8 Ottobre 2024
Antropologia Out Of Africa

Africa: un “Melting Pot” ante litteram – Michele Ruzzai

Quando succede, fa piacere constatare come il tempo porti conferme a ciò che si era ipotizzato in precedenza.
Che in tempi preistorici l’Africa possa essere stata “una specie di “melting pot” ante litteram era un pensiero che avevo buttato giù sei anni fa nell’articolo “Madre Africa?” pubblicato dagli amici di “Ereticamente” e sempre disponibile nel sito (1): un’idea fondamentalmente opposta all’imperante teoria “Out of Africa” (in breve OOA) che provava a spiegare – e tenta ancora oggi ma, direi, con sempre meno forza persuasiva – l’origine mondiale della specie Homo Sapiens a partire dal continente nero e la sua successiva migrazione verso le altre aree del pianeta. Come dicevo nel suddetto articolo, uno degli elementi che hanno spinto i ricercatori a formulare questa teoria è di tipo genetico: constatando la fortissima eterogeneità molecolare delle attuali popolazioni africane, si è ipotizzato che ciò stesse a significare una maggior antichità del primo nucleo Sapiens in loco, che in questo quadro sarebbe nato in un’area imprecisata a sud del Sahara, da dove si sarebbe poi staccata una popolazione più ridotta per uscire dall’Africa (“Out of Africa” appunto) e dirigersi verso gli altri continenti. Nel frattempo i Sapiens rimasti in sito avrebbero avuto il tempo di continuare a differenziarsi ulteriormente al loro interno, arrivando oggi ad evidenziare una tale eterogeneità che, in quest’ottica, costituirebbe dunque un’evidenza maturata unicamente in funzione del fattore tempo. Ciò anche in conseguenza di un assunto logico impostato a priori nella costruzione di molti alberi filogenetici, ovvero quello di una tasso di mutazione costante del genoma di tutte le popolazioni del pianeta: i rami più lunghi attribuiti alle popolazioni subsahariane, stimati in proporzione alla maggior quantità di mutazioni intervenute, starebbero quindi ad indicare, analogamente, una loro maggiore antichità e, quindi, una loro ancestralità (o, meglio, una loro derivazione diretta dalla popolazione ancestrale protoafricana) rispetto a tutti gli altri Sapiens mondiali.
Nel mio articolo esprimevo vari dubbi su questi punti, proponendo una prospettiva completamente opposta: non l’Africa come terra di emigrazione ma, piuttosto, area nella quale sarebbe rifluita una tale varietà di gruppi umani (divenendo, appunto, un “melting pot”) da cui l’eterogeneità genetica oggi rilevata, però chiaramente prodotta da un fenomeno praticamente inverso rispetto a quello immaginato dalla ricerca accademica. Ebbene, con il tempo sono effettivamente venuti alla luce alcuni elementi che sembrerebbero andare proprio in questa direzione, spiegando almeno buona parte (l’OOA è ancora un “totem” che scoraggia il ricercatore da un attacco aperto e diretto) dell’eterogeneità molecolare africana attraverso importanti fenomeni immigratori provenienti dall’Eurasia e da un ulteriore dato emerso successivamente, ovvero il fortissimo grado di meticciamento subsahariano con una specie, sempre africana, non ancora identificata (”fantasma”, com’è stata definita)(2), che è stato riscontrato analizzando la struttura della proteina salivare MUC5. L’impronta genetica di questi “fantasmi” africani si è confermata sempre di più nel corso del tempo (3) e, tra l’altro, la sua crescente rilevanza mi aveva già fatto ribadire, in un post del febbraio scorso nel gruppo Facebook “MANvantara”, la non semplice conciliabilità di questo dato con la formulazione OOA classica: perché se ci viene detto che la presenza in Africa di questi misteriosi ominini data da lunghissimo tempo, in quanto derivanti (secondo un’ottica evoluzionistica) da uno snodo perfino antecedente a quello che avrebbe generato i neandertaliani, la cosa non appariva molto coerente con l’ipotesi che questi non si fossero mai prima incontrati con i Sapiens. I quali, stranamente, sarebbero usciti belli, lindi e puliti dal continente nero – quasi un miracoloso “distillato” – e si sarebbero uniti ai “fantasmi”, come stimato, solo in tempi relativamente recenti; mentre invece, in un quadro genuinamente e coerentemente OOA, sarebbe più logico aspettarsi tracce molecolari di ominini “fantasma” anche nelle frequenze extra-africane. Ma, piaccia o non piaccia, così non è.

Ora un recentissimo studio (4), elaborato con un nuovo approccio metodologico ed algoritmi induttivi particolarmente sofisticati, rivisita ancora più a fondo le implicazioni genetiche della teoria OOA e, nelle analisi dei ricercatori, la biforcazione in area subsahariana tra africani e non africani viene valutata come solo una delle varie possibilità all’esame, non necessariamente quella più parsimoniosa in termini statistici e dai percorsi logici più immediati rispetto ad altre aree geografiche. Ma anche interpretandone i dati in una prospettiva afrocentrica, emergono comunque alcuni elementi di notevole interesse, come ad esempio la possibilità che vi possano essere state due diverse uscite Sapiens dall’Africa, una 80.000 e una 60.000 anni fa: però con quella più antica, “paleo-africana”, che stranamente non avrebbe lasciato quasi nessuna discendenza e sarebbe stata rimpiazzata più o meno integralmente dalla seconda, “neo-africana”, non solo negli altri continenti ma anche nell’Africa stessa. Qui, inoltre, si sarebbe riscontrato anche un importante flusso di ritorno Sapiens dalle aree eurasiatiche e, come dicevo sopra, in tempi relativamente recenti l’introgressione di una cospicua quota di frequenze “fantasma”, che a sud del Sahara potrebbero essersi cumulate fino anche a superare il 10% del genoma totale. A parte il fatto che la cesura, molto netta, tra l’evento di 80.000 e quello di 60.000 anni fa (e, guarda caso, quest’ultima data al contrario della precedente è perfettamente inseribile nel quadro dell’attuale Manvantara, stando alla cronologia “Guenon/Georgel”) dovrebbe accendere più di una lampadina in chi ha una visuale storica di tipo ciclico-tradizionale, ritengo anche piuttosto intrigante l’idea che questo dato possa essere messo in relazione con l’introgressione molecolare dei “fantasmi” nei Sapiens “neo-africani”, e cioè: perché, cambiando prospettiva, non ipotizzare che questi ominini “fantasma” non fossero altro che un residuo regredito dei Sapiens “paleo-africani” relativi al Manvantara precedente al nostro? In quest’ottica, le frequenze arcaiche sarebbero arrivate nei Sapiens nuovi non dai Sapiens più antichi per via diretta (da cui, in pratica, l’assenza di continuità fra le due popolazioni: un “pralaya” in mezzo?), ma tramite l’intermediario di questi misteriosi “spettri”, cioè quelli che i Sapiens “paleo-africani” potrebbero essere diventati dopo la fine del loro Manvantara a causa dell’inevitabile involuzione biologica che colpisce i gruppi umani dei cicli pregressi (5). Invece, nella fallace ottica “OOA classica” riassunta sopra, la rilevante quantità di tali frequenze “fantasma” assorbite, probabilmente conduce alla distorsione concettuale di considerare i gruppi dal genoma più divergente come quelli più arcaici – e quindi ancestrali rispetto agli altri – interpretando cioè tale aberranza molecolare in chiave esclusivamente endogena: ovvero derivante solo da un percorso molto lungo e “solitario”, logico risultato di un maggior tempo di separazione dal comune tronco umano, mentre invece vi è stato, anche e soprattutto, l’incontro con uno stock molecolare piuttosto diverso che ne ha notevolmente “spostato” il centro genetico. Ebbene, qual è l’attuale popolazione africana che più spesso viene considerata quella di derivazione più antica, cioè che viene rappresentata dal ramo più lungo negli alberi filogenetici? Sono i Khoisan (Boscimani ed Ottentotti) dell’Africa meridionale: e però è davvero molto significato il fatto che il ricercatore Razib Khan, commentando nel suo blog il recente studio pubblicato di cui la nota 4, ad una precisa domanda abbia espresso l’idea che i Khoisan siano semplicemente il gruppo umano il cui genoma ha incorporato più di tutti altri subsahariani la vecchie frequenze “paleoafricane”, oltretutto in un contesto nel quale tutte le popolazioni del continente sono comunque pensabili come risultato di varie ibridazioni (6). Ecco dunque un nuovo, significativo, modo di inquadrare la posizione filetica dei Khoisan e di spiegare la loro pronunciata divergenza molecolare non tanto nell’ottica di una maggiore antichità accumulata “in solitaria”, quanto piuttosto in quella di un maggiore meticciamento intervenuto.
Il che ci riporta dritti dritti al “melting pot” di partenza.
Ma ci si potrebbe chiedere come mai siano stati proprio i Khoisan il gruppo che più di altri ha assorbito le frequenze arcaiche: ed è una domanda che, anche qui, conduce a dei risvolti non molto congruenti con l’ipotesi OOA. Ebbene, a mio avviso ciò è successo perché, almeno in Africa, i Khoisan (o Capoidi, secondo la classificazione di Carleton Coon) è la popolazione che deve aver migrato più di tutte e ciò ha particolarmente esposto il suo genoma ad incontri di ogni tipo. E così, sorprendentemente, scopriamo che la loro remota area di popolamento dovette essere l’Africa settentrionale (7), cioè praticamente agli antipodi continentali della loro attuale sede. Uno stanziamento che interessò soprattutto la parte orientale, probabilmente fino all’Egitto, quindi un quadrante molto prossimo al Vicino Oriente, come rileva Cavalli Sforza (8), il quale infatti ne sottolinea anche la posizione genetica intermedia tra le popolazioni subsahariane e quelle mediorientali, forse addirittura lievemente più vicina a queste ultime (9): si profila quindi l’immagine di una popolazione considerata, secondo l’ottica OOA, come quella più vicina alla protoafricana ancestrale, ma che però – paradossalmente – devia in modo netto dal tipo principale africano (10). Comunque non si può escludere qualche infiltrazione capoide anche più verso occidente, come ad esempio potrebbe desumersi dai tratti del reperto di Asselar nel Mali, risalente a circa 15.000 anni fa, che significativamente evidenzia delle interessanti affinità sia con il tipo khoisanide ma pure con il Cro-Magnon (11): quindi una testimonianza di ulteriori fenomeni meticciatori (come se non bastassero…) dovuti ad infiltrazioni più settentrionali e probabilmente collegabili all’ingresso nel Maghreb, dall’Europa, della cultura iberomaurusiana. Questa, iniziata 20-22.000 anni fa (12) ed estesasi nella fascia costiera che corre dalla Tunisia al Marocco, è collegata al tipo umano sinteticamente denominato “Mechta-Afalou”, che significativamente è molto prossimo alla forma Cro-Magnon (13) ed è stato rinvenuto soprattutto nei siti algerini di Mechta-el-Arbi e di Afalou-bou-Rummel. L’accostamento di questo tipo alla linea cromagnoide, proposto da una nutrita schiera di antropologi (14) è altamente indicativo della provenienza europea di tali popolazioni. Il fenotipo di gruppi etnici come Berberi, Cabili e Guanci delle Canarie (15), ma anche di Libici, Egiziani e forse degli Etiopici (16), evidenzia infatti dalle caratteristiche che appaiono non solo chiaramente europoidi, ma anche, in buona parte, significativamente depigmentate: tanto da far concludere a Renato Biasutti che in Nordafrica l’apporto nordico “dovette essere imponente” (17). È in particolare la presenza del biondismo nel Maghreb che autorizza senz’altro ad ipotizzare ondate migratorie di provenienza settentrionale (18) la cui elevata vetustà, cioè non risalente solo agli ingressi dei Vandali nella tarda antichità, pare confermata dalle pitture rupestri sugli antichi Libici biondi (19) o dai racconti dei Cabili algerini, secondo i quali vi era un tempo una civiltà di cacciatori composta da uomini biondi e dagli occhi azzurri (20).

Quindi anche in questo settore geografico abbiamo il dato di un ulteriore flusso umano che, in tempi almeno tardo-paleolitici, entra in Africa – non che ne esce – ad arricchire ulteriormente il minestrone…

Ma, tornando ai Khoisan, più che verso ovest è maggiormente attestato il movimento verso meridione (21) lungo il corso del Nilo (22), con altre tracce del passaggio avvenuto come, ad esempio, il reperto sudanese tardo-paleolitico di Singa che presenta delle significative caratteristiche capoidi (23). In definitiva, quella khoisanide è una lunghissima corrente da nord verso sud che, anche qui, non sembra accordarsi molto bene con le direttrici postulate dall’ipotesi OOA classica e che, secondo qualche autore, avrebbe lasciato negli attuali Boscimani ed Ottentotti un’antichissima “impronta semitica” (24). Ma non sono solo le traiettorie interne al continente africano ed il forte meticciamento dei Capoidi a porre serissimi ostacoli alla teoria OOA: un altro elemento potrebbe essere costituto dalla loro origine ultima che forse, anche per essi, potrebbe essere extra-africana riaffermando ancora una volta il carattere di melting pot e di “magazzino di stoccaggio” del continente nero, più che di “vagina gentium” (quella è la Scandinavia, ma ci torneremo un’altra volta). In effetti, per certi versi inaspettatamente, lo stesso ricercatore tedesco-olandese Herman Wirth intravide tra i Boscimani alcuni aspetti figurativi di particolare interesse, trovando peraltro l’accordo di Leo Frobenius: l’etnologo berlinese arrivò infatti a collegarli a un’ondata migratoria del Paleolitico superiore dilagata addirittura da settori artici fino al confine meridionale delle terre abitate (25) della quale potrebbe esserne testimonianza, ad esempio, la pigmentazione cutanea molto meno scura rispetto a quella dei Negridi classici (26). In effetti vi sono anche altri elementi che potrebbero essere interpretati in questa direzione, o quanto meno nell’ottica più generica di una genesi extra-africana dei Capoidi. Ad esempio in ambito glottologico, da Alfredo Trombetti erano giunte delle interessanti ipotesi su un particolare collegamento delle lingue khoisanidi con quelle caucasiche (27), mentre in quello artistico Leroi-Gourhan aveva osservato come l’arte rupestre dei Boscimani sia contrassegnata da aspetti grafici tipici della pittura sciamanica, denotando chiare connessioni con quelle dei Nativi americani e, sorprendentemente, anche con certe rappresentazioni rupestri del Paleolitico europeo (28). Ma l’aspetto forse più intrigante del mondo khoisanide ritengo possa risiedere in un curioso, quanto significativo, precetto culturale presente sia tra gli Ottentotti che tra i Boscimani, ovvero il divieto di consumare la carne dell’anatra, animale considerato messaggero della luna (29). E’, questo, un elemento che potrebbe trovare una spiegazione estremamente interessante se, azzardando un’ipotesi “di frontiera”, proviamo ad inquadrarlo in un contesto nordico, con animali quali l’anatra ed il papero che, tra alcuni popoli artici, rappresentano effettivamente delle regressioni della primordiale figura del cigno (30): evidenziando cioè una dinamica che indica un oscuramento progressivo del tema olimpico originario ed il passaggio della luce solare da simbolo imperituro e sidereo, ad un momento in cui, invece, inizia ad essere condizionata dal flusso temporale (31). Il sacro rispetto per l’antico significato “iperboreo” del volatile, testimoniato dal divieto di consumarne la carne, non impedisce però di scorgerne presso i Capoidi un livello di caduta forse ancora più basso, vista la sua associazione ora nemmeno più con il sole ma con la luna: cioè con una fonte luminosa ormai solo riflessa, indiretta, e, oltretutto, incatenata all’incessante divenire cosmico del quale il mondo sublunare è l’indiscusso ambito (32).

Ma anche a non voler seguire una traccia così audace come quella che colloca le radici ultime dei Khoisan tanto a nord, penso ce ne sia comunque a sufficienza per rivederne la collocazione filetica e, di conseguenza, per mettere quanto meno in seria discussione la teoria OOA. L’Africa, per concludere, dovette esser stata molto più terra d’immigrazione che di emigrazione, molto più madre adottiva che genetica o, vedendola in termini domestici, molto più sgabuzzino di masserizie che camera da letto.

 

 

NOTE:

  1. Vedi: “Madre Africa”? – Ereticamente.net – 1/5/2014
  2. Vedi “Nella saliva tracce di un’antica specie umana “fantasma”” – Le Scienze – 24/7/2017
  3. Vedi “Misteriosi geni arcaici nel genoma delle popolazioni africane” – Le Scienze – 13/2/2020
  4. Vedi “Revisiting the Out of Africa event with a novel Deep Learning approach” – bioRxiv – 14/12/2020
  5. Vedi “L’Uomo eterno e i cicli cosmici” – Axismundi.blog – 23/11/2018
  6. “…i khoisan sono solo il lignaggio più arricchito di “paleoafricano”, quindi tutte le popolazioni africane possono essere pensate come miscele e il khoisan diverge di più perché ha di più (l’elemento) paleoafricano”
  7. Maurizio Alessandri – L’animale simile a Dio – Luna Editore – 2000 – pag. 73; Luigi Brian – Il differenziamento e la sistematica umana in funzione del tempo – Marzorati Editore – 1972 – pag. 429
  8. Luigi Luca Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 297
  9. Luigi Luca Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 328
  10. Luigi Luca Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pagg. 364, 365
  11. Michel Brezillon – Dizionario di Preistoria – Società Editrice Internazionale – 1973 – pag. 43
  12. AA.VV. (a cura di Fiorenzo Facchini) – Paleoantropologia e Preistoria. Origini, Paleolitico, Mesolitico – Jaca Book – 1993 – pag. 321; Michel Barbaza – Dal Paleolitico medio all’Epipaleolitico nel Vecchio Mondo – In: “AA.VV. (a cura Jean Guilaine) – La preistoria da un continente all’altro – Gremese Editore – 1995” – pag. 68; Luigi Luca Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 297
  13. Luigi Luca Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani – Adelphi – 1997 – pag. 297
  14. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 1 – pag. 150; Georg Glowatzki – Le razze umane. Origine e diffusione – Editrice La Scuola – 1977 – pag. 35; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 228
  15. Renato Del Ponte – I Liguri. Etnogenesi di un popolo – ECIG – 1999 – pag. 57
  16. Georg Glowatzki – Le razze umane. Origine e diffusione – Editrice La Scuola – 1977 – pag. 69
  17. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 3 – pag. 130
  18. Hans F.K. Gunther – Tipologia razziale dell’Europa – Edizioni Ghénos – 2003 – pag. 111
  19. Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 227
  20. Leo Frobenius – Storia delle civiltà africane – Bollati Boringhieri – 1991 – pag. 119
  21. Silvano Lorenzoni – Il Selvaggio. Saggio sulla degenerazione umana – Edizioni Ghénos – 2005 – pag. 16
  22. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 3 – pag. 97
  23. Georg Glowatzki – Le razze umane. Origine e diffusione – Editrice La Scuola – 1977 – pagg. 73, 74; Raffaello Parenti – Lezioni di antropologia fisica – Libreria Scientifica Giordano Pellegrini – 1973 – pag. 238
  24. Richard Henning – Dov’era il Paradiso? – Martello – 1959 – pag. 79
  25. Leo Frobenius – Storia delle civiltà africane – Bollati Boringhieri – 1991 – pagg. 253, 254
  26. Renato Biasutti – Razze e Popoli della terra – UTET – 1967 – vol. 3 – pag. 95
  27. Oddone Assirelli – La dottrina monogenistica di Alfredo Trombetti – F.lli Lega – 1962 – pag. 10
  28. Massimo Centini – Sogno e sciamani – in: Avallon, n. 43 “La sapienza velata. Sogno, visione, oracoli” – 3/1997 – pag. 56
  29. Adolf Ellegard Jensen – Come una cultura primitiva ha concepito il mondo – Edizioni Scientifiche Einaudi – 1952 – pag. 216
  30. Claudio Mutti – Il simbolismo dell’Orso nelle culture artiche – in: Vie della Tradizione n. 16 – ottobre/dicembre 1974 – pag. 188
  31. Claudio Mutti – Il simbolismo del Cigno nella tradizione Ob-Ugrica – in: Vie della Tradizione n. 14 – aprile/giugno 1974 – pag. 101
  32. Mircea Eliade – Trattato di storia delle religioni – Bollati Boringhieri – 1999 – pagg. 138, 156, 160; Renè Guenon – Il Re del mondo – Adelphi – 1997 – pag. 51; Adolf Ellegard Jensen – Come un cultura primitiva ha concepito il mondo – Edizioni Scientifiche Einaudi – 1952 – pag. 195; Silvano Lorenzoni – Cosmologia alternativa – Casa Editrice Primordia – 2010 – pag. 48

 

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