto verso l’estinzione.

A ciò che ci dice Masaman, aggiungerei una sola riflessione: i “buoni” democratici, come sappiamo, non si limitano a negare teoricamente l’esistenza delle razze umane, ma cercano di cancellarle effettivamente attraverso il meticciato. Forse stanno irresponsabilmente portando l’umanità alla tomba.

Sarà un caso, ma quasi contemporaneamente a questo filmato, l’8 agosto, su di un sito che risponde all’indirizzo thuletide.wordpress.com è apparso un lungo articolo di un autore che si firma appunto Thuletide, What is “whithe”, “Cosa è bianco”, o che si potrebbe meglio tradurre “Cosa significa essere bianchi”, che porta come sottotitolo “una guida per principianti completi”.

In effetti, dobbiamo pensare che nel vuoto culturale fatto dalla democrazia “made in USA”, il pubblico americano è prevalentemente composto da principianti completi, digiuni di concetti per noi basilari, ai quali bisogna spiegare cosa vogliono dire termini come “bianco”, “caucasico”, “indoeuropeo”, concetti che in nome dell’antirazzismo tendono a essere sempre più ignorati.

Non vi ripeterò il contenuto dell’articolo che è molto vasto, ma Thuletide coglie molto bene le menzogne e le contraddizioni sottintese alla political correctness democratica, ad esempio: la razza bianca non esiste, perché le razze umane non esistono, però contemporaneamente (bell’esempio di bis-pensiero orwelliano), è responsabile di tutti i mali del mondo.

In generale, pensare che esista un crimine, ovviamente il più nefando che si possa concepire, il razzismo, che è possibile commettere solo agli appartenenti di un determinato gruppo etnico (i “bianchi”, noi guarda caso) è razzismo, razzismo anti-bianco, e precisamente questa è la realtà del sedicente antirazzismo.

Se ve ne ricordate, ne abbiamo parlato altre volte: i neri sono perfettamente capaci di comportamenti, oltre che violenti, razzisti e discriminatori. Vi avevo citato l’episodio riferito da Jean François Revel in La conoscenza inutile, di quel missionario in Africa che per aver affermato: “Non dobbiamo dimenticarlo, i pigmei sono uomini come noi”, provocò la generale ilarità dell’uditorio, e non sarà bene dimenticare nemmeno che i pigmei sono oggi le principali vittime del cannibalismo che, al contrario di quanto ci hanno raccontato per decenni, non è affatto mai scomparso in Africa.

La notizia viene anche in questo caso da una fonte insolita: un breve articolo non firmato su Sky TG24 del 7 agosto riferisce Nel DNA dell’uomo moderno tracce di un ignoto progenitore.

I ricercatori di due università americane, la Cornell e la Cold Spring Harbor hanno messo a punto un algoritmo per identificare le tracce nel DNA umano di materiale genetico di origine sconosciuta, si tratterebbe delle famose introgressioni, cioè delle tracce di accoppiamenti con ominidi più primitivi avvenute centinaia di migliaia di anni fa.

Sono stati messi a confronto i DNA di tre uomini di Neanderthal, di un uomo di Denisova e di due uomini “moderni” provenienti dall’Africa. In questo modo i ricercatori avrebbero identificato un DNA “super-arcaico” di origine sconosciuta. Tuttavia, il fatto sorprendente non è questo, sono le proporzioni di questo DNA “sconosciuto” nel genoma delle popolazioni interessate, esse sarebbero del 3% per i neanderthaliani, appena dell’1% nel denisoviano e costituirebbero ben il 15% del patrimonio genetico degli africani di oggi.

I risultati di questa ricerca ci portano a delle considerazioni molto importanti: gli africani viventi oggi, si, proprio quelli cui oggi la sconsiderata politica della sinistra immigrazionista permette di invadere l’Italia, sono geneticamente considerevolmente più arcaici di neanderthaliani e denisoviani, ma il discorso non si limita a questo. Per prima cosa osserviamo che questo DNA super-arcaico non è una novità, non si tratta altro che della famosa “specie fantasma” (ri)scoperta dai ricercatori dell’università di Buffalo nel 2017, ma di cui in realtà aveva già parlato la genetista Sarah Tishkoff nel 2012, e che forse non era altro che il vecchio Homo erectus che in Africa non sarebbe andato incontro ad alcuna evoluzione.

E’ una storia veramente strana che meriterebbe un pezzo a parte di sociologia della scienza, quella di questa scoperta che da otto anni a questa parte viene continuamente scoperta, dimenticata e riscoperta. Ciò dipende probabilmente dal fatto che negli ambienti scientifici deve essere passata una sorta di parola d’ordine, per la quale a questa scoperta è permesso di circolare solo in ambienti ristretti e non raggiungere il grosso pubblico, perché essa è la riprova che il nero africano, ben lungi dall’essere il modello di umanità che cercano di vendere al grosso pubblico, è un vero passo indietro sulla via di Homo sapiens.

E’ anche sintomatico il fatto che per questo raffronto i ricercatori delle due università americane non abbiano utilizzato DNA europide, o del resto asiatico, il che probabilmente si spiega con il fatto che costoro sono partiti con il pregiudizio di base che appunto l’africano dovrebbe essere “il modello” della nostra specie, “il sapiens più sapiens” per così dire, con i risultati sconcertanti e sconfortanti che si sono visti. In altre parole, si tratterebbe di un involontario esempio di quel razzismo anti-bianco che domina oggi la “cultura” americana, costituisce la base ideologica della violenza dei “Black Lives Matter” e a cui la sinistra “nostrana” è pecorescamente prona.

La notizia di questa ricerca è riportata, sempre il 7 agosto, anche da un articolo di Ed Whelan su “Ancient Origins”, e, oltre a quanto riferisce l’articolo di Sky TG24, Whelan aggiunge un particolare veramente strano: a tutt’oggi Homo erectus rimane un personaggio misterioso, nessuno ha mai pensato di sequenziarne il DNA.

Davvero? C’è da rimanere sbalorditi. Questa particolare specie o varietà umana è nota fin dal XIX secolo, dal ritrovamento giavanese di Eugene Dubois, da lui erroneamente classificato come Pitecanthropus, esemplari di erectus sono stati ritrovati in Asia, in Africa, in Europa (non contiamo i resti perduti del cosiddetto Sinanthropus cinese, ma quanto meno il sito di Dmanisi in Georgia ha restituito resti umani in quantità copiosa). Rimane il dubbio che non si sia voluto indagare troppo a fondo su questi nostri antichi predecessori, perché l’analisi del DNA potrebbe rivelare un’“imbarazzante” somiglianza con gli africani attuali.

Poiché siamo tornati a occuparci di “Ancient Origins”, vediamo che quest’ultimo sito ci tiene sempre aggiornati per quanto riguarda la preistoria britannica (ci fosse altrettanto interesse qui da noi in Italia, ma prescindiamo!).

Un articolo del 10 agosto di Ashley Cowie ci parla della cosiddetta pietra druidica di Bidworth: un masso forato in modo tale da formare una sorta di dolmen naturale, solo che precisa l’autrice, le tradizioni moderne documentate a partire dal XIX secolo ricollegano la pietra di Bidworth ai druidi, e oggi essa è effettivamente diventata un luogo di culto neo-druidico, ma è perlomeno dubbio, non esistono prove certe che nell’antichità essa avesse già tale funzione.

Noi, per parte nostra, possiamo ricordare che anche in Italia, a Calimera (Lecce) esiste un analogo masso forato, la sacra roccia di san Vito, un quasi-dolmen che, essendo tuttora usato nei riti della pasqua – l’attraversarlo è considerato un simbolo di rinascita – è forse l’unica struttura megalitica in tutta Europa rimasta oggetto di culto ininterrottamente dalla preistoria a oggi, ma purtroppo non c’è dubbio che per quanto riguarda il nostro passato, noi siamo assai più disattenti degli Inglesi.

Sempre Ashley Cowie il giorno seguente, martedì 11 ci informa che nella contea di Peebles in Scozia, nell’omonimo villaggio 36 chilometri a sud di Edimburgo, è stato fatto un ritrovamento a dir poco eccezionale. Un cercatore di tesori, Mariusz Stephen con l’ausilio del metal detector avrebbe individuato un vero e proprio tesoro sepolto dell’Età del Bronzo che comprende vari monili e fibbie, una bella testa d’ascia e soprattutto una spada con tanto di fodero. I ritrovamenti di spade di quest’epoca sono rarissimi. Il signor Stephens ha consegnato questo tesoro al Museo Nazionale di Edimburgo dove è ora oggetto di studio.

Non c’è solo “Ancient Origins”. Dobbiamo ammetterlo, gli Inglesi hanno un interesse per il remoto passato della loro Isola di gran lunga superiore a quel che hanno per quello dell’Italia nella maggior parte dei casi i nostri distratti connazionali, e sì che di cose ce ne sarebbero, la nostra Penisola è un vero scrigno di tesori archeologici.

Tant’è. Il 7 e poi il 10 agosto sono comparsi su YouTube due filmati relativi all’archeologia preistorica delle Isole Britanniche. L’autrice è una bella signora bionda (cosa che non guasta) che si firma Kayleigh (è probabile che Kay sia il nome e Leigh il cognome).

Il primo ci parla del woodhenge che si trova nella piana di Salisbury nel Wiltshire a tre chilometri da Stonehenge. Una foto aerea del sito, probabilmente presa con un drone, rende ben visibili le tracce di questo monumento, che sono invece assai difficili da distinguere stando al suolo.

Il filmato del 10 ci porta invece nelle Orcadi. Le Orcadi – Orkney – questo arcipelago nel nord della Scozia il cui “cuore neolitico” è stato incluso nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dall’UNESCO, presenta una concentrazione di monumenti neolitici davvero notevole, ma Kayleigh si sofferma in particolare su due. Uno sono le notissime pietre erette di Stennes, l’altro è certamente molto meno noto, si tratta dell’insediamento o villaggio neolitico di Barnhouse, di cui rimangono le fondamenta degli edifici, un paio dei quali molto grandi, che permettono di ricostruirne la planimetria. Certo, non è la vicina Skara Brahe, il villaggio preistorico meglio conservato al mondo, ma è comunque una testimonianza importante del passato delle Isole Britanniche.

Un piccolo giro su YouTube ci mostra che Kayleigh è autrice di diversi documentari sui monumenti preistorici delle Isole Britanniche.

Sempre in questo periodo, parliamo di un’uscita libraria: presso l’editore Asterios nella collana In Folio è stato pubblicato il libro Il matriarcato. All’origine le madri? – Un viaggio dal paleolitico alle società contemporanee. L’ambizione, come è facile da capire, sarebbe quella di gettare un ponte fra il matriarcato preistorico e il femminismo contemporaneo.

C’è però da ricordare l’articolo di Massimo Izzo Falsi archeologici, matriarcato neolitico e Grande Dea pubblicato ad aprile sul sito rubrics.it., e di cui vi ho parlato nella ventiquattresima parte de L’eredità degli antenati. Secondo questo ricercatore, noi abbiamo la tendenza a leggere fin troppo spesso la preistoria con le lenti deformanti della nostra ottica moderna, e il matriarcato neolitico sarebbe proprio un esempio di questo tipo: il concetto creato da alcuni (soprattutto alcune) come Marija Gimbutas, che non rifletterebbe tanto la realtà preistorica oggettiva, quanto la concezione femminista contemporanea.

Sapevate che anche l’Armenia ha la sua Stonehenge? Si tratta del sito megalitico noto come Carahunge o zorats Karer, caratterizzato da un ampio circolo di monoliti eretti, sono qualche centinaio. “Archaeology” del 11 agosto riporta la notizia che durante una prospezione ricercatori dell’Osservatorio Byurakan e dell’Università Nazionale Armena, hanno individuato 30 monoliti finora non documentati.

Cosa si potrebbe commentare, se non il fatto che ritrovare circoli megalitici, talvolta molto simili, dal Portogallo alle Isole Britanniche, al remoto nord, alle estremità orientali del nostro continente (e, come abbiamo visto altre volte, non mancano neppure in Italia) fa pensare sempre di più a un’unica civiltà neolitica estesa da un angolo all’altro dell’Europa? E abbiamo visto che soprattutto l’Europa orientale, le regioni che facevano parte dell’impero sovietico, dove questo genere di ricerche era avversato, sono un territorio ancora tutto da esplorare.

NOTA: Nell’illustrazione, due immagini dell’uomo super-arcaico, quella a sinistra tratta dall’articolo su Sky TG24, quella a destra da quello su “Ancient Origins”. Non è difficile comprendere che, stante il livello attuale delle nostre conoscenze a questo riguardo, queste ricostruzioni sono totalmente di fantasia.

 

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