Il filosofo Julius Evola quest’anno è stato degnamente celebrato e ricordato a quarant’anni dalla scomparsa. Molti i convegni e gli eventi a lui dedicati al fine di analizzarne la vastissima produzione e di valutare lo spessore della proposta culturale, originalissima, di cui si fece interprete. L’ultimo di essi in termini cronologici, ma non certamente per importanza, si è tenuto lo scorso 29 Novembre a Roma. Il Convegno, intitolato “L’Eredità di Evola”, è stato organizzato dall’Accademia dei Filaleti e dalla Fondazione Evola ed ha visto la partecipazione di docenti di molte Università italiane, impegnati a discutere i diversi ambiti d’interesse del pensatore romano: filosofia, arte, politica, ermetismo, metafisica del sesso, storiografia, storia delle religioni, di fronte ad un pubblico numeroso e partecipe. Un successo in termini scientifici e, come oggi si suol dire, d’immagine, per gli organizzatori. L’evento ha confermato la centralità dell’intellettuale tradizionalista nel dibattito delle idee contemporaneo e un definitivo riconoscimento di quell’Accademia, verso la quale egli, in vita, non fu mai tenero.
Tutto bene, allora, direte voi! Non proprio: come si sa l’ambiente accademico a volte vive di risentimenti, di rivalità inconfessate e, soprattutto, di rifiuti pregiudiziali. Per di più il mondo universitario italiano costruito scientemente, nei suoi tratti ideologici connotanti, fin dal lontano dopoguerra, sulla cultura dell’odio e dell’esclusione dei “diversi” rispetto al “politicamente corretto” come oggi si dice, di fronte alla “rivalutazione” di Evola, ha fatto appello alle ormai residuali difese ideologico-immunitarie di cui dispone. E lo ha fatto con evidente acribia, con volontà discriminatoria, con toni quasi ricattatori. Infatti, sulla rivista on-line www.glistatigenerali.com, il 2 dicembre è apparso uno scritto a firma di Francesco Cassata, ricercatore in storia contemporanea, che nel riferire i soliti cliché utilizzati dai denigratori di professione, da decenni, nel tentativo di sterilizzare il pensiero di Evola (fascista, razzista, antisemita ecc.), sostiene che, questa volta gli apologeti del tradizionalista e organizzatori del Convegno incriminato, hanno (nientemeno!) tentato un suo accreditamento nell’ambito degli studi storico-religiosi. Cosa, a suo dire, davvero impensabile, progetto da ostacolare e fermare in ogni modo!
A noi pare che diversi studiosi di rango di questo ambito disciplinare, abbiano già firmato i saggi introduttivi delle opere in argomento di Evola, tra gli altri Jean Varenne, Pio Filippani-Ronconi, Seyyed Hossein Nasr, Marcello De Martino. Per la qualcosa, non riteniamo ci fosse neppure bisogno di un ulteriore riconoscimento. Per altro, sostenere che questo tentativo di recupero scientifico-accademico del pensatore romano, abbia avuto l’avallo del potere politico: “…durante il lungo ventennio berlusconiano” che avrebbe aperto : “…le porte della redenzione al pensiero pseudoscientifico, pseudo storiografico e antimodernista”, è dire una colossale sciocchezza. Berlusconi e i berlusconiani, riteniamo non abbiano mai sentito neppure nominare Evola. Durante il “ventennio” del Cavaliere di Arcore, nelle manifestazioni e nelle Feste di partito (AN) era proibito addirittura allestire stand per la vendita dei libri di Evola! Figurarsi se qualcuno poteva pensare a strategie di inserimento universitario o di “accreditamento” di Evola, quale significativo studioso in ambito storico-religioso. Eppure Cassata rileva che “nella Storia delle religioni si è assistito all’ingresso di ogni sorta di infiltrazione metafisica, filoesoterica e perennialista”, diffusasi anche attraverso l’opera di Mircea Eliade. Ora è ben noto, anche al più sprovveduto dei lettori, che quest’ultimo è considerato uno dei più rilevanti studiosi di religioni del secolo XX. Gettare ombre sulla sua produzione scientifica (come è stato fatto anche in passato), è ulteriore conferma del pregiudizio ideologico dei denigratori. Anziché evocare “anticorpi storicisti” per fermare l’avanzare del metodo fenomenologico nelle nostre Accademie, non sarebbe meglio, una volta tanto, fare i conti con i propri errori e valutare secondo modalità di obiettività scientifica il lavoro di altri studiosi?
Come è stato notato da Gianfranco de Turris in Evola, l’editoria negazionista sulle foibe e la libertà in Italia (barbadillo.it 5/12/14), anche la sintetica ricostruzione della figura di Evola che l’autore dello scritto presenta, non è priva di imprecisioni. Non viene ricordata l’assoluzione di Evola al processo FAR nel dopoguerra, si dice il filosofo essere legato al neo-paganesimo, quando è noto che egli scrisse dei tratti negativi e/o regressivi del neopaganesimo, e soprattutto lo si continua a presentare come “cattivo maestro” del terrorismo nero. Evola fu totalmente estraneo a questo fenomeno criminale: se ci furono “cattivi o pessimi discepoli”, questo non è imputabile a lui.
L’articolo di Cassata si chiude con un appello firmato da altri studiosi di discipline storiche a vigilare perché la rivalutazione di Evola venga bloccata nelle Università italiane in quanto, soprattutto in Storia delle religioni “la ricerca accademica in chiave localistica e antiscientifica ha raggiunto livelli di retroguardia allarmati”. A causa di Evola e di Eliade? Non forse per la distruzione sessantottesca degli studi in questo paese e per la gestione dei concorsi, grazie ai quali tanti “amici degli amici” sono saliti in cattedra immeritatamente? La democrazia escludente, anche in ambito culturale, è davvero una strana cosa. Ce lo ricorda ancora de Turris, nell’articolo sopra menzionato: lo stesso giorno della pubblicazione dello scritto di Cassata a commento del Convegno Evola di cui abbiamo detto, è comparsa su Il Giornale un’intervista all’Assessore alla Cultura della Regione Friuli, Gianni Torrenti, relativa al finanziamento di 20.000 euro, stanziato dalla stessa Regione, a favore della casa editrice Kappa Vu di Udine, che pubblica testi negazionisti in merito alle foibe. Torrenti ha dichiarato: “Non sono assolutamente d’accordo con le tesi negazioniste del dramma storico delle foibe, ma se bloccassimo i fondi andremmo ad intaccare la libertà di espressione e di pensiero”.
Ecco, ci auguriamo che la libertà di espressione e di pensiero non valga, come il più delle volte è stato finora, a senso unico. Speriamo che essa venga rispettata, a dispetto dei vigilantes di ieri e di oggi, anche per Evola e quanti si pongano oltre i confini del “politicamente corretto”. Il Convegno del 29 novembre dovrebbe aver chiarito ai censori, alle ultime guardie bianche del potere culturale, che la verità è diffusiva. Attorno ad essa si possono erigere casematte di sorveglianza ma, prima o poi, esse vengono oltrepassate: nel caso di Evola ciò è già avvenuto in quanto il suo pensiero, a quarant’anni dalla sua scomparsa fisica, è uno strumento indispensabile e potentissimo per instaurare un confronto serrato con il nostro tempo. La “giovinezza spirituale” di Evola, il suo coraggio dell’impossibile (così lo avrebbe chiamato Michelstaedter) è in grado di porre in scacco le presunte evidenze del senso comune contemporaneo, alle quali restano mestamente avvinghiati i suoi ultimi, residuali denigratori.
Giovanni Sessa
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