“Con i suoi si gettò avanti, correndo “a zoppo galletto”, ma ormai il palazzo della posta era deserto”
Le prime settimane del 1921 vedono da varie parti, per un concatenarsi di circostanze (o forse solo perché la misura era colma e l’esplosione inevitabile) una serie di episodi di violenza tra neo-nate squadre fasciste e sovversivi che, senza rientrare in iniziative coordinate di offesa-difesa, ma originati da cause banali, si concludono però nel sangue.
A Gavello, il 1° gennaio muore il sedicenne Giuseppe Gianesini, entrato in una sala da ballo con l’innocente intenzione di partecipare ad un veglione. Riconosciuto come fascista, però, dai socialisti presenti, viene minacciosamente circondato, e dopo che sono state fatte allontanare le donne, pugnalato a morte.
A colpire è un consigliere comunale, noto massimalista, macellatore di maiali, e il gesto, di puro sadismo, è ancora più incomprensibile perché, come riporta la stampa: “il giovinetto assassinato non era fascista, come molti hanno affermato”.
A Busseto, il 7 gennaio, il contemporaneo svolgimento di due veglioni, uno socialista e l’altro fascista, provoca incidenti tra i partecipanti, con inseguimenti e sparatorie per le strade coperte di neve, e con un bilancio finale di quattro morti (tra i quali il già popolarissimo capo squadrista Vittorio Bergamaschi, di 26 anni).
Ma, qualche giorno prima, sono stati proprio i modenesi, insieme ai già attivissimi carpigiani, ad iniziare tutto, senza che il periodo delle festività interrompesse la loro azione.
Il 31dicembre, insieme, fascisti del capoluogo e di Carpi si recano a Correggio per un’azione dimostrativa e per vendicare l’aggressione subita il 25 da un camerata sorpreso ad affiggere manifesti.
Arrivano in paese alle 16,30, e, con una metodica d’azione già super collaudata, vanno su e giù per le strade, intonando i loro inni e distribuendo un manifestino nel quale, per l’occasione, è detto:
Correggesi, in attesa che si formi, se pur non si è già formata, una sezione del fascio anche a Correggio, ci dichiariamo per ora pronti ogni qualvolta il teppismo bolscevico tentasse violenze e sopraffazioni, da qualsiasi parte. Nel porgere un affettuoso saluto agli amici ed ai simpatizzanti, auguriamo buon divertimento ai bolscevichi che parteciperanno al veglionissimo rosso”. (1)
L’augurio non è, però, bene accetto. I socialisti rifiutano i manifestini e si fanno sotto minacciosi, in gran numero, intonando “Bandiera Rossa”. Nascono incidenti con due morti socialisti, vari feriti dall’altra parte e l’arresto di alcuni squadristi, tra i quali il noto Tenente Attilio Pappalardo, che è stato già protagonista del primo attacco alla Camera del Lavoro bolognese il 4 novembre.
Sono, questi citati, episodi di portata limitata, quasi faide di paese, che però seguono, con una impressionante diffusione, quelli più propriamente politici che hanno insanguinato sempre l’Emilia Romagna nelle ultime settimane dell’anno trascorso.
Si tratta di avvenimenti noti, e non staremo qui a farne la storia, se non per notare che essi hanno un singolare elemento comune, che ritroveremo a Modena.
A Bologna, il 21 novembre, l’Amministrazione socialista vittoriosa alle elezioni, festeggia il successo. Si sente tanto forte da rinnegare il patto col Prefetto di non esporre bandiere rosse – viste dai bellicosi fascisti come una provocazione – il giorno dei festeggiamenti in Piazza Vittorio Emanuele (ora Piazza Maggiore). Per di più, i consiglieri si affacciano ai balconi e liberano colombi con legate bandierine rosse, e un vessillo dello stesso colore svetta sulla Torre degli Asinelli.
Nel contempo, il palazzo municipale viene stipato di Guardie Rosse, Vigili del fuoco, Agenti daziari e dipendenti comunali, tutti di provata fede socialista e armati, anche con bombe.
Succede così che, quando i fascisti si affacciano in piazza per chiedere il rispetto dei patti, dal palazzo viene iniziato il fuoco e il lancio degli ordigni sulla folla che fugge, scambiata per squadristi all’assalto. Il bilancio di una decina di morti e di oltre sessanta feriti è tragico, così come certa è la responsabilità di chi lo ha provocato.
A Ferrara, il 20 dicembre, le cose vanno più o meno allo stesso modo. La mediazione dell’Autorità fa sì che, in presenza di due contrapposte manifestazioni, i socialisti si riuniscano al chiuso di un teatro, e i fascisti non si muovano dalla loro sede.
Qui pure, però, i sovversivi vengono meno al patto, con la conseguenza che i loro avversari escono dalla sede per “intercettare” un corteo che, dietro la bandiera rossa, sta percorrendo la città. Dai merli del Castello Estense, lasciato colpevolmente non presidiato dalle autorità, Guardie Rosse appostate aprono il fuoco contro i fascisti, La conseguenza saranno sei morti in piazza (quattro fascisti), e, anche in questo caso, l’opinione pubblica non avrà dubbi sui responsabili dell’accaduto, così che l’episodio segnerà la fine del socialismo ferrarese.
Sembra quasi che i socialisti, vecchi padroni della piazza, si siano passati parola, per impedire ai fascisti, nuovi – aggressivi – sopravvenuti sulla scena politica, ogni forma di agibilità, così da “strozzarli in culla”.
Con questi precedenti, potremmo dire cinicamente, altri morti sono inevitabilmente in arrivo.
L’antefatto di ciò che succederà a Modena è da ricercare negli avvenimenti del 21 gennaio. Quella sera, in un agguato, viene prima ferito e poi finito con due colpi alla testa il ventenne fascista, Legionario fiumano, Mario Ruini.
Le modalità del fatto, quando si conoscono, fanno grande impressione in città. Il povero Ruini, mentre torna a casa, disarmato, con due camerati (uno è il fratello), cade in un’imboscata a colpi di pistola. I suoi accompagnatori riescono a fuggire, ma lui, colpito, si accascia a terra. Ed è a questo punto che uno degli assalitori, noto anarchico modenese, che, sicuro di averlo colpito a morte, si stava allontanando, torna indietro, gli si avvicina e lo uccide con due colpi alla testa.
L’episodio avrà un seguito drammatico. L’assassino fuggirà all’estero e lascerà che sia incolpato e condannato al suo posto un innocente, il quale, una volta scarcerato, nove anni dopo, nel 1930, si suiciderà, moralmente distrutto dal giudizio della pubblica opinione, mentre sa di essere innocente.
Pietà l’è morta, insomma, e la conferma si ha quando il 24, giorno dei funerali di Ruini, solenni e con la partecipazione di rappresentanze di tutta l’Emilia, scorre di nuovo sangue fascista. Guardie Rosse ed anarchici appostati davanti al Palazzo delle Poste e sui tetti (e forse anche dietro le finestre degli appartamenti) degli edifici vicini aprono il fuoco contro i presenti alla cerimonia, e fanno altre due vittime: Orlando Antonini e Augusto Baccolini.
Moltissimi i feriti, tra i quali il Capo del fascismo bolognese, Leandro Arpinati. La fucileria avversaria prende alla sprovvista i partecipanti al corteo funebre:
Non pensavano dovesse accadere niente, tant’è vero che erano accompagnati dalle mogli, dalle fidanzate, dalle madri… il papà aveva con se la mamma e la zia Dalia. Dall’edificio della Posta Centrale si aprì il fuoco contro il corteo e caddero due fascisti, Antonini e Baccolini, e mio padre fu ferito ad una caviglia. Affidò la fidanzata e la cognatina ad un conoscente, e con i suoi si gettò in avanti “a zoppo galletto”, ma ormai il Palazzo della Posta era deserto, e anche per tutto il tragitto fino all’ospedale, non gli riuscì di incontrare anima viva. La ricerca della mamma fu molto laboriosa: mi raccontano che il papà girò per tutta Modena dicendo: “Ma dove saranno andate a finire quelle due ragazze? Che dico stasera al padre? (2)
La reazione, però, è pronta e decisa. Questa volta non basta il presidio di Carabinieri e Guardie Regie a fermare l’ira fascista. Quando tutto finisce, gli squadristi hanno conquistato e dato alle fiamme la Camera del Lavoro, prudentemente lasciata sguarnita dai suoi occupanti abituali.
L’episodio, per le modalità dell’agguato (a freddo, contro un corteo funebre!) e per il sanguinoso prezzo pagato dai fascisti, suscita un’ondata di sdegno in città e non solo.
Ad aumentare la solidarietà intorno ai mussoliniani, arrivano le dimissioni presentate dall’Arma dei Carabinieri – e rese pubbliche – dal fratello di una delle vittime, il Tenente Umberto Baccolini. I motivi sono espressi in una lettera del giovane Ufficiale al Fascio petroniano:
Ho inviato in data d’oggi al Comando del Battaglione Mobile Carabinieri Reali di Bologna, dal quale dipendo, la seguente lettera:
“Dopo l’assassinio politico vilmente compiuto nella persona di mio fratello Augusto, dopo che i Prefetti di Bologna e Modena hanno dimostrato, nel concedere il permesso di onorarne degnamente la salma, una titubanza che io reputo immorale, ho ripugnanza a servire, nel presente momento, il Governo d’Italia asservito… alla parte più turbolenta e incivile del nostro povero Paese.
Rassegno, quindi, con la presente, le mie dimissioni, e prego di darvi sollecito corso essendo mio fermo proposito svolgere attivamente quella opera di cittadino per la quale mi occorre libertà di pensiero e di azione”.
Sul cadavere del mio povero fratello Augusto, del quale voglio raccogliere intera l’eredità morale, ho, senza teatralità, ma con animo fermo, incrollabilmente fermo, tacitamente giurato di prendere il posto di combattimento che non deve rimanere vuoto e che spero mi venga riservato di diritto.
La presente valga quindi come domanda di ammissione al Fascio di combattimento, del quale condivido la fede ed approvo il programma, e fra le cui fila mi parrà di ritrovare interamente la personalità del povero morto. (3)
La domanda di dimissioni verrà accolta e, a seguire, Baccolini diventerà uno dei più attivi dirigenti del Fascio petroniano, fino ad assumere la carica di Segretario federale e di Comandante di colonna alla Marcia.
Per ora, nella immediatezza dei fatti, i fascisti bolognesi si fanno giustizia da soli. La notte del 24 tocca, sempre ad opera degli squadristi tornati inviperiti da Modena, alla sede sindacale bolognese, con gli attigui locali dell’Unione Socialista.
La novità, però, è che questa volta il successivo sciopero generale, proclamato in città per protesta, risulta “molto fiacco”. Si tratta di un segno evidente della capacità che l’azione fascista sta avendo di far muovere verso una prima blanda reazione, anche chi fino ad ora si è, sempre e solo per timore, adeguato alle imposizioni sovversive.
Ciò mentre il confronto si va facendo progressivamente più aspro, e non è più tempo di “svegliarino fascista” da infliggere con due sberle ai recalcitranti. Il terreno di scontro scelto dagli avversari, in tutta Italia, è quello, sanguinoso, che prevede il ricorso alle armi e la morte dei fascisti.
I fatti di Modena, con gli accennati precedenti di Bologna e Ferrara, rappresentano un vero punto di svolta nella storia del fascismo.
A niente serve il tentativo del Governo di arginare l’ondata di violenza: Giolitti dispone la già accennata revoca del porto d’armi nelle province di Modena, Bologna e Ferrara, ma è inutile.
I fascisti, grazie anche alla presenza nelle loro file di uomini di sicuro carisma e dal temperamento di capi, quali soprattutto Arpinati e Balbo, vedono aumentare di giorno in giorno le schiere in camicia nera (a Modena, in un sol colpo, il 24 febbraio, sono arrestati in trenta, dopo l’assedio al Palazzo della Provincia), e possono permettersi di rispondere colpo su colpo agli attacchi avversari fino allora ritenuti invincibili.
Questo, per esempio, vuol dire che a Modena si susseguono giornalmente zuffe e incidenti, dei quali è pure difficile tenere il conto come accertare la responsabilità. Vi è, però, una differenza. Mentre i social-comunisti (e gli anarchici, qui, come si è detto, molto attivi) mirano nel gruppo e colpiscono chi per primo gli capita a tiro, privilegiando la tecnica dell’agguato notturno ad elementi isolati, i fascisti tendono a “selezionare” le loro vittime, fedeli al principio della responsabilità “oggettiva” dei capi che fa salva la massa “traviata”, e a dare pubblicità (anche troppa!) alle loro azioni punitive.
La violenza non manca, ma è presente anche un certo spirito di contesa paesana, che colora di umoristico lo svolgersi degli avvenimenti. Ecco un caso significativo, nel modenese:
Le nostre spedizioni punitive rimasero però il più delle volte innocue, perché non trovavamo più sul posto nessun avversario. Memorabile rimase quella a San Damaso, villa della nostra città, dove un certo fabbro aveva costituito la schiera dei “Lupi Rossi”, assicurando che, se i fascisti si fossero fatti vedere, li avrebbe arrostiti nella sua fucina. Naturalmente, appena la cosa ci fu nota, balzammo in camion e corremmo a San Damaso per fare la prova; ma fu vana fatica, poiché non vedemmo che qualche schiena in corsa tanto affannosa da far guadare ai “Lupi Rossi” in fuga il vicino canale, così vestiti com’erano. Naturalmente, fu nostra cura ridurre la fucina del fabbro in modo da evitare il pericolo di…futuri arrosti. (4)
A Sindaci, dirigenti sindacali, amministratori locali, dirigenti di Partito e Parlamentari nazionali, capita sempre più spesso di essere riconosciuti per strada ed essere inseguiti, sbeffeggiati ed intimoriti (le conseguenze sul piano fisico sono in genere limitate), senza che nessuno intervenga, anzi, con l’evidente plauso di chi, trovandosi a passare, è soddisfatto nel constatare la fine dell’opprimente cappa soviettista del biennio precedente.
Lo sfaldamento del Partito Socialista è inevitabile: manca l’elemento umano in grado di realizzare quella rivoluzione tante volte promessa. E, intanto, il Fascio modenese, come tanti altri, cresce: il 27 febbraio rinnova il Direttorio, il 6 marzo nasce il Gruppo Femminile, guidato dalla sorella del Caduto Mario Ruini, e il 3 aprile esce il primo numero del giornale di Federazione, intitolato “La Valanga”.
Sono però, sempre i carpigiani a primeggiare nell’azione squadrista, al punto che si meriteranno l’anno dopo, sull’ “Avanti” l’appellativo di “superfascisti”, del quale andranno fieri, fino a trovarne la giustificazione:
I fascisti di Carpi, dicevo, badavano al sodo ed erano giurati nemici della chiacchiera: i pochi di loro che nelle cerimonie dovevano pur fare i “discorsi” non erano tenuti, sotto questo aspetto, in molta considerazione. Poiché del fascismo avevano assimilato la vera essenza, e marciavano diritti, sempre pronti al rischio ed al sacrificio, i fascisti di Carpi non avevano bisogno allora di assemblee e di discussioni. Alle elezioni politiche del 15 maggio 1921, dovendo presentare un loro candidato, non si peritarono di scegliere in Virgilio Lancellotti un autentico squadrista, tutto azione e niente parole, che non fece neppure un discorso, e la propaganda elettorale fu semplicemente un seguito di spedizioni. Forse per questo Lancellotti riuscì eletto trionfalmente. (5)
Né farà ombra ai baldi Carpigiani il fatto che, nella stessa occasione (la bastonatura a Mantova di un Consigliere provinciale socialista, il 20 aprile del 1921) che gli fa “meritare” l’appellativo del giornale socialista, arrivi il severo rimprovero del Capo di Milano:
Riferendoci alla nostra nota di fondo di ieri, torniamo a ripetere – chiaramente – che questo sistema delle aggressioni individuali – a casaccio – deve assolutamente finire, perché danneggia in modo gravissimo la causa del Fascismo italiano. È ora di finirla col fare del pussismo a rovescio. Se, con i loro sistemi barabbeschi i pussisti hanno lavorato per noi, continuando nel sistema, poco cavalleresco, poco coraggioso e niente affatto fascista, della bastonatura individuale vibrata, senza criterio di scelta e di opportunità, certi elementi finiranno col rialzare le sorti del socialismo più o meno adulterato.
Gli Enti direttivi dei Fasci devono controllare le azioni dei singoli soci e porre risolutamente l’alt. La violenza deve essere compiuta quando è necessaria: non quando ci danneggia moralmente e non ci avvantaggia politicamente. Violenza da guerrieri, insomma, non violenza da teppisti! E sia detto una volta buona per sempre! (6)
FOTO 3: il corteo funebre, alla partenza
FOTO 4: lo sbandamento del corteo sotto il fuoco
NOTE
- In: Giannino Degani, La nascita del fascismo a Reggio Emilia, Reggio Emilia 1986, pag 65
- Giancarla Cantamessa Arpinati, Arpinati mio padre, Il Sagittario Roma 1968, pag. 42
- In: Giorgio Pini, Le legioni bolognesi in armi, Edizioni L’Assalto Bologna 1923, pag 81
- Marco Arturo Vicini, Cronache della vigilia rivoluzionaria fascista nella provincia di Modena, in: Il movimento delle squadre nell’Italia settentrionale (vol IV), Panorami di realizzazioni del fascismo Roma 1942, pag. 659
- Vico D’Incerti, Carpi fascio della prima ora, L’Ardita Carpi 1935, pag 22
- Ibidem, pag. 24